Sisci Francesco
Rapporti Cina - Africa
2019/4, p. 16
La storia dei rapporti tra Cina e Africa è antica e tortuosa. Tutto cominciò nel 15º secolo con i viaggi a occidente del celebre ammiraglio musulmano Zheng He. Egli arrivò sicuramente sulla costa orientale dell’Africa in quella che oggi è la Tanzania o il Mozambico. I viaggi però si interruppero pochi decenni prima nella circumnavigazione dell’Africa da parte dei portoghesi alla fine dello stesso secolo. Quindi le grandi spedizioni dei cinesi vennero sostituite dalle piccole missioni commerciali degli occidentali. Per secoli i rapporti si interruppero e ripresero solo in sostanza con le ambizioni geopolitiche nuove di Mao Zedong.

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Rapporti Cina - Africa
La storia dei rapporti tra Cina e Africa è antica e tortuosa. Tutto cominciò nel 15º secolo con i viaggi a occidente del celebre ammiraglio musulmano Zheng He. Egli arrivò sicuramente sulla costa orientale dell’Africa in quella che oggi è la Tanzania o il Mozambico. I viaggi però si interruppero pochi decenni prima nella circumnavigazione dell’Africa da parte dei portoghesi alla fine dello stesso secolo. Quindi le grandi spedizioni dei cinesi vennero sostituite dalle piccole missioni commerciali degli occidentali. Per secoli i rapporti si interruppero e ripresero solo in sostanza con le ambizioni geopolitiche nuove di Mao Zedong. Durante la guerra fredda, dopo il 1960, quando maturò la spaccatura di Pechino con Mosca, Mao cercò di sviluppare rapporti indipendenti con alcuni paesi africani. In primo luogo c’era la Tanzania, dopo che il Ghana, guidato da ‘Nkruma, aveva avuto una fiammata di entusiasmo filocinese. Oltre alla Tanzania la Cina cominciò a tessere rapporti con l’Egitto. Poi dopo il ritiro del Portogallo dalle sue colonie agli inizi degli anni 70, Mosca cominciò a costruire rapporti anche con il Mozambico. Tali relazioni erano però essenzialmente politiche. La Cina forniva aiuti tecnici a tassi di interesse bassi e certo l’economia cinese non aveva le dimensioni in grado di impostare un nuovo rapporto strutturalmente diverso con l’Africa. Il cambio di passo e di qualità del rapporto tra Cina ed Africa cominciò dalla seconda metà degli anni ‘90, quando la crescita industriale cinese cominciava ad avere un impatto significativo, quindi aumentavano i bisogni di materie prime per alimentare l’esplosione di crescita urbanistica nel paese.
Allo stesso tempo poi era iniziata la riforma delle imprese di Stato cinesi. Esse erano state trasformate da strumenti per sostanzialmente gestire la pace sociale, cioè procurare posti di lavoro, a strumenti di impresa molto autonomi che funzionavano per creare profitto per se stesse e per lo Stato. Questi due motori, la ricerca dei profitti delle imprese di Stato, i bisogni di materie prime di industrializzazione e urbanizzazione, misero in moto la Cina verso tutto il mondo e in particolare verso l’Africa, ricca di materie prime necessarie al paese e anche opportunità di crescita per le imprese di Stato. La Cina però non aveva risorse finanziarie in grado di pagare in breve i conti africani. Né la Cina aveva la forza politica e militare per imporre all’Africa un nuovo periodo coloniale o neocoloniale, come avevano fatto i paesi occidentali fino al giorno prima in quel continente.
La Cina allora costruì un piano per la penetrazione e la cooperazione con l’Africa basato su tre punti di forza. La prima cosa che fece offrì all’Africa la possibilità di costruire ferrovie e infrastrutture a costi molto competitivi rispetto a quelli richiesti dai paesi occidentali. Inoltre a differenza dei paesi occidentali la Cina non insisteva su norme di trasparenza e anticorruzione. Anzi le aziende cinesi che operavano in Africa si aggiudicavano i contratti di infrastrutture regalando soldi a destra e sinistra a politici corrotti. Il terzo elemento, che si rafforzò all’inizio del secolo, fu il trasferimento in Africa di vecchi impianti industriali cinesi che erano stati rimpiazzati da nuove strutture di produzione. Cioè come i paesi occidentali avevano trasferito in Cina negli anni ‘80 e ‘90 impianti di produzione desueti, così i cinesi trasferivano in Africa i loro impianti desueti. Mentre però la Cina, grande e comunque potere politico forte, aveva una capacità di contrattazione verso i paesi occidentali, gli stati africani, molto più piccoli e divisi, avevano scarsa capacità di contrattazione con la Cina. La sete di materie prime africane da parte della Cina in questo senso creava di fatto una specie di baratto tra Cina e Africa: gli africani davano materie prime, la Cina dava infrastrutture e impianti industriali lubrificati da generose mazzette.
La struttura di scambio era estremamente efficiente e infatti ha portato crescite molto importanti in tanti paesi africani negli ultimi vent’anni. I punti di debolezza di questo sistema sono noti: hanno diffuso maggiore corruzione, non hanno portato benefici a tutta la popolazione africana, anche perché spesso i cinesi hanno portato in Africa propri operai, non fidandosi dei lavoratori africani. Le imprese africane non hanno avuto tutti i vantaggi possibili di una piena cooperazione con i cinesi, però sono rimasti comunque benefici diffusi. Negli ultimi vent’anni è nata una piccola classe media africana. Il flusso di immigrazione degli ultimi anni dall’Africa verso l’Europa nasce anche da questo. Spostarsi dal proprio paese, attraversare il deserto del Sahara, pagare le guide, l’acqua, i trasporti è possibile perché le famiglie si impegnano con dei fondi, frutto in generale del miglioramento della vita degli ultimi due decenni. Un altro effetto importante dell’arrivo della Cina in Africa è stato quello della creazione di una competizione e concorrenza fra vari paesi per l’ingresso nei singoli Stati nel continente. Cioè prima dell’arrivo dei cinesi, i paesi occidentali si erano divisi il continente in zone di influenza e si erano creati di fatto veri e propri monopoli dove venivano imposti ai locali le condizioni più convenienti secondo Parigi o Londra.
L’arrivo dei cinesi naturalmente ha cambiato l’equazione di rapporti. I paesi occidentali potevano vedersi rifiutare le loro offerte di cooperazione perché i cinesi offrivano condizioni migliori. Inoltre nell’ultimo decennio l’arrivo della Cina ha creato una nuova corsa all’Africa. In maniera e misura diversa tanti paesi con una presenza prima trascurabile nel continente stanno entrando con più forza. La Russia ha aumentato la sua cooperazione, forti trasporti stabiliti durante la guerra fredda. La stessa cosa ha fatto anche la Turchia, questa volta sfruttando l’eredità della fratellanza musulmana ancorata ancora ai tempi dell’impero e del califfato. Forte della grande comunità trasferita in Africa ai tempi della colonizzazione del continente da parte dell’Inghilterra, sta cercando nuove strade di penetrazione. Anche il Giappone ha moltiplicato gli sforzi per entrare in contatto più stretto con il continente. In questa competizione quindi i paesi africani in teoria possono ottenere da ciascun paese condizioni migliori per investimenti e commercio.
Naturalmente la maggiore attenzione verso l’Africa, l’aumento di concorrenza, l’inizio di un vero processo di industrializzazione del continente non sono la panacea per tutti i mali. Piuttosto essi possono diventare anche acceleratore delle profonde distorsioni dei vari paesi africani. Il beneficio di questi nuovi arrivi, di questa nuova attenzione come verrà distribuito? Sarà concentrato solo ai vertici delle vecchie leadership corrotte nel continente oppure arriverà a cambiare il tessuto sociale dei vari paesi? Le risposte a queste domande non possono arrivare dall’esterno. L’imposizione di modelli istituzionali occidentali non risolvono automaticamente i mille problemi di corruzione profonda. Né in passato l’applicazione di sistemi più autoritari, come quelli proposti dalla vecchia Unione Sovietica, hanno sortito esiti migliori.
Il problema della debolezza culturale, sociale, prima ancora che istituzionale dell’Africa resta il peso più grande. Ma la creazione di questa nuova competizione positiva, e non connotata dalla violenza del passato coloniale, sta aiutando a creare nuovo benessere.
Francesco Sisci