Dall'Osto Antonio
FORTE RINASCITA E GRANDI SFIDE
2019/5, p. 24
Il Vietnam sta conoscendo un forte rinnovamento della vita monastica. C’è un forte afflusso di nuove vocazioni che esigono un accurato discernimento e pongono numerosi problemi nel campo formativo e sociale. Ma c’è grande fiducia.

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Vita monastica in Vietnam
FORTE RINASCITA
E GRANDI SFIDE
Il Vietnam sta conoscendo un forte rinnovamento della vita monastica. C’è un forte afflusso di nuove vocazioni che esigono un accurato discernimento e pongono numerosi problemi nel campo formativo e sociale. Ma c’è grande fiducia.
Il quadro
storico-sociale
Per comprendere l’evoluzione avvenuta in Vietnam è necessario partire dall’avvento al potere di un regime comunista nel contesto mondiale fino all’ingresso nel modello capitalista liberale della società dei consumi.
Ci sono tre date fondamentali che occupano un’importanza chiave nella storia recente di questo Paese.
1954: Il Nord diventa comunista e un numero cospicuo di cattolici emigrano verso il Sud.
1975: il paese si riunifica e diventa completamente comunista: diversi boat-people lasciano il paese, soprattutto cattolici, si formano delle diaspore nei paesi vicini, negli Stati Uniti, in Europa, in Australia; le comunità religiose del Sud sono spogliate dei loro beni; diversi religiosi vengono dispersi, arrestati o vivono più o meno clandestinamente, i reclutamenti sono proibiti. Si tratta di un trauma profondo per tutti e in particolare per i cattolici e le numerose comunità religiose che il regime precedente sosteneva. Un certo numero di queste era già ben consolidato e possedeva numerosi beni. Quasi da un giorno all’altro perdono tutto e subiscono persecuzioni, povertà, carestia. Il ricordo rimane vivo nei religiosi e nelle religiose ultracinquantenni che a quell’epoca erano già religiosi o adolescenti.
Dal 1989-1990: con la caduta del muro di Berlino e il crollo del comunismo in Europa, il regime si liberalizza un po’. Si profila una nuova tolleranza verso le comunità religiose, in particolare quando l’attività di queste ha un impatto sociale. A volte è il governo stesso a chiedere loro di intervenire nei campi dell’educazione o della sanità, due settori chiave e spesso carenti, in particolare in un periodo di forte crescita demografica, come era il caso in quell’epoca. Le comunità possono quindi ricostituirsi, ricomprare dei terreni che erano stati loro confiscati e poco alla volta, fare di nuovo reclutamento vocazionale. E nuove comunità possono gradualmente stabilirsi nel paese. Ma liberalizzazione non significa assenza totale di controllo. Anche se l’ideologia ha un po’ ceduto il passo al pragmatismo, il potere, attraverso le sue autorità locali, mantiene una sorveglianza reale sulle comunità religiose e possono sorgere dei problemi o scoppiare dei conflitti, in particolare quando le relazioni non sono buone. Molti aspetti della vita delle comunità sono soggetti all’autorizzazione e quindi esposte all’arbitrio.
Occorre anche sottolineare che il paese entra in un modello economico già adottato dal vicino cinese, soprattutto nella zona sud, prossima al Vietnam: capitalismo, liberalismo economico, società dei consumi. Questa apertura economica, iniziata già dal 1986, prende il nome di “economia di mercato a orientamento socialista”. Il fenomeno provoca degli sconvolgimenti molto profondi nelle società, in un contesto di forte crescita della popolazione, influisce sui modi di vivere sempre più urbanizzati, anche se il paese rimane ampiamente rurale. L’esodo dalle campagne verso le città per trovare del lavoro provoca una forte crescita urbana e un’espansione relativamente anarchica delle città nelle periferie.
Inoltre, da diversi anni, assieme a questo sviluppo della società capitalista dei consumi, e come dappertutto nel mondo, il denaro impone la sua dittatura. Tutto (o quasi) si compera. Le leggi assumono allora un carattere relativo. Il veleno del culto del denaro si insinua nei cuori e nelle menti e pone numerosi problemi di coscienza in particolare quando ci sono delle difficoltà da risolvere: pagare per uscire dal vicolo cieco e guadagnare tempo, o non pagare e affrontare le difficoltà? Mantenere un controllo morale, spirituale, chiaro non è una scelta facile, soprattutto per dei cattolici che hanno presente l’ammonimento di Cristo a non servire due padroni, Dio e il denaro (Mt 6,24).
Nei giovani, la seduzione dei beni materiali è ugualmente molto forte, come l’uso dell’internet e delle reti sociali. Ma non è un fatto solo del Vietnam.
Gli effetti sulle comunità
monastiche
L’espansione degli agglomerati urbani nelle periferie, i problemi fondiari e l’afflusso delle vocazioni con le difficoltà che pone, sono delle conseguenze dirette di queste recenti evoluzioni.
L’espansione delle città e i problemi fondiari
La forte crescita urbana iniziata una ventina di anni fa ha avuto delle ripercussioni sulla vita religiosa. Il fenomeno ha cooperato sia a limitare la possibilità di allargarsi, se queste comunità erano vicine alla città, sia a mettere fine all’isolamento di quelle più lontane. Le comunità urbane periferiche si sono trovate con dei nuovi vicini, in prossimità di strade, in una parola in un ambiente prossimo sconvolto (per esempio Thiên Phuoc o Thủ Đức). Terreni che prima del 1975 potevano appartenere alle comunità già esistenti sono progressivamente invasi, acquistati, recuperati da famiglie che si stabiliscono vicine. La forte crescita demografica e soprattutto l’esodo rurale accentuano la pressione fondiaria. Dal tempo della liberalizzazione fino ai nostri giorni, i monasteri entrano in competizione con altre persone per acquistare i terreni e costruire in fretta per impedire eventuali invasioni. Oltre all’inquinamento acustico prodotto da questa urbanizzazione galoppante, è necessario proteggere le proprietà e i beni con dei muri costosi e vegliare affinché la legalizzazione dei terreni sia ben chiara. Tutto ciò provoca, da una ventina d’anni, continue preoccupazioni nelle comunità e dei costi.
In alcuni casi (per esempio nel monastero di Thiên An nella periferia di Huê) i problemi fondiari sono diventati maggiori, fanno parte di un conflitto aperto con le autorità locali e obbligano più che mai ad affidarsi alla Provvidenza divina.
La crescita urbana ha creato anche un ambiente geografico difficile. Ciò riguarda le comunità situate a Hô-Chi-Minh-City o nella sua grande banlieu. Al caldo e all’umidità di un clima tropicale si aggiunge tutto lo stress di vivere in una megalopoli in cui la circolazione è densa, l’inquinamento atmosferico e acustico sono elevati. I vietnamiti si spostano in gran parte in scooter e hanno paura che capitino degli incidenti. Così, per esempio, i fratelli studenti di Thiên Binh, dal lunedì al venerdì, si recano tutte le mattine a seguire i corsi al seminario francescano di Hô-Chi-Minh, e trascorrono tra un’ora e mezza e due ore in mezzo a questo traffico pericoloso. Alcuni dicono di aver paura che capiti loro un incidente. Questo crea un reale stress che io ho potuto sperimentare compiendo una sola volta il tragitto per recarmi nella megalopoli in scooter, dietro a un fratello.
Ma la vita di queste comunità è allo stesso tempo fortemente scossa dall’afflusso di giovani che desiderano impegnarsi nella vita religiosa. In effetti l’apertura degli anni’90 ha gradualmente provocato un afflusso di vocazioni religiose che è necessario discernere e accogliere.
Un afflusso di vocazioni da accogliere dal punto di vista materiale, umano e spirituale
Si tratta di un fenomeno noto che tende lentamente ad assestarsi. In effetti, attualmente, finita l’epoca della transizione demografica, le famiglie numerose sono meno frequenti, in particolare nel Sud e, a livello del paese, in città. Ma coloro che ancora entrano o sono entrati da una decina d’anni provengono spesso da famiglie di cinque-dieci figli, in genere piuttosto povere, famiglie rurali, contadine, in particolare adesso, dal nord o dal centro del paese. La diocesi di Vinh, nel centro, rimane una riserva importante di vocazioni. Conta sei milioni di abitanti di cui 500 mila cattolici (La croix 24.05.2017) e si colloca nelle zone particolarmente povere del Vietnam.
Di fronte a questo afflusso di giovani, la difficoltà per le comunità è quindi di discernere l’origine della chiamata: si tratta di una vera vocazione di Dio a consacrargli la propria vita o della ricerca di una promozione sociale? Questo interrogativo centrale non è solo del Vietnam né caratteristico di questo periodo; anche le comunità dell’Africa si trovano ad affrontarlo, e quelle dell’Europa hanno dovuto farlo a loro tempo. Quando i candidati provengono da famiglie povere, il dubbio c’è dovunque e sempre. Nel caso del Vietnam, per gli uomini, lo status di prete è molto apprezzato e a volte percepito, a partire da certi esempi dei preti diocesani, come una garanzia di riuscita materiale. Ora, da qualche tempo e di fronte all’afflusso di candidati, i seminari pongono delle condizioni per l’entrata: concorsi e diploma universitario che garantiscono il compimento di sei anni di studio. Ciò esclude di fatto i più poveri. Coloro che non hanno potuto studiare all’università e aspirano a diventare preti cercano perciò piuttosto di entrare in comunità religiose, con l’idea di studiare e diventare preti (cosa che può creare delle tensioni in seguito se ciò non corrisponde al servizio richiesto nella comunità).
Il problema del discernimento della vocazione è pertanto centrale e difficile anche per i candidati stessi benché sappiamo che Dio può servirsi di tutti i mezzi per attirare a sé e non è detto che un religioso entrato con “intenzioni non rette” non diventi alla fine un vero discepolo di Cristo. Una volta ancora questa domanda non ha nulla di originale, ma ciò che colpisce nel caso del Vietnam è che bisogna porla a molti candidati nello stesso tempo. L’esplosione delle vocazioni in un breve periodo è ciò che suscita delle domande in un osservatore che approda in Vietnam. Le ragioni, come è stato già accennato, sono senza dubbio da ricercare nel legame che esiste tra una precisa situazione politica (una certa liberalizzazione di un regime comunista ostile alla Chiesa) e certi fattori demografici e sociali (forte crescita della popolazione ed esodo rurale massiccio), tutto su uno sfondo storico antico di opposizione dei cattolici al potere politico, come testimonia il forte culto dei martiri. Dal XVII secolo, la Chiesa vietnamita si è edificata sul sangue dei martiri e la fede cattolica , minoritaria (i cattolici rappresentano oggi circa il 7% della popolazione), rimane un forte fattore di identità, a fortiori in un contesto di regime politico ostile. I giovani cattolici vietnamiti hanno pertanto molte ragioni a voler diventare religiosi. Ma è il caso, forse, di vederci anche (e soprattutto?) un forte soffio dello Spirito Santo e un disegno conosciuto solamente a Cristo, capo della Chiesa? “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9)
Qualunque siano le cause profonde, il problema principale è di accogliere queste vocazioni. Ciò significa in concreto costruire nuovi edifici su terreni limitati e già attorniati, nutrire questi giovani, formarli, accompagnarli. Si tratta della più grande difficoltà delle comunità da una buona decina d’anni. Attualmente il problema riguarda un po’ più le congregazioni o gli ordini apostolici, soprattutto quelli internazionali (salesiani, redentoristi, francescani, domenicani), e un po’ meno i monasteri maschili benedettini (la vita più contemplativa non è necessariamente ben capita in Vietnam). I monasteri cistercensi hanno avuto anch’essi a che fare con un afflusso di vocazioni che confluiscono in monasteri di cento a duecento monaci o monache (per esempio Phưởc Sơn e Vĩnh-Phước); per i benedettini meno di 70 monaci significa che si ha a che fare con un monastero “piccolo” che ha scelto di rimanere limitato. Dovunque la formazione è un problema centrale.
Per quanto ho potuto vedere, i giovani sono motivati per studiare, sono curiosi e meritano veramente di essere incoraggiati e aiutati, sapendo che non hanno avuto la possibilità di farlo nelle loro famiglie.
Gli squilibri demografici e i conflitti generazionali
Un’altra difficoltà di questo recente passato: è un “vuoto” nella piramide delle età dovuto alla quasi assenza di ingressi tra il 1975 e il 1995. I monaci tra i 45 e i 65 anni sono molto pochi, lo stesso vale per quelli più anziani, la classe che predomina si colloca tra i 25 e i 40 anni, ossia i monaci nati, all’incirca, tra il 1975 e il 1995, che quindi non hanno conosciuto altro che il regime comunista e, più in particolare, quello degli anni ’90.
Oltre alla differenza generazionale e dei suoi classici effetti in tutti i monasteri del mondo, c’è soprattutto un rapporto con la vita religiosa e semplicemente con la vita, molto diverso, che provoca parecchie incomprensioni e tensioni. I monaci più anziani hanno vissuto l’epoca anteriore al comunismo e in maniera molto consapevole il trauma degli anni 1975-1985, hanno sofferto la persecuzione, la fame, la povertà e ne conservano una viva memoria che li rende molto sensibili alla miseria attuale, in particolare dei contadini venuti in città. Hanno anche imparato a lottare e ad affidarsi alla Provvidenza, hanno imparato il silenzio, la diffidenza.
I più giovani sono cresciuti in un altro contesto, meno repressivo, meno ideologizzato, più pragmatico, più individualistico, rivolto al denaro e ai consumi. Non sono sempre sulla stessa lunghezza d’onda dei più anziani e faticano a capirsi. I giovani si lamentano di non essere ascoltati e compresi, i più anziani si lamentano dell’atteggiamento dei più giovani le cui rivendicazioni sembrano loro fuori luogo e in contrasto con la vita religiosa. Ciò indubbiamente non riguarda solo il Vietnam. Il potere è in mano ai più anziani, ma sono poco numerosi, la pressione dei giovani è molto forte e la minaccia che il pericolo esploda non è un’illusione.
Inoltre, il rapporto con l’autorità nei monasteri vietnamiti, e in senso più ampio in tutte le comunità religiose del paese, sembra, almeno dall’esterno, particolarmente complicato. Si ha l’impressione che, in certa misura, le regole siano fatte per essere aggirate, come in una specie di gioco del gatto e del topo. Gioco che mi sembra riflettere l’atteggiamento generale della popolazione in rapporto alla legge che ha perduto il suo carattere assoluto. Si può eludere pagando, oppure non sottomettersi ad essa per spirito di resistenza o capacità di sbrogliarsela.
Nelle comunità religiose il “gioco” di aggirare le regole riguarda l’uso del telefono portatile, l’accesso all’internet, il consumo di tabacco, alcol o di altri generi di alimentazione o anche il possesso dei beni di consumo. L’obbedienza, valore centrale della vita religiosa, e benedettina in particolare, è messa a repentaglio e ci vuole soprattutto molta psicologia, discernimento e umiltà nei formatori e nei superiori per gestire la situazione in un contesto già delicato, fino a determinare a volte delle priorità nei regolamenti e chiudere un occhio su ciò che può essere considerato secondario.
Diversità di origini geografiche e di modelli culturali da gestire
Esistono anche altre tensioni legate alle origini geografiche e ai modelli culturali. In forza della storia, a partire dal 1954, le comunità sono più numerose al Sud, ma le vocazioni più recenti vengono principalmente dal Nord o dal Centro, o, anche se si tratta dello stesso paese, non c’è esattamente la stessa lingua né la medesima cultura. I dialetti locali sono numerosi, gli accenti forti e i religiosi del Sud devono abituarsi a parlare con persone del Centro che a volte non capiscono. I gusti alimentari non sono esattamente i medesimi né, per esempio, il rapporto con il denaro, così capita che quelli del Nord possono trovare che quelli del Sud fanno dello spreco e che non sanno gestire. Questo fatto può dare adito a lamentele dei giovani del Nord nei riguardi dei più anziani del Sud. Non dimentichiamo che, tra il 1954 e il 1975, il Vietnam era diviso in regimi politici opposti e ciò senza dubbio ha avuto delle ripercussioni sul modo di intendere la vita da parte dei genitori dei monaci e della monache d’oggi. Se mettiamo insieme le differenze di età, di origini geografiche e di cultura, diventa difficile fare regnare la concordia e l’unità. Le divisioni possono essere numerose: il costituirsi di gruppi, superiori isolati, mormorazioni frequenti e a volte discordie che scoppiano più o meno apertamente.
Senza dubbio, tuttavia, con la presenza dello Spirito Santo, più forte di tutti gli spiriti umani, le comunità vanno avanti e si costruiscono malgrado tutte le difficoltà con una vitalità molto forte. Non si può non rimanere impressionati dal lavoro che viene compiuto in queste comunità in costruzione. Non si può non sottolineare il coraggio dei monaci e delle monache, in particolare dei superiori, che vanno avanti in questi contesti difficili e cercano di superare gli ostacoli con una fede incrollabile nella Provvidenza divina.
Altre sfide
da affrontare
Altre sfide possono essere congiunturali o più strutturali. Una prima è posta dallo scandalo di Formosa con delle conseguenze sulle comunità religiose. Ricordiamo che si tratta dell’inquinamento dell’ambiente di circa 200 km di coste, da parte di un’acciaieria taiwanese, nell’aprile 2016, nel centro del Paese. Centinaia di tonnellate di pesce sono morte mettendo in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni locali. La regione colpita è una delle più povere, molto rurale, agricola e dedita alle attività della pesca. È anche una riserva attuale di vocazioni religiose. Le famiglie di alcuni monaci ne sono particolarmente colpite, per quanto riguarda la loro salute, le loro risorse economiche già deboli o semplicemente nel loro nutrimento quotidiano. Si tratta di un fattore che disturba i giovani monaci interessati. Questa catastrofe sanitaria colpisce anche le vocazioni: giovani desiderosi di donare la loro vita al Signore sono già malati e costretti a tornare a casa.
Un’altra sfida ancora più seria e più strutturale si pone a queste comunità numerose: quella di trovare delle risorse. Come sappiamo, la regola di san Benedetto stabilisce la necessità del lavoro per provvedere alle proprie necessità, ma in questo contesto sconvolto sia dentro che fuori delle comunità, l’autosufficienza finanziaria è difficile da raggiungere in particolare per i monasteri maschili. Tutti sono alla disperata ricerca di un mezzo di sostentamento efficace, senza poterlo trovare. Moltiplicano piccoli prodotti di vario genere (sugo di pesce, derivati dalla manioca o dalla curcuma, allevamento del bestiame, ecc.) e in certe comunità c’è una forte pressione sul lavoro che può creare delle tensioni, soprattutto quando la distribuzione degli incarichi è avvertita, a torto o a ragione, come sbilanciata.
Questa impossibilità a provvedere al proprio sostentamento obbliga le comunità a una dipendenza nei riguardi dei benefattori, in particolare quelli della diaspora americana. Senza le loro donazioni o prestiti non può essere completato alcun progetto edilizio, ed è senza dubbio in gioco anche la stessa sopravvivenza dei monasteri. Ciò obbliga a mantenere un legame particolare con questi benefattori, fatto di viaggi per incontrarli, pasti e regali di ringraziamento, vari doni spirituali da parte dei monaci, in particolare messe per i defunti, concessioni quanto a statue, monumenti o altri elementi desiderati dai benefattori (targhe o banchi con i loro nomi, ecc.).
Da una parte c’è un bellissimo scambio di doni e dall’altra una dipendenza forse non sempre comoda e in ogni caso piuttosto aleatoria e rischiosa, sapendo che le nuove generazioni della diaspora sono lontane dall’avere la stessa fede e il medesimo legame affettivo con il Vietnam dei loro genitori. È probabile che i discendenti dei boat-people vedano sempre meno la necessità di aiutare delle comunità religiose del Vietnam. Ma la Provvidenza di Dio è inesauribile.
Per concludere, – scrive Nathalie Raymond – vorrei insistere, da una parte, sulle molteplici difficoltà che i monasteri devono affrontare e, dall’altra, sul coraggio di cui danno prova i monaci e le monache, e in particolare i superiori che devono lottare contemporaneamente su così tanti fronti. Con un monachesimo recente e un accumularsi nel tempo di un insieme di problemi, la costruzione dei monasteri e delle comunità pone un gran numero di sfide che essi cercano di superare con coraggio e una fede indefettibile nella Provvidenza divina. Davanti a questa costatazione, mi sembrerebbe importante non rimanere indifferenti alla loro situazione: ascoltarli (poiché penso che noi abbiamo anche molto da imparare da loro), incoraggiarli e, in particolare, a non aver paura ad esprimere i loro bisogni, cercando di offrire ad essi l’aiuto che chiedono, quando lo chiedono.
(a cura di A.D.)