Chiaro Mario
Quale Europa vogliamo?
2019/4, p. 23
L’Unione Europea sta vivendo un passaggio critico della sua storia. Per questo è importante conoscere gli attuali equilibri che potrebbero cambiare e prepararsi al voto in maniera consapevole sapendo che cosa è in gioco. L’appuntamento è per domenica 26 maggio.

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Testimoni
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Elezioni del Parlamento europeo 2019
QUALE EUROPA
VOGLIAMO?
L’Unione Europea sta vivendo un passaggio critico della sua storia. Per questo è importante conoscere gli attuali equilibri che potrebbero cambiare e prepararsi al voto in maniera consapevole sapendo che cosa è in gioco. L’appuntamento è per domenica 26 maggio.
«Questa volta c’è grande (e trepidante) attesa verso le elezioni europee del maggio prossimo. Sia per la sorte dell’UE, sia per gli equilibri politici nostrani. In passato non era così. Le elezioni europee erano considerate “minori”. Celebrate quasi distrattamente…. Perché ora non è così, perché è giusto che non sia così, perché le prossime elezioni europee acquistano un singolare rilievo? La risposta è semplice: esse cadono nel vivo di uno dei passaggi più critici del progetto europeo e dell’Unione»: così scrive Franco Monaco nell’importante articolo Europa al bivio (cf. Testimoni, 1/2019, pp. 31-33). Nel vivo di questo passaggio storico è dunque necessario prepararsi al voto europeo conoscendo innanzitutto le attuali strutture e funzioni delle istituzioni dell’Unione Europea (UE), per partecipare davvero in molti: ricordiamo che alle prime elezioni del Parlamento europeo nel 1979 votò il 63% degli elettori; nel 1994 l’affluenza si attestò al 57%, per arrivare a poco più del 42% sia nel 2009 che nel 2014. La scarsa partecipazione testimonia di come le elezioni europee siano ancora percepite dagli elettori e, cosa più grave, dalla classe politica come elezioni “di secondo livello”. Per questo motivo il Parlamento europeo ha iniziato una campagna d’informazione per invitare alle urne i circa 400 milioni di elettori dei 27 Paesi membri della UE.In particolare, in questa tornata elettorale, si vorrebbe trasmettere l’idea che le decisioni del Parlamento europeo, che eleggiamo ogni cinque anni a suffragio universale diretto, hanno un impatto chiaro, diretto e positivo nell’esistenza di ciascuno di noi.
Europa: una storia
e un progetto in divenire
La UE è un partenariato economico e politico, unico nel suo genere: è nata dopo la seconda guerra mondiale per promuovere la pace attraverso la cooperazione economica tra i paesi, partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza economica che riduce i rischi di conflitti. L’UE si fonda sul principio dello Stato di diritto: tutti i suoi poteri emergono sui Trattati ratificati dalla totalità degli Stati membri; sono primarie la trasparenza e la democraticità delle istituzioni che la compongono. La storia della UE è dunque raccontata dai suoi Trattati, che l’hanno fatta avanzare nonostante le grandi differenze interne e le sempre nuove sfide.Ricordiamo i tre snodi chiave del progetto europeo: a) Trattato di Roma (1957) firmato dai 6 Stati fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo e Olanda), con il quale si è aperta la strada di una Comunità economica europea (CEE), guidata da un Sistema monetario (Sme) e da un Mercato comune; b) Trattato di Maastricht (1993), frutto anche della riunificazione delle due Germanie (1990), che fece della Comunità europea il primo pilastro della Unione Europea, ponendo così le premesse dell’Unione monetaria e della moneta unica, l’euro (usato oggi da 19 paesi), insieme alla creazione della Banca centrale europea (Bce); c) Trattato di Lisbona (2007), con il quale s’introdussero elementi significativi di una grande comunità di nazioni che, pur non configurandosi come Stato federale, si strutturava ulteriormente a livello intergovernativo decidendo l’istituzione del ruolo di presidente del Consiglio dei capi di Stato e di Governo, una ridefinizione delle modalità di votazione nel Consiglio (una decisione può essere bloccata col voto contrario di almeno quattro Stati membri), la creazione di un’agenzia di difesa europea, la procedura di co-decisione fra Consiglio e Parlamento europeo, il diritto alla fuoriuscita di uno Stato membro.
Un ulteriore importante tassello è stato posto con la Convenzione di Schengen (1999), con la quale si è creata “un’area senza frontiere interne nella quale è assicurato il libero movimento di persone, beni, servizi e capitali”. Quest’accordo è diventato foriero di una quantità di conseguenze, positive e negative, e di problemi in molti campi, soprattutto quello dell’immigrazione interna ed esterna in Europa. Il necessario controllo delle frontiere ha portato al Protocollo di Dublino (1990 e poi 2003), in cui si è deciso che responsabile di controlli e registrazione dei migranti deve essere lo Stato di prima accoglienza (si valuta l’esistenza dei requisiti per ottenere lo status di rifugiati).
Da questo lungo e laborioso processo emerge l’attuale volto istituzionale della UE, che comprende quattro organismi fondamentali: il Parlamento (eletto ogni 5 anni, con sistema proporzionale, ha sedi a Bruxelles e Strasburgo; esercita la funzione legislativa e decide il bilancio); il Consiglio dei capi di Stato e di Governo (con funzioni di impulso politico, si riunisce quattro volte l’anno; propone al Parlamento il presidente della Commissione europea); il Consiglio dei Ministri (prende decisioni a maggioranza qualificata riunendosi in varie formazioni, a seconda dei Ministri coinvolti; esercita il coordinamento delle politiche UE e negozia leggi con il Parlamento); la Commissione europea (27 membri più il presidente; dura 5 anni e propone norme da sottoporre al Parlamento; vigila sulle applicazioni delle leggi, decide l’assegnazione dei fondi e ha il controllo degli stessi).
Partiti e famiglie
politiche europee
Per il prossimo appuntamento del 2019 (domenica 26 maggio) occorre innanzitutto ricordare tre elementi che hanno finora condizionato l’elezione del nuovo Parlamento: il declinante tasso complessivo di partecipazione (nel 2014 hanno votato il 42,4% degli aventi diritto, in Italia il 57,2%); le poche risorse investite dai partiti nazionali e dai loro dirigenti per proporre una chiara visione dell’Europa; l’attivismo di euroscettici e di oppositori a vario titolo della UE, che riescono a mobilitare cittadini insoddisfatti dell’azione delle élite europeiste che si sono avvicendate al governo del continente. Se le elezioni stabiliscono un rapporto tra offerta di rappresentanza di partiti/candidati e risposta da parte degli elettori, purtroppo occorre sottolineare che, nel corso di venticinque anni e di otto elezioni, questo circuito non si è affatto consolidato!
Alla luce del quadro storico e istituzionale illustrato sopra, vanno comunque approfondite alcune coordinate necessarie per votare nel modo migliore possibile, in base all’identità dei partiti, dei loro programmi e delle loro alleanze.In gioco ci sono 705 seggi da eurodeputato, dal momento che nel 2018 il Parlamento ha deciso la riduzione del numero dei suoi seggi, a motivo del clamoroso referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’UE (la cosiddetta Brexit è fissata per il 31/3/2019). Il sistema elettorale consiste in un proporzionale puro con soglia di sbarramento al 4% (c’è incompatibilità fra mandati nazionali ed europei). Nella scheda elettorale si è chiamati a contrassegnare la lista prescelta: è possibile esprimere da uno a tre voti di preferenza per candidati compresi nella lista votata (nel caso di tre preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della terza preferenza).
Il numero dei deputati di uno Stato membro è calcolato in base alla sua popolazione: all’Italia oggi spettano 76 deputati da eleggere in cinque collegi elettorali. Dopo essere stati eletti al Parlamento europeo, i deputati devono integrare – o formare – un gruppo politico transnazionale, sulla base delle affinità ideologiche. Per essere riconosciuto, un gruppo politico deve essere composto da almeno 25 deputati eletti in sette Stati membri (cioè almeno un quarto dei paesi), in modo che ogni gruppo sia rappresentativo di una giusta porzione di opinione pubblica europea. I gruppi giocano un ruolo fondamentale nella definizione della struttura del Parlamento, scegliendo il Presidente, i vicepresidenti, i presidenti delle commissioni e i relatori. I leader dei gruppi si riuniscono nella Conferenza dei Presidenti, per definire l'agenda delle sedute e anche il tempo di parola durante i dibattiti. Per un voto consapevole occorre dunque conoscere soprattutto gli apparentamenti dei partiti italiani con le varie famiglie esistenti.
Attualmente il Parlamento europeo, eletto nel 2014, è composto da 8 gruppi, che riuniscono oltre 100 partiti: 1) PPE-Partito Popolare Europeo, 217 seggi; 2) S&D-Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici, 187 seggi; 3) ECR-Conservatori e Riformisti europei, 75 seggi; 4) ALDE-Alleanza Democratici e Liberali per l'Europa, 68 seggi; 5) ENF-Europa delle nazioni e della Libertà, 37 seggi; 6) GUE/NGL-Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, 52 seggi; 7) Verdi/ALE-I Verdi/Alleanza libera europea, 52 seggi; 8) EFDD-Europa della Libertà e della Democrazia diretta, 41 seggi. Ventidue seggi sono andati ai NI-Non Iscritti ad alcun gruppo. (cf tabella 1)
Diciamo subito che i primi sondaggi di Strasburgo prospettano un fatto mai accaduto nella storia dell’Unione: i due maggiori gruppi, Popolari (PPE) e Social-Democratici (S&D), non avranno la maggioranza trasversale del Parlamento. La loro speranza di allearsi con il gruppo emergente dalla fusione dei Liberali (ALDE) col movimento En Marche del presidente francese Macron (accreditati 24 seggi) sembra essere naufragata dopo un’inchiesta che ha svelato i finanziamenti che i Liberali hanno ricevuto dalle grandi multinazionali (Google, Bayer, Microsoft, Uber). Sarà dunque fondamentale il contributo dei gruppi minori, che corrono a posizionarsi e a non rimanere isolati.
L’apportodell’Italia
Sempre secondo i sondaggi il PPE passerà da 217 a 186 seggi, con Forza Italia che apporterà 8 seggi. I Social-Democratici passeranno da 187 a 129 seggi: il Partito Democratico italiano apporterà 15 seggi. Il gruppo ENF salirà da 37 a 60 seggi, nel suo seno la Lega conquisterebbe 27 seggi (insidiando così il primato europeo della Cdu di Angela Merkel, che avrebbe circa 30 seggi). Il gruppo EFDD passerebbe da 41 a 34 seggi: al suo interno il Movimento 5Stelle salirebbe da 17 a 22 seggi. Il gruppo ECR cala da 75 a 43 seggi: Fratelli d’Italia concorre per 4 seggi. Attualmente, i maggiori partiti italiani stanno lavorando per creare movimenti trasversali, superando anche le precedenti famiglie. (cf. tabella 2)
A ben vedere, le vicine elezioni europee mettono in luce le grandi tensioni accumulatesi nel corso degli ultimi anni. La sinistra che si è trovata a gestire la drammatica “grande recessione” del 2008, un po’ in tutta Europa, ha seguito le teorie economiche neo-liberali, spesso formando governi di coalizione con partiti di centrodestra in nome dell’austerità e della flessibilità nel lavoro. Questa visione, che finisce per considerare la democrazia come una funzione dell’economia, ha prodotto un crollo di consensi, a favore dei movimenti antisistema, di varie sfumature e connotazioni, proliferati in tutto il continente. Queste elezioni cadono dunque in una situazione di confronto-scontro tra un fronte europeista che fa fatica a unire le sue voci, a raccontare una realtà complessa e ad avanzare proposte, e un fronte sovranista, che si mostra più abile a tessere alleanze transnazionali, a fornire un’interpretazione della realtà e a unire l’elettorato contro avversari comuni.
Mario Chiaro