Gellini Anna Maria
IL NOVUM DA ACCOGLIERE
2019/5, p. 6
Concretezza e gusto della vita, testimonianza di una vita buona, bella, pienamente umana, in comunità che non siano alberghi ma focolari; ascolto attento e amorevole, cammino esistenziale condiviso, è quanto chiedono i giovani ai consacrati e alla Chiesa.

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Testimoni
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66° Assemblea nazionale USMI
IL NOVUMDA ACCOGLIERE
Concretezza e gusto della vita, testimonianza di una vita buona, bella, pienamente umana, in comunità che non siano alberghi ma focolari; ascolto attento e amorevole, cammino esistenziale condiviso, è quanto chiedono i giovani ai consacrati e alla Chiesa.
L’appuntamento annuale delle Superiore generali e provinciali, accompagnate da Vicarie e Consigliere, ha dato vita alla 66° Assemblea nazionale dell’USMI, presieduta da madre Yvonne Reungoat, fma e moderata da sr.Elisa Kidanè, smc. Le giornate, (dal 10 al 12 aprile all’SGM Conference Center di Roma), sul tema Giovani e donne consacrate. Distanza e prossimità. Passi comuni nel post-Sinodo, sono state animate e arricchite da intensi momenti di ascolto, di dialogo, di condivisione, tra circa 370 religiose, cinque giovani, sei giovani consacrati/e e i cinque relatori.Numerosissimi gli in-put che Serenella Del Cinque ha definito: «provocanti, liberanti, scomodanti» per «aprire le orecchie, liberare lo sguardo, farci grembo accogliente».
«Ci vedete
ma non ci cercate…»
L’ascolto dei giovani, durante la prima giornata, ha fatto emergere domande che donne e uomini consacrati sono chiamati a porsi riguardo alla concretezza della loro vita, alla passione per l’umano, all’autenticità della fede, alla loro capacità di sguardo che sappia intercettare le persone là dove sono e dare un orientamento di vita nel rispetto e nella libertà.
«Ci vedete, ci aspettate, ma non ci cercate…il nostro bisogno più grande è essere cercati davvero!»: un appello accorato, forse un rimprovero, rivolto all’assemblea da Irene Castronuovo, trentunenne di Bologna, impegnata nell’Associazione Inout .
Poco prima di lei, Maria Civita aveva detto: «I consacrati li vediamo lontani o troppo possessivi…Vorrei chiedere a qualcuno di loro: -Ti importa di me o ti importa di popolare casa tua?» Sostanzialmente tutti i giovani intervenuti hanno chiesto che le persone consacrate siano prima di tutto espressione piena, credibile, significativa di umanità. «Prima di parlarci di Dio, voi consacrate dovete parlarci di vita, per vivere, respirare l’amore attraverso la vita. Prima devo incontrare il bene – ha detto ancora Irene – poi incontrerò la fede. Prima devo sentirmi preziosa per qualcuno, poi capirò che sono preziosa anche per Dio».
«Di giovani si parla tanto, ma quasi nessuno ha il coraggio di stare in mezzo a noi – ha affermato Samuele. C’è bisogno di persone che ci sostengano nel cammino e che credano in noi»; e Matteo ha aggiunto che i giovani desiderano vedere nelle persone consacrate il gusto della vita, la gioia della fede, e che siano le persone consacrate a farsi loro guide, punti di riferimento, per dare risposte o per aiutare a trovare le risposte alle loro domande. I giovani chiedono inclusione, opportunità educative, lavorative, riconoscimento. Dal loro bisogno di accompagnamento, di guide presenti ma discrete, comprensive ed esigenti, dall’urgenza di essere cercati là dove si trovano, è emersa l’immagine significativa della fiamma che ogni giovane porta dentro di sé: le vicende della vita e del mondo, tante relazioni poco umane e “mortifere”, soffiano di continuo su questa fiamma, rendendola pericolosamente piccolissima. «Venite a cercarci per ravvivare le nostre lampade!». La VC, a condizione di essere più umana e più fraterna, più autenticamente cristiana e profetica, può rispondere a questo appello.
Il “novum
che va accolto
I giovani già entrati in un cammino di consacrazione non sono diversi da tutti gli altri della loro stessa generazione. Chiamati in assemblea a rispondere come vedono la VC e che cosa di essa vorrebbero vedere, tutti – pur con sfumature diverse – hanno affermato di vedere una VC bisognosa di freschezza, di maggior fiducia in Dio, più autentica e gioiosa, più disponibile all’ascolto e all’accoglienza del nuovo, meno omologata e appartata. Desiderano persone consacrate non adagiate nella mediocrità, capaci di vera fraternità, che non abbiano paura della fragilità, che non spengano lo slancio dei giovani e non li abbandonino. «Non ricerchino la perfezione, perché non è la perfezione che fa incontrare Dio, ma valorizzino l’umanità per incontrare gli altri e per incontrare Dio che si è fatto umano», ha sottolineato Sabrina, novizia alcantarina.
Don Chávez bene ha sintetizzato gli interventi/testimonianze di tutti i giovani presenti: solitudine, precarietà familiare, ansia esistenziale, cyberbullismo interpellano le persone consacrate perché «accompagnino il cammino mettendosi in cammino, capaci di riscaldare il cuore, nella rinuncia a dogmatismi e moralismi, favorendo sicurezza, stabilità, appartenenza, formazione della coscienza, maturazione della propria identità, orientamento».
È urgente «ridare alla VC il fascino e l’incanto che ha perso, recuperare la radicalità che vuole dire avere radici in Cristo, avere linfa evangelica. In un mondo in cui prevalgono l’individualismo, l’appiattimento, l’anonimato, rapporti spesso virtuali, è urgente passare dalla vita comune alla comunione di vita, dove le relazioni non siano funzionali, ma umane, generative di comunità che non siano alberghi ma focolari, luoghi di conversione prima che di formazione», «spazi fraterni e piacevoli – come li ha definiti sr. Nicla Spezzati - da allargare con accoglienza cordiale per l’orfanezza di oggi, dove si viva con senso, dove sia possibile trovare casa e stare bene». Parole da lei stessa approfondite con realismo e rigore: «Oggi è il tempo del pensiero breve e frammentato, di luci che si accendono per un istante a richiesta e a consumo. Quello che è usurato non serve più, ma spesso continuiamo a declinare intelligenza e pratiche su stereotipi non più vitali. D’altra parte sembra impossibile coniugare i modelli di vita consacrata su un paradigma sicuro: tutto è in divenire. In particolare accogliere i/le giovani che postulano la sequela Christi significa puntare lo sguardo su noi stessi; sul nostro stile di vita; sulla qualità dell'umano che vive in noi e tra noi; sulla vivibilità significativa delle nostre relazioni e dei nostri ambienti di vita; sulla sinodalità del nostro camminare insieme e nella Chiesa; sulla familiarità con la gente, sulla vicinanza ai poveri. Significa sapere che stiamo trattando “il caso serio dell'umano”; entrare nella consapevolezza fiduciosa che sta nascendo un nuovo profilo d'umanità; accompagnare nel modo e nello stile sapienziale tale umanizzazione nei luoghi concreti in cui si svolge la vita ed attendere che vi si accenda il mistero cristiano».
Franchezza nel parlare
apertura nell’ascoltare
«Se partiamo dalla convinzione che lo Spirito continua a suscitare vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, possiamo “gettare di nuovo le reti” nel nome del Signore, con piena fiducia. Possiamo – e dobbiamo – avere il coraggio di dire ad ogni giovane di interrogarsi sulla possibilità di seguire questa strada». «Oggi, però, l’ansia e la velocità di tanti stimoli che ci bombardano fanno sì che non ci sia spazio per quel silenzio interiore in cui si percepisce lo sguardo di Gesù e si ascolta la sua chiamata». Attingendo alla esortazione apostolica postsinodale, don Sala ha riletto il cammino del Sinodo con sguardo ecclesiologico, pedagogico e pastorale. Ascolto e silenzio, conversione, formazione e missione sono da ritenersi fondamentali per cammini esistenziali ed ecclesiali condivisi, per «edificare le comunità attraverso il dono delle differenze», per «rilanciare la pastorale con fedeltà creativa, non ripetitiva», per dare all’accompagnamento e alla trasmissione della fede la «dinamica della gestazione: se la VC non è madre non può essere maestra». Una maternità ben espressa da papa Francesco (cfr. Chv n.75-76): «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. […] chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché anche la società sia più madre, perché invece di uccidere impari a partorire, perché sia promessa di vita. […] Quando saprai piangere, soltanto allora sarai capace di fare qualcosa per gli altri con il cuore».
Questo comporta una «reinterpretazione continua della VC, per piantarla nella realtà, nell’incarnazione» - ha affermato sr. Nicla. «I nostri bagagli formativi non sempre sono connessi con la realtà. Il carisma invece, per sua natura, è sempre in movimento, capace di trovare nuove forme da mettere in atto con stile sapienziale nell’esperienza vivente». E relazioni significanti e significative sono «l’unica condizione per stare nel presente e non chiuderci al futuro».
Accompagnare processi
non imporre percorsi
Il richiamo ad alcuni paragrafi della Chv (297,112,118, 124) apre a una nuova forma pastorale di accompagnamento e di discernimento.
Poiché «il tempo è superiore allo spazio», (EG 162) «dobbiamo suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi. E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere». È quanto ha evidenziato anche Rosalba Manes, parlando dell’accompagnamento personale dei processi di crescita.
La consacrazione per noi e la proposta di consacrazione per i giovani «è un cammino, un avvicinamento, una tensione, non un dato ricevuto all’origine e bloccato lì». Questo riguarda anche i molteplici consigli di radicalismo evangelico per i quali vanno recuperati e proposti i valori molteplici che sr. Nicla evidenzia in «vigilanza, tenerezza, misericordia, sobrietà, giustizia, carità, servizio, espressioni evangeliche vincolanti per la sequela di Cristo. Nell’antropologia contemporanea non possiamo stare fermi sulle stesse parole; i contenuti vanno ridetti, rivisitati per l’oggi». Così i giovani più o meno lontani, si faranno vicini solo attraverso valori umanizzati da un ascolto continuo e paziente, dalla parola dei miti, dalla fortezza dei saggi, dall’umiltà dei profeti. E allora il grido della fede nascerà da un incontro: «Dio ti ama, Cristo ti salva, Cristo vive»! «Colui che ci colma della sua grazia, Colui che ci libera, Colui che ci trasforma, Colui che ci guarisce e ci conforta è Qualcuno che vive».
Perché la distanza
diventi prossimità
Come fontana di acqua fresca, ben connessa alla sorgente e traboccante senza misura, Rosalba Manes ha fatto risuonare in assemblea tanti passaggi della Parola di Dio per rendere autorevoli e credibili alcune chiamate, fondamentali perché le distanze diventino prossimità e le prossimità siano accompagnamento, intercessione, gestazione, «trade union tra la Pasqua di Cristo e la pasqua dei fratelli».
Il Dio sensibile e coinvolto nelle vicende del suo popolo (Es 3, 1-12), ci chiama ad avere «uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoverci e fermarci», per «toglierci i sandali davanti alla terra sacra dell’altro», capaci di «amore eccedente, senza calcoli», inviate «come angeli, senza paura del fuoco, per sciogliere i legami dei fratelli» (Dan 3,49-50). E – non da ultimo – chiamate a essere madri, guardando a Maria, Madre e Donna, «chiamata da Dio ad espropriarsi» per «dare alla luce, per dare la Vita». Significative, profondamente umane ma abitate dallo Spirito le parole di Alda Merini con cui Rosalba Manes ha catturato il silenzio dell’assemblea all’inizio della sua riflessione. Nel suo Magnificat, Maria ci viene incontro per accompagnarci nel cuore di Dio e da lì ripartire con un cuore nuovo, capace di intercettare altri cuori per ricondurli a Dio. Sì, perché «La sua verginità era così materna che tutti i figli del mondo avrebbero voluto confluire nelle sue braccia. Era aulente come una preghiera, provvida come una matrona, era silenzio, preghiera e voce. […] Se muoveva i suoi piedi pieni di grazia, la terra diventava sorgiva. Se cantava, tutte le creature del mondo facevano silenzio per udire la sua voce. Ma sapeva essere anche solennemente muta. I suoi occhi nati per la carità, esenti da qualsiasi stanchezza, non si chiudevano mai, né giorno né notte, perché non voleva perdere di vista il suo Dio.[… ] Sei la povertà e la ricchezza, il sogno e la contraddizione, la volontà di Dio e la volontà dell’uomo, che tu educhi alla contemplazione».
Come donne consacrate possiamo guardare a Maria e con lei, - discepole e missionarie – ripetere queste parole che la Merini fa scaturire dal suo cuore:
«Le mie ginocchia, avide di molto cammino, sono state generate dalla tua grazia. Ho dovuto riposare ai piedi della montagna senza mai sormontarla ma Ti ringrazio per avermi destinata a servire. Non ad essere una regina potente ma un’umile serva».
Anna Maria Gellini