Antoniazzi Elsa
DIMORARE NELLE SCRITTURE
2019/5, p. 47
Aprire il piccolo volume di Antonio Montanari della serie “Le faggine” (EDB) è come aprire una porticina ritagliata nel portale di una chiesa antica: varcata la piccola soglia, si entra in un ambiente ampio in cui il cuore e lo sguardo possono spaziare. L’autore ripercorre le tappe del darsi nella Chiesa della lectio divina in un testo di poche pagine, con una scrittura accessibile, con solidi riferimenti che contestualizza puntualmente.

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NOVITà LIBRARIA
DIMORARE
NELLE SCRITTURE
Aprire il piccolo volume di Antonio Montanari della serie “Le faggine” (EDB) è come aprire una porticina ritagliata nel portale di una chiesa antica: varcata la piccola soglia, si entra in un ambiente ampio in cui il cuore e lo sguardo possono spaziare.
L’autore ripercorre le tappe del darsi nella Chiesa della lectio divina in un testo di poche pagine, con una scrittura accessibile, con solidi riferimenti che contestualizza puntualmente.
Il motivo su cui l’autore insiste è il superamento della comprensione dell’espressione lectio divina come indicazione di un metodo. Se la lectio fosse questo rimanderebbe a condizioni di fattibilità, che per la lectio sembrano ormai impossibili.
L’obiezione più ricorrente è che oggi la vita non ha quasi per nessuno una cadenza ordinata e il silenzio è ben difficile. Oggi, nota l’autore, è impossibile sentire un rumore che squarcia il silenzio perché siamo sempre immersi in un sottofondo di rumori vari. Queste non sono obiezioni banali e davvero non basta la buona volontà per risolverle. Spesso se ne conclude che questo modo di pregare non è trasferibile nella realtà quotidiana di laici, religiosi e sacerdoti.
La Scrittura
come casa solida
Per fortuna però l’autore, percorrendo sin dal suo esordio lo strutturarsi della lectio, ci mostra che l’espressione stessa rimanda alla vita monastica e più precisamente al rapporto che quella vita instaura con il Signore che si incontra nella Scrittura. Se facciamo riferimento di una vita, più che di tappe possiamo anche ricordare quanto sia importante recuperare i tempi dell’approfondimento. Il Concilio ci esorta a «dimorare nelle Scritture». In un tempo “liquido”, ma forse ancor più rarefatto la Scrittura ci dona una casa solida.
Sono preziose in questo contesto le osservazioni riguardo alla parola non capita e alla difficoltà di cogliere il senso complessivo di un testo. Nel nostro contesto tendiamo a dimenticare ciò che non comprendiamo o ci affidiamo alla strumentazione tecnica, all’esegesi. Vivere la Parola come uno spazio vitale ci fa custodire e superare la pur importante esegesi – aggiungiamo noi. Capiremo quando approdiamo alla vita e così scopriremo che il rapporto con Cristo, attraverso le Scritture, vive delle ricchezze e delle incognite di ogni relazione profonda.
Se stiamo nella Parola, al nostro vivere il rapporto con il Signore è tolta ogni dimensione moralistica. Siamo chiamati a coinvolgerci nel rapporto con il Cristo con la mente, la volontà e gli affetti, attraverso il rapporto con la Scrittura. E questo è trasferibile.
La ricchezza
della tradizione
Così la conclusione del libro è affidata all’espressione di P. Beauchamp: sortir du livre, uscire dal testo. La riflessione della teologia biblica contemporanea si salda con la tradizione antica.
Come sempre accade, conoscere la storia offre la possibilità di dare consistenza al nostro oggi.
Il primo esercizio della lectio divina è stato un gesto episcopale: il vescovo leggeva ogni mattina le Scritture alla comunità cristiana. In una ecclesiologia che coinvolge tutto il popolo di Dio ci sembra che questa notizia indichi la via verso cui determinarsi con i doni e i ruoli ecclesiali di tutti. L’approccio storico poi consente anche di collocare la lectio in rapporto ad altri stili di preghiera, come la meditazione, che si sono affacciati lungo la storia della spiritualità. Collocare la successione ed evidenziare le specificità della lectio rispetto ad altre vie aiuta a non cadere nelle trappole dell’indistinto. Se un metodo vale l’altro, vuol dire che l’esito dei singoli stili di preghiera resta indefinito impoverendo l’incontro. E, inoltre, chi prega è lasciato solo a decidere quale via intraprendere. Invece, cosa significhi parlare di lectio piuttosto che di meditazione, aiuta a riconoscere la ricchezza della tradizione e così rispondere puntualmente alla domanda che nasce dalle caratteristiche personali piuttosto che dalla situazione culturale. La conoscenza poi del significato profondo permette anche di dare il giusto spazio ad altre forme della preghiera cristiana per vivere la ricchezza della mensa della Parola e dell’Eucarestia ( cfr DV 21).
La lectio divina è l’accostarsi alla Parola che interpella singolo e comunità per dare corpo ad essa: “il lettore diventa attore e abbandona il testo per incontrare i fratelli”.
In questa fase della vita della Chiesa, dove risuona quasi un poco ossessionante la domanda del come fare per annunciare, per testimoniare, la lectio divina aiuta ad approfondire le dinamiche dell’incontro con Cristo nella preghiera. Potremo vivere responsabilmente allo stesso tempo in modo affidato l’ascolto dello Spirito. Aiuta, infatti, anche a sottrarci a quella sorta di ansia da prestazione che tutti noi abbiamo rispetto alla nostra vita come alla testimonianza della Chiesa. Nota l’autore. «Se l’ascolto è vero, non siamo noi a tirare le conseguenze da ciò che abbiamo “visto” della Parola, ma paradossalmente è ciò che viene visto che tira le conseguenze in noi».
Elsa Antoniazzi