Antoniazzi Elsa
Un film sulla capacità di credere
2019/5, p. 33
Troppa grazia è un film che non sai come prendere: parla di una Madonna che picchia la donna cui ha deciso di rivelarsi, ma non è un film blasfemo, parla di corruzione e di costruttori senza scrupoli, ma non è un film di denuncia sociale, parla di gente stralunata e di riferimenti religiosi, ma non ha nulla a che vedere con la recente scuola di arcaismo magico.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Un film sulla capacità di credere
Troppa grazia è un film che non sai come prendere: parla di una Madonna che picchia la donna cui ha deciso di rivelarsi, ma non è un film blasfemo, parla di corruzione e di costruttori senza scrupoli, ma non è un film di denuncia sociale, parla di gente stralunata e di riferimenti religiosi, ma non ha nulla a che vedere con la recente scuola di arcaismo magico.
Anche in questo senso le mappe (anche quelle che Lucia costruisce con misure accurate) non corrispondono. E bisogna cercare di comprendere il perché. La recitazione delicatamente realistica di Alba Rohrwachercome protagonista e quella degli altri personaggi, mai troppo connotata, contribuisce a tenere desta la domanda.
Troppa grazia può essere letto come un film sulla capacità di credere: certo la Madonna di questo film non riguarda solo la sfera del mistico ma anche quella del magico, è una sorta di grillo parlante, è la coscienza di Luca. È interessante notare come, mentre tradizionalmente chi “vede” la Madonna obbedisce alle sue indicazione, nel film Lucia cerca disperatamente di defilarsi, di non essere interpellata e coinvolta: un atteggiamento che possiamo leggere anche nella realtà che ci circonda. La prima volta che Lucia vede la Madonna, la scambia per una profuga. Su di un abito orientale, senza tempo, una giacca la riconduce all’immaginario quotidiano. Il blu del mantello, che ricorda le tonalità di Antonella da Messina, riesce a rendere questa presenza lieve in tutti i suoi aspetti: il miracoloso non invade. Questa Madonna che entra, dunque, nella linguaggio feriale è un richiamo primordiale, un invito a riconnettersi con se stessa, con la sua famiglia e la sua vita, altrimenti li perderà per sempre.
Il linguaggio è assolutamente contemporaneo, ma sicuramente suo malgrado, riecheggia ancora parole bibliche. Come fare a non pensare alla lotta dell’angelo con Giacobbe mentre vediamo la lotta tra Maria e Lucia?
La protagonista fa la geometra, un lavoro che ha a che fare con la terra, quella terra dove è nata e cresciuta e che per necessità economica sta tradendo: per questo, quando le appare la Madonna, è molto arrabbiata.
Il regista Zanasi dichiara che ha scelto “la Madonna perché ha una fondamentale connotazione culturale e identitaria, che viene dall’infanzia e che ci porta a credere in qualcosa che va oltre la realtà. E perché dà il via ad un corto circuito fra privato e sociale, innesca reazioni tra Lucia e le persone importanti della sua vita.”
Di fronte a questa affermazione potremmo in certo senso requisire il senso del film: per dire cose che hanno a che fare con l’esistenza, con le scelte che strutturano la vita, l’immagine cui far riferimento è ancora quella della Madonna, quasi a conferma di un immaginario cristiano che resta. Per questa via faremmo decisamente torto all’opera e al regista. Sembra piuttosto che adottando un linguaggio certamente connotato culturalmente, girato altrove l’apparizione sarebbe stata diversa, il regista però abbia saputo evocare la presenza di una dimensione trascendete dalla quale viene la verità di noi stessi e la forza per esserle fedeli, maneggiando con rispetto la tradizione religiosa.
Non voleva essere un film critico, e non lo è , né devoto: semplicemente al centro è l’esistenza e in questo esprime una spiritualità. In una battuta Lucia dice di aver creduto nell’infanzia a “Gesù, Maria, asino e bue … a tutto il pacchetto”. Chi oggi crede in modo più articolato si sente comunque ospitato dal film, perché il rispetto per la vicenda umana della protagonista diventa rispetto per ogni esperienza che coinvolga la persona nella sua profondità e la renda disponibile e capace ad una vita “ buona”.
Questo film ci riconnette anche con gli elementi fondamentali: la terra che Lucia misura e alla quale è così legata, la terra che gli speculatori “offendono” e sfruttano; l’acqua che quando scorre improvvisa fa gridare la miracolo; l’aria che rende speciali tutti i paesaggi e il fuoco, il fuoco che conclude la storia, anche con la sua forza distruttrice.
Da più parti credenti e non riconosciamo oggi la verità di una frase pronunciata da Maria: questa è la tua chiesa, mentre indica i campi intorno.
L’ambiente è chiesa perché è quella la situazione in cui Lucia ritrova la verità del proprio vivere, lo è perché per ciascun essere umano è così: la terra è il luogo dove viviamo ma che in modo più profondo ci costituisce. Infine, può essere esplicitamente compreso come creato, inteso come la realtà da cui nasce preghiera e lode. E ancora: anche questo significato può essere ospitato dal film.
Il fuoco conclude tutto, evocato più che visto, pensato però nella sua capacità di consumare le cose. Attenuata dalle ultime scene questo è l’elemento che segna la conclusione della vicenda. La triste combinata, cui siamo ormai abituati tra fuoco e religione, è qui disinnescata per riportare all’elemento naturale. Non è un fuoco pericoloso, a modo suo vuole costruire ed è segno di quella determinazione presente anche al racconto evangelico.
Elsa Antoniazzi