Bustillo François
Sopravvivenza o rinnovo?
2019/4, p. 11
Sintesi della conferenza di fra François Bustillo OFM Conv., guardiano di Lourdes, ex Custode Provinciale di Francia-Belgio, per il Capitolo provinciale dei Frati Minori della Provincia del beato Duns Scoto di Francia-Belgio, celebrato in Bretagna (marzo 2019)

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Quale futuro per i Francescani?
SOPRAVVIVENZA
O RINNOVO?
Sintesi della conferenza di fra François Bustillo OFM Conv., guardiano di Lourdes, ex Custode Provinciale di Francia-Belgio, per il Capitolo provinciale dei Frati Minori della Provincia del beato Duns Scoto di Francia-Belgio, celebrato in Bretagna (marzo 2019)
Durante un momento ufficiale e fraterno come il Capitolo provinciale, è naturale ed è segno di grande responsabilità chiedersi: com’è la nostra vita ordinaria di Francescani, come vediamo la nostra famiglia nel suo insieme? Com’è attualmente? Quale futuro intravvediamo? Quali sono le nostre forze reali? Verso dove andiamo?
La costatazione
Spesso nella nostra Chiesa, come nei nostri incontri siamo lucidi nelle costatazioni e più lenti nelle soluzioni. Siamo forti nell'analisi e deboli nelle sintesi. Oggi viviamo un periodo di difficoltà. Ma l’esperienza ci dice che le crisi nella Chiesa non sono un ostacolo, esse non paralizzano, al contrario, stimolano a uscire dalle tempeste, non tanto attraverso strategie, tattiche e politiche, ma attraverso la conversione e la fede. La crisi sveglia la necessità di tornare alle origini, ritornare cioè a Cristo vero senso della nostra vita.
Cito rapidamente tre passaggi biblici dove l’uomo costata le difficoltà, dove sperimenta la povertà e una certa fatica:
a) Abacuc 3,16-19: Le stalle sono vuote, gli alberi non danno frutto. L'uomo sperimenta la sua piccolezza e vede la sterilità e l’assenza di risultati. In questa costatazione, l'uomo senza fede crolla sotto il peso dell'angoscia, invece l’uomo di fede, che vive nella povertà, si apre a Dio, unico salvatore.
b) La pedagogia del Piccolo Resto di Israele (cf. Sof 3,12-13). Sofonia annuncia l'esilio in Babilonia: non ci saranno più né re né Tempio. Le sicurezze spariscono. Nel dolore dell’esilio il profeta annuncia che alcuni resisteranno e saranno fedeli alle loro tradizioni. La teologia del “piccolo resto” ci insegna che illuminati dalla fede in Dio, è possibile guidare verso il futuro nella fragilità il popolo che ci è stato affidato.
c) La tempesta sedata (cf. Mc 4, 37-41). Nel buio della tempesta violenta, i discepoli gridano: "Maestro, siamo perduti”. Gesù dice: "Silenzio, taci!” Il vento cade e la pace ritorna. Alcuni elementi come il vento, le onde, la notte, la solitudine, l'apparente indifferenza di Gesù, la fragilità della barca ... provocano la paura dei discepoli e si sentono soli e perduti. Gesù silenzia gli elementi esterni ma anche quelli che sono dentro: i problemi, le angosce, le ansie e la paura del fallimento.
2. La provocazione
Come vivere allora, in tempi di povertà? Dovremmo forse rassegnarci a vivere nella sofferenza? Ad essere passivi? indifferenti? angosciati? disperati?
Abbiamo fatto voto di povertà il giorno della nostra professione. Negli stati di povertà, la fede ci stimola a ritornare all'essenziale. Un serio rischio per noi è lo scoraggiamento che causa il ripiego. Papa Francesco, nell’omelia del 2 febbraio, ci ha ricordato che "la vita consacrata non è sopravvivenza ma vita nuova". Alcuni passaggi biblici ci provocano per vivere meglio e crescere senza cedere alla paura.
Davide e Golia (cf. 1 Sam 17)
Questo specifico episodio, chiarisce la questione della scelta delle armi giuste per la lotta. Di fronte a Golia, un guerriero terrificante, un pericolo reale, la lucidità nell’esercizio dell’autorità può essere turbata. Davide non prende l’armatura pesante come Saul perché questa, se lo protegge per un verso, gli impedisce dall’altro verso il movimento. Davide prenderà semplicemente 5 pietre. Così, anche per noi, le nostre vite possono essere protezioni sì, ma paralizzanti. Davide è un modello di coraggio, di abilità e di mobilità nel pericolo.
La statua con la testa d'oro e i piedi di argilla (cf. Dan 2, 31-35)
Nella nostra vocazione le idee brillanti non bastano per crescere se le basi sono instabili. I piedi della statua indicano stabilità e mobilità. Per la nostra famiglia spirituale la stabilità è nell’istituzione e la mobilità nel profetismo, nell’audacia, nel dinamismo e la creatività.Il nostro edificio non può essere costruito sulla sabbia, sugli stati d'animo, le emozioni, i sentimenti o le immaturità ma sulla roccia ben radicata sulla fede.
Mene, Tekel, Peres (cf. Dn 5,25)
Questo passaggio della mano misteriosa ci immerge in un'atmosfera di fine Regno. La scritta dice: pesato, contato, diviso. Dio trova il re leggero, cioè senza peso, senza spessore, senza densità. Ha condotto una vita superficiale. Una vocazione vissuta senza passione diventa mediocre e insipida. Un Capitolo è un momento ideale perché i fratelli si pongano la domanda sullo spessore delle loro vite, si interroghino su come la loro vita sia più significativa e non rischi invece di diventare insignificante. Sembra ben opportuno quindi chiederci: Come stiamo vivendo? quale carisma? quale forza? quale passione? che fedeltà? Quali scelte? Quale futuro?
Il terreno roccioso (cf Mc 4, 6)
Nel Vangelo di Marco, la parabola del seminatore, dice: il grano cadde anche su un terreno roccioso. Il buon grano muore perché il terreno è pieno di pietre ed è poco profondo, il sole è forte e le radici non sono solide. La "mancanza di radici" impedisce al grano di alimentarsi e di essere stabile. L’insegnamento per noi è forte, cioè la parte invisibile dell’essere umano, quella che noi chiamiamo l’interiorità, è alla base della nostra vita spirituale. Senza di essa la nostra vocazione si secca. Lecito domandarci allora: come curiamo la nostra vita spirituale?
L’ azione
Per noi frati sarebbe immaturo e irresponsabile in un contesto come il nostro di lamentarsi fermandosi sul palcoscenico della mera osservazione. La nostra fede ci spinge a riconquistare il gusto della nostra vocazione. Cercate e troverete (Mt 7,7). Ogni epoca ha le sue preoccupazioni e le sue sfide. L'ottimismo francescano, che non è ingenuità, ci guida verso delle scelte concrete di vita. Propongo due vie per lasciarci guidare partendo dalla nostra eredità francescana: la via della riparazione e la via dei sogni.a) La via della riparazione
“Vai, Francesco, ripara la mia Chiesa”. Conosciamo bene queste parole del Crocifisso a Francesco. Questo è uno dei momenti genetici più potenti della sua conversione. San Francesco deve riparare una chiesa danneggiata. Per riparare si parte da una realtà distorta e fragilizzata per ridonarle la bellezza e la forza delle sue origini.
Oggi, un'area urgente da riparare è il nostro stile di vita. Perché? Una nostra tendenza è di vivere in una maniera acritica con ciò che vediamo, ciò che siamo, con le nostre piccole tradizioni, con il nostro "fare ciò che possiamo". Il mondo si rinnova costantemente e noi rimaniamo atrofizzati. Limitarci a dei cambiamenti cosmetici è sterile. Può arrivare che, come dicono alcuni, quando parliamo seduciamo e quando viviamo deludiamo... La qualità della nostra vita di preghiera, di fraternità e la nostra missione sarà autentica se lottiamo contro la stanchezza e la routine. Contrariamente evitiamo di esistere senza vivere. Il nostro tempo si presta a rivisitare esperienze di vita e di gioia come quella della donna samaritana (cf Gv 4) e di Zaccheo (cf Lc 19,1-10). La prima è accanto al pozzo, lei cerca la profondità e il significato della sua vita per placare la sua sete. Il secondo si arrampica su un albero, cerca l'altezza. Per uscire da una vita piatta, ci vuole altezza e profondità. Gesù visita le loro vite e gli offre la gioia e la pace.
Un'altra area da riparare è l'equilibrio tra unzione e funzione nella nostra vocazione. Il Capitolo provinciale è un momento privilegiato per curare lo stato della Provincia. Una Provincia è costituita dai fratelli e questi fratelli vivono in delle strutture. La situazione della vita consacrata in occidente, ci invita a non trascurare un campanello d'allarme. La vita di chi è chiamato a guidare le comunità, oggi naviga tra la missione di accompagnare e amare i fratelli e la fatica di gestire delle strutture ricevute. Non è raro vedere uno squilibrio in cui la funzione prevale sull'unzione. L’essere è soffocato. Con la gestione materiale ci separiamo dalla gioia vocazionale. Si presenta come un divorzio in cui il peso delle strutture richiede quasi tutta l'energia per doverle gestire. In molti casi ciò che è urgente prevale su quello che è invece più importante. Nell’esercizio della responsabilità l'unzione che precede la funzione si trova in uno stato di sofferenza (cf Lc 4,10: il Signore mi ha consacrato con l'unzione). I più giovani possono vedere con preoccupazione un futuro in cui saranno come dei manager. E poi, sorgono le domande legittime: quale spazio per la missione? quale posto per la passione? che tempi per il Signore? che tempi per i fratelli?Le nostre crisi, ci ricordano che è possibile cambiare. Come nell’episodio di Lazzaro (cf Gv 11), il Signore grida a noi che siamo incastrati nei nostri doveri: “uscite fuori, scioglietevi, andate”. È un triplice movimento orientato verso la vita: uscire da un luogo di morte, ritrovare la libertà e camminare. Ricordiamoci che la nostra vita non cerca la produzione ma la fecondità. Stiamo attenti allora allo stato di salute e di gioia dei fratelli. La salute e la gioia sono delle qualità barometro della nostra vocazione. Se le perdiamo, iniziamo a perdere il gusto della vita e la vocazione si svanisce.
b) La via dei sogni
In un tempo come il nostro, dove la povertà nelle nostre famiglie è visibile, è legittimo sognare. Non si tratta di sfuggire alla dura realtà, ma di risvegliare la creatività e l'audacia. Sognare o sparire. Il mondo è stato trasfigurato grazie a coloro che hanno osato sognare un mondo migliore. Ho fatto un sogno, disse Luther King. Penso al bellissimo brano biblico di Giuseppe e dei suoi fratelli. I fratelli gelosi, vedendo arrivare il loro fratello minore, si dicono: “ecco l'uomo dei sogni e lo gettano in una cisterna” (cf. Gen 37, 19-20). Dovremmo buttare i nostri sogni, i nostri desideri, i nostri progetti, in una cisterna? Che posto diamo ai fratelli che sognano? Possiamo pensare anche ai sogni che fece Francesco d'Assisi. Il sogno di Spoleto spinge il giovane Francesco a fare una scelta giusta nella sua vita. Nel sogno di papa Innocenzo III, Francesco sostiene la Chiesa. L'obiettivo non è di sprofondare in un ingenuo messianismo. L'obiettivo non è di salvare ma di vivere. Abbiamo molte aree in cui il patrimonio francescano deve essere esplorato e impiegato. Abbiamo un'eredità feconda capace di rispondere alle crisi e alle sfide che il mondo di oggi vive. Allora sognare è una bella responsabilità non per stare bene ma per fare il bene. Nella richiesta di interiorità, nelle attese di fraternità, nella protezione della natura, nello sguardo pasquale sui poveri, nell’accompagnamento dei più giovani che cercano punti di riferimento per strutturare le loro vite, in un dialogo interreligioso semplice e intelligente, nella missione audace e felice per dire Dio al mondo, io vedo che la nostra vita e la nostra missione, ha ancora molto da offrire e per questo motivo dobbiamo proseguire sul cammino tracciato dai nostri padri che per secoli si sono distinti generando quello che noi chiamiamo “cammino francescano” caratterizzato dalla creatività nello Spirito.
La nostra vita religiosa è un cantiere permanente. Con la forza dello Spirito usciamo dall’immobilismo per entrare nell’evoluzione. La conversione è trasformazione. Usciamo dalle paure per abbracciare la fede. Gesù ci dice oggi: Effatà (Mc 7,34) e Talità kum (Mc 5,41). Apriti e alzati. Più che due parole sono due stati di vita nei quali il Vangelo è incarnato. Facciamo nostra la parola di san Paolo agli Efesini: Voi avete imparato a conoscere il Cristo per rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (cf. Ef 4, 20-23).
fr. François Bustillo OFM Conv