Prezzi Lorenzo
Vittime e discernimento
2019/4, p. 20
La nostra responsabilità è di unire l’ascolto delle vittime, il rinnovamento della testimonianza evangelica e l’alimentazione della fiducia nel popolo santo di Dio.

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Testimoni
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Abusi nella vita consacrata
VITTIME
E DISCERNIMENTO
La nostra responsabilità è di unire l’ascolto delle vittime, il rinnovamento della testimonianza evangelica e l’alimentazione della fiducia nel popolo santo di Dio.
«Le suore e tutte coloro che si fanno avanti per parlare delle violenze subite contribuiscono con la loro sofferenza e il loro coraggio a un cambiamento culturale … abbiamo nei loro confronti un profondo debito di rispetto e di gratitudine. Prego che le loro richieste di aiuto non restino inascoltate, ma ricevano una risposta ugualmente coraggiosa e profetica». Non possiamo «nascondere l’inquietudine per le possibili ricadute negative che una mancanza di iniziativa potrebbe avere in futuro per la missione e la posizione della Chiesa e abbiamo manifestato la nostra disponibilità a offrire aiuto o collaborazione in qualsiasi forma per portare avanti le ricerche intorno a questo fenomeno» (prima citazione).
«Abbassiamo il capo per la vergogna quando ci rendiamo conto che tali abusi si sono verificati nelle nostre Congregazioni e Ordini e nella nostra Chiesa … La nostra vergogna è ancora maggiore perché non ci siamo accorti di quanto stava accadendo … riconosciamo che la risposta di coloro che sono in autorità non è stata come avrebbe dovuto essere. Non hanno riconosciuto i segnali di allarme o non sono riusciti a prenderli in seria considerazione». «Da nostra parte, ci impegniamo a fare tutto il possibile per ascoltare meglio le vittime, riconoscendo umilmente che non è sempre stato così» (seconda citazione).
Le citazioni
e il ritardo
Fra i due testi vi è la distanza di 24 anni. Il primo è tratto dal documento firmato da sr. Maura O’Donohue, presentato alla Congregazione dei religiosi con la presenza dei rappresentanti delle conferenze internazionali dei religiosi e delle suore (USG – UISG) nel febbraio del 1995. Il secondo è la dichiarazione firmata dai due organismi rappresentativi dei religiosi e religiose il 19 febbraio 2019. Il primo rapporto era stato costruito dopo un lungo impegno di religiose e religiosi contro la pandemia AIDS in 23 paesi del mondo (di cui 16 in Africa) nei cinque continenti. È diventato pubblico grazie al National Catholic Reporter nel 2001 (tradotto da Regno-doc 7, 2001, p. 219 ss.). La dichiarazione è stata preceduta da un’altra, dell’organismo femminile (UISG), del 23 novembre 2018: «Chiediamo che ogni donna religiosa che sia stata vittima di abusi, denunci quanto accaduto alla superiora della propria congregazione e alle autorità ecclesiali e civili competenti». I cinque lustri che dividono i due ceppi documentali testimoniano il ritardo, con responsabilità diverse, in ordine allo scandalo che ora è esploso, come anche il cambiamento di sensibilità ecclesiale in merito che si respirava allora e che si respira adesso.
Un documentario e un dossier riaccendono in queste ultime settimane l’attenzione sugli abusi alle suore. Il video è stato diffuso il 5 marzo da Arte, una emittente televisiva francese (https://www.arte.tv/fr/videos/078749-000-A/religieuses-abusees-l-autre-scandale-de-l-eglise/) con il titolo Religiose abusate, l’altro scandalo della Chiesa, il dossier è il n.11 (2018) di Documents Episcopat: «Derive settarie nelle comunità cattoliche».
La parola
delle vittime
Dopo due anni di lavoro in diversi paesi d’Europa e del mondo, E. Drévillon, M-P. Raimbault e E. Quintin hanno montato un’ora e mezza di trasmissione. La decina di testimonianze prodotte, crude e shoccanti, implodono in una denuncia generale e particolare. Quella generale, ideologicamente connotata, è sul mondo clericale come sistema ecclesiastico di «prossenetismo clericale». In particolare si censura il periodo del pontificato di Giovanni Paolo II come un tempo di coltura dell’impunità e della minimizzazione dei problemi.
La conferenza episcopale francese ha riaffermato l’impegno nella lotta contro gli abusi sessuali nella Chiesa come «una priorità di cui ciascuno porta una piena responsabilità». Più ampia e argomentata la reazione della Conferenza dei religiosi e delle religiose francesi (Corref). Parla di un reportage «agghiacciante» e «difficilmente sopportabile», capace di mostrare una «realtà crudele e orribile».
A conferma dei lavori del recente incontro sugli abusi a Roma (cf. Testimoni 3/2019 p. 1). «Il documentario annota le cause interne alla Chiesa: il carattere sacro del prete e del religioso, un potere senza limiti, una concezione svilente dell’obbedienza, un machismo persino viscerale, una furberia allucinante e una reificazione delle donne, anche quando si trovano incinte». Ricorda anche cause esterne come la povertà delle religiose e delle comunità. Una precarietà che può motivare un vero mercanteggiamento sessuale di cui le «superiore sono complici». Abbiamo consapevolezza dell’accaduto? I religiosi francesi rispondono: «No. Si fa fatica a credere che abbiamo dovuto apprendere tragicamente la presenza di aggressori, predatori e violentatori nella nostra Chiesa, immaginare situazioni che confinano con l’organizzazione malavitosa della prostituzione forzata, “della schiavitù sessuale” come ha detto papa Francesco al ritorno da Abu Dhabi il 7 febbraio scorso. E tutto questo coperto dai voti religiosi». Se gli istituti internazionali risultano più attenti rispetto a quelli diocesani, resta comunque molto ancora da fare: fine dell’impunità degli abusatori e delle complicità; denuncia degli abusi di potere, di coscienza e sessuali; sostegno all’indirizzo di papa Francesco e delle Unioni delle superiore e dei superiori generali (cf. Testimoni 12/2018 p. 16; 2/2019, p. 21). Due le testimonianze particolarmente ampie: l’ex-suora Michèle-France, vittima del fondatore della comunità Saint-Jean, e un’ex-consacrata nella comunità dell’Arche. Le comunità interessate hanno rinnovato le proprie scuse, confermando le condanne già erogate e la memoria già rivista del fondatore della comunità di Saint-Jean.
I criteri anti-settarismo
Del dossier di Documents Episcopat riprendo solo i criteri con cui si riconoscono le comunità che hanno derive settarie e che spesso sono i luoghi di sviluppo degli abusi.
Scarso discernimento iniziale. Capita di accettare nel ministero e nella vita religiosa persone inadatte. «Con ragioni diversificate: la tentazione del numero e la paura di scomparire, la seduzione del giovanilismo, della potenza spirituale, il misconoscimento o il blocco sulle fragilità psicologiche». Ignorando le indicazioni convergenti del diritto e delle conferenze episcopali per un’attenta informazione soprattutto nel caso di chi migra da una seminario all’altro.
Il culto del fondatore. «Succede in determinati gruppi che il fondatore prenda in qualche modo il posto di Cristo: i membri lo venerano, lo mettono su un piedestallo, gli garantiscono un’obbedienza e meglio una sottomissione assoluta». Si scambia la paternità e maternità spirituali con usurpazioni e infantilismi.
Fuori del gruppo non c’è salvezza. Il gruppo e la comunità rivendicano tutte le vocazioni (celibi, sposati, religiosi, preti ecc.), si presentano come diversi da quanto esiste nella chiesa, unici luoghi di fervore davanti alla tiepidezza di tutti. Nessuno spazio per competenze esterne (psicologi) o per sapienze estranee (padri spirituali e confessori sono solo interni).
Al di sopra delle leggi. Non si considerano del mondo, ma sopra il mondo. E quindi anche sopra le leggi civili e canoniche, senza parlare delle infrazioni economiche e fiscali.
La rottura con l’esterno. Nelle loro biblioteche molti autori non entrano, non sono graditi visitatori troppo curiosi o predicatori che non condividono il carisma del gruppo.
Tagliare i ponti. Si interrompono i rapporti familiari, amicali e sociali. Si troncano gli studi, la professione, la gestione dei beni. Le informazioni sono filtrate, le letture vengono indirizzate, si confonde lo spirituale con lo psichico. Fino alla rottura anche con le altre espressioni di Chiesa, dalle autorità episcopali alle altre comunità e movimenti.
Formazione predeterminata. È «nutrita esclusivamente di scritti del fondatore e di una selezione tendenziosa di autori. L’accento non è mai principalmente sulla parola di Dio».
Vocabolario proprio. Nel gruppo hanno corso parole, verbi ed espressioni tipiche che costruiscono una costellazione facilmente riconoscibile.
Devozioni molteplici. La scarsa coerenza dottrinale si alimenta della molteplicità delle devozioni, con un particolare accento sul ruolo del maligno e su forme di esorcismo improprio.
Condizioni al limite. Carenze alimentari, contrazione dei tempi di sonno, scarsa attenzione all’igiene, lavoro estenuante ecc. Povertà come mendicità. Se succede qualcosa (ferite, cadute e altro) tutto è sublimato nella mistica dell’evento.
Disincarnazione e dolorismo. L’autorità parentale è trasferita sul superiore o sul leader. Ogni trattamento terapeutico è risolto con la fede. Ogni sofferenza, in particolare psichica (depressioni, burnout ecc.) o è negata o sottoposta a un consumo eccessivo di farmaci.
Proselitismo. «I membri del gruppo escono dalla loro cittadella per convertire, costi quello che costi, gli altri, collocati nell’ignoranza e nell’errore». L’invito a entrare diventa ossessivo, prima che sorgano dubbi o confronti.
Coraggio e trasparenza
Confusione tra foro interno e foro esterno. È moneta corrente confondere quello che è rappresentato dalle azioni e dai comportamenti (foro esterno) rispetto a quello che appartiene alla coscienza e all’intimo (foro interno). La medesima persona o lo stesso gruppo sono a un tempo superiori, direttori spirituali, confessori ecc.
Voti particolari. Ci sono dei voti aggiunti ai tre della tradizione (povertà, castità, obbedienza) che lasciano spazio a manipolazioni gravi. Ad esempio, il voto di unità, che delegittima ogni critica.
Imposizione del segreto. Non si parla all’esterno di quanto succede in comunità e, anche nel caso di visite canoniche, la comunicazione è predeterminata. Quando arriva un commissario si mette in moto un governo parallelo in capo ai vecchi superiori.
Menzogne e dissimulazioni. Per ottenere l’approvazione ecclesiastica si cancellano i punti negativi e la documentazione è sotto segreto.
Autoritarismo. La virtù più sollecitata è quella della sottomissione incondizionata e assoluta. Grande diffidenza verso il Codice di diritto canonico e le normative previste per la vita consacrata.
Stop alle domande critiche. Non si fanno e non si accettano domande scomode. Davanti ad esse la risposta è drastica: «non fai più parte della comunità e del gruppo».
Umiliazioni e colpevolizzazioni. «Colui che solleva questioni non ha buona stampa nelle comunità devianti. È subito presentato come traditore». La dinamica relazionale è ridotta all’estremo: o sottomissione o esclusione.
Uscita. È sempre dolorosa, senza possibilità di spiegazioni dell’interessato, coperta dal segreto e priva di ogni sostegno economico.
Incoerenza. Per il superiore o il leader non valgono le regole comuni. Né per quanto riguarda la vita ordinaria, né per quanto attiene alla gestione finanziaria. Gli abusi sono dietro l’angolo, sia sessuali, sia di potere, sia finanziari.
«Un solo criterio non è sufficiente per qualificare un gruppo come luogo di derive settarie. Soltanto un fascio di criteri permette di prendere coscienza del carattere patologico di una comunità o di una associazione. In realtà è incredibile constatare che il numero di sintomi descritti sopra si ritrovano in maniera ricorrente in tutti i gruppi oggi “chiacchierati”». Suor Noelle Hausman annota nel recente volume La vie consacrée. Lumières et obscuritées (Parigi, 2019, p. 63): «Ma come trarre profitto da un terremoto che ha distrutto quasi fino alle radici la relazione di piena confidenza di cui molti ci hanno onorato, credenti e no? In piena responsabilità non possiamo rinunciare al compito assegnatoci, cioè cercare i mezzi psicologici, intellettuali e spirituali per navigare ancora in acque divenute così pericolose della formazione» e della testimonianza evangelica.
Lorenzo Prezzi