Crociata Mariano
Elezioni al parlamento europeo: la posta in gioco
2019/5, p. 12
In questi mesi sentir parlare di elezioni europee sembra ovvio; sarebbe da valutare quanto esse siano menzionate per se stesse e quanto invece in funzione di altro. Anche in ambito ecclesiale si possono annoverare diverse prese di posizione, soprattutto di organismi e associazioni. La Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (Comece) è intervenuta, da parte sua, con una dichiarazione che ha anticipato e interpretato il clima dell’assemblea primaverile dello stesso Consiglio, al quale è intervenuto il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker.

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Elezioni al Parlamento europeo: la posta in gioco
Mons. Mariano Crociata, vicepresidente della Commissione degli episcopati dell’Unione, illustra la dichiarazione dei vescovi sulle imminenti elezioni (23 maggio). C’è bisogno di una nuova narrativa di speranza.
In questi mesi sentir parlare di elezioni europee sembra ovvio; sarebbe da valutare quanto esse siano menzionate per se stesse e quanto invece in funzione di altro. Anche in ambito ecclesiale si possono annoverare diverse prese di posizione, soprattutto di organismi e associazioni. La Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (Comece) è intervenuta, da parte sua, con una dichiarazione che ha anticipato e interpretato il clima dell’assemblea primaverile dello stesso Consiglio, al quale è intervenuto il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker. Dal suo intervento, di bilancio quanto ai contenuti e ottimistico per atteggiamento e aspettative, emergeva implicitamente che, accanto alla distanza che separa le preoccupazioni e gli interessi di chi opera nelle istituzioni e negli organismi dell’Unione Europea e l’opinione pubblica e i popoli, c’è da mettere in conto una inadeguata comunicazione e condivisione, che impedisce a questi ultimi di cogliere quanto viene di fatto compiuto in sede europea, e a questa di seguire e assecondare con l’attenzione e la sensibilità necessarie le attese e le speranze delle varie comunità nazionali. Il rischio è quello di vedere vanificati tanti sforzi non solo per errori e ritardi obiettivamente riscontrabili, ma anche per incomprensioni e fraintendimenti. In questo campo, spesso la comunicazione pubblica, condizionata da faziosità di parte, non aiuta a capire e conoscere, ma mette in circolo una visione riduttiva e distorta di questioni a dir poco complesse. Basterebbe aiutare a capire la differenza di competenze tra Unione e Stati nazionali, o anche le procedure necessarie che permettono alle indicazioni europee su tanti aspetti di diventare operative in ambito nazionale, per svelenire il clima e soprattutto per far capire i problemi realmente in gioco, e così elaborare un giudizio veridico e una linea di azione conseguente.
Raccontare una visione
In questo senso la Dichiarazione della Comece è non solo un invito accorato a farsi carico del diritto-dovere di andare a votare, a dare il proprio contributo per un’Europa che sia espressione di un elettorato che sceglie e indirizza, ma anche un messaggio che vuole mettere a fuoco i temi più rilevanti che dovrebbero animare il dibattito pre-elettorale. Ma è innanzitutto il sentimento dominante a venire individuato come condizione di fondo per un rilancio dell’Unione. C’è bisogno di «una nuova narrativa di speranza», o forse, semplicemente, di speranza, di apertura fiduciosa verso il futuro. Questo fattore è probabilmente decisivo più di tanti altri nel determinare orientamenti e scelte anche in vista del futuro politico dell’Unione, a cominciare dalla stessa scelta di votare. Siamo così rimandati a una responsabilità che interpella, in maniera diversa e trasversalmente, tutti.
Si pone certo una questione di persone e non solo di schieramenti, di candidati e non solo di programmi; perciò è legittimo aspettarsi da parte loro «integrità, competenza, leadership ed impegno per il bene comune». Difficile trovare qualcuno in disaccordo sulla necessità di simili caratteristiche; è auspicabile che gli elettori godano di una più grande libertà interiore nel cercarne il rispecchiamento in figure concrete proposte all’attenzione di tutti, anche se le responsabilità di chi deve esprimere un voto si intrecciano con quelle di chi compone le liste. Ma anche su questo punto, solo un maggior dibattito e una accresciuta consapevolezza e un’adeguata informazione possono incidere efficacemente su taluni meccanismi ‘oligarchici’.
Nel merito delle materie toccate dalla Dichiarazione si coglie subito che la visione cristiana, della dottrina sociale della Chiesa, da cui promana lo sguardo dei vescovi, si intreccia intimamente – sia pure con differenza di accenti – con gli interessi, le attese e le richieste del vasto elettorato europeo. Un intreccio che tocca in primo luogo la stessa idea di persona, che la vulgata corrente vede soprattutto nell’ottica dei diritti individuali, ma che uno sguardo equilibrato pone inseparabilmente in rapporto alle comunità e alle reti di relazioni da cui viene e in cui vive ciascuno e da cui discendono i quadri valoriali e i riferimenti etici che dovrebbero regolare la dinamica sociale.
Più figli,
più futuro
I temi economici sono quelli più frequentati anche nel confronto quotidiano delle persone comuni e non solo tra gli addetti ai lavori e i politici a tutti i livelli. A questo proposito viene utilizzata una formula che riassume bene un approccio largamente condiviso: economia sociale di mercato. È un orientamento ben presente nelle dinamiche sociali e politiche attuali, ma ha bisogno di essere rinforzato nella sua ricerca di un equilibrio tra libero mercato ed esigenze di equità e di giustizia sociale. Da questo dipende anche la delicata – se non drammatica – questione del lavoro, che vede ancora percentuali molto elevate di disoccupati lasciati senza prospettive. Il processo di digitalizzazione, che tanto influsso esercita sulla società, esige di essere governato, poiché interessa non solo l’economia e la finanza, ma anche il futuro del lavoro, la protezione dei dati personali, gli sviluppi e le applicazioni dell’intelligenza artificiale, nonché tanti altri aspetti del vivere individuale e associato.
Orientamento etico e apertura fiduciosa al futuro si intrecciano in misura rilevante con le dinamiche economiche anche nel condizionare in maniera determinante gli ambiti della demografia e della famiglia. Il calo generalizzato, anche se in proporzioni differenziate tra i paesi, della natalità produce una progressiva perdita di forza vitale della società e non solo un impoverimento collettivo. «Dovrebbero essere sviluppate norme e pratiche favorevoli alla famiglia a livello UE, finalizzate ad accompagnare lo sviluppo umano integrale di persone, famiglie e comunità. La questione demografica deve essere riportata al centro della scena. Il tema riguarda la natalità ma anche l’invecchiamento».
Occasione
irripetibile
In questo percorso tematico, in cui tutto si vede inestricabilmente intrecciato, non meno importante è la presa in carico delle fasce marginali delle popolazioni – contrastando tutte le forme di povertà – e degli immigrati, che ormai sono una presenza rilevante non solo in termini percentuali, bensì anche qualitativi, di sviluppo sociale, economico e culturale. Per tutto il quadro devono valere i principi della solidarietà e della sussidiarietà, che vengono già avvertiti da tutti come principi portanti di una convivenza interculturale e inter-religiosa socialmente equa e libera. Ciò che andrebbe imparato è vivere uniti tra diversi. «L’unità nella diversità implica regole comuni che contribuiscano alla legittima protezione e promozione delle libertà», attraverso responsabilità, trasparenza e una corretta applicazione dello stato di diritto.
Sono questi tra i temi più importanti che dovrebbero alimentare il dibattito in vista delle elezioni, colte come una occasione irripetibile di coscienza europea e di responsabilità collettiva dei cittadini dell’Unione. Bisognerebbe rendersi sempre più conto, tutti insieme, che solidarietà e unità tra popoli e nazioni, democrazia interna, sviluppo economico e ruolo globale dell’Unione sono aspetti inseparabili di un bene collettivo messo in pericolo dagli egoismi nazionali e dalle miopie che essi alimentano. C’è una identità comune e una capacità di solidarietà che possono solo far crescere «i legami sociali esistenti sia tra i paesi ed i popoli, che all’interno di essi». Se da un lato le indicazioni dell’Unione non dovrebbero essere date e recepite come decisioni imposte unilateralmente, dall’altro lato bisognerebbe «favorire l’impegno personale e collettivo di tutti i cittadini in un dialogo reale, creativo e rispettoso».
In questo momento, come credenti cristiani e cattolici, dovremmo sentire il dovere di dare espressione alla nostra fede non rivendicando o difendendo interessi di parte, bensì sostenendo e incoraggiando la causa europea come bene comune dei popoli dell’Unione; in quella causa si esprime una dimensione importante della nostra stessa coscienza, della nostra identità e della nostra storia.
mons. Mariano Crociata