Gellini Anna Maria
Desiderio e sequela
2019/3, p. 46
Padre Stefano Zamboni, docente di teologia morale all’accademia Alfonsiana e alla Pontificia Facoltà Marianum di Roma, propone una interessante riflessione sulla vita morale, nell’intento di farla riscoprire come «un’avventura avvincente in cui si mette in gioco il senso della propria vita e della testimonianza a Dio». Partendo dalla domanda del giovane ricco che chiede a Gesù che cosa deve fare per avere la vita eterna, il percorso si snoda in varie tappe che portano dal rispetto di una legge per la vita, alla consapevolezza di avere in dono una vita da figli, comprensibile solo alla luce dell’alleanza di Dio con l’uomo.

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NOVITà LIBRARIA
DESIDERIO E
SEQUELA
Padre Stefano Zamboni, docente di teologia morale all’accademia Alfonsiana e alla Pontificia Facoltà Marianum di Roma, propone una interessante riflessione sulla vita morale, nell’intento di farla riscoprire come «un’avventura avvincente in cui si mette in gioco il senso della propria vita e della testimonianza a Dio». Partendo dalla domanda del giovane ricco che chiede a Gesù che cosa deve fare per avere la vita eterna, il percorso si snoda in varie tappe che portano dal rispetto di una legge per la vita, alla consapevolezza di avere in dono una vita da figli, comprensibile solo alla luce dell’alleanza di Dio con l’uomo. Per questo, «il fatto che noi siamo pensati, creati e redenti in Cristo deve essere assunto dalla nostra libera decisione, in una vicenda di progressiva trasformazione. L’essere e l'agire del cristiano si deve sempre più identificare con l'immagine di Cristo che portiamo in noi».
Per una morale
attraente e liberante
Solo una morale che si comprenda come vita in Cristo è davvero attraente e liberante. «Lo scopo della vita morale non è infatti la non trasgressione dei comandamenti, ma la possibilità di vivere da figli nel Figlio». E questa possibilità ci è data dall’alleanza di Dio con il suo popolo. Attraverso la sua alleanza, Dio educa il suo popolo: lo accompagna indicandogli il cammino nel deserto; lo libera dal giogo dell'oppressione e della morte; «dona se stesso in quanto Dio del popolo e dona a questo popolo il “cammino” per entrare e rimanere in rapporto con lui; raccoglie il popolo nascente intorno a un progetto comune, a un modo di vivere insieme». Sono tutti passaggi di vita che la Parola di Dio e la sua grazia, rendono attuali per noi e chiedono – prima che un esame di coscienza – una educazione della coscienza.
Compito
di tutta la vita
Riconoscere che l'educazione della coscienza è un compito di tutta la vita significa distaccarsi da una concezione della coscienza diffusa in passato, quando la si presentava «come una specie di organo che aveva semplicemente il compito di obbedire a delle norme assolute». Invece la coscienza ha carattere essenzialmente evolutivo. Essendo relazionale, sperimenta dei condizionamenti derivanti sia dalla propria “storia” sia dall'ambiente circostante. Formare cristianamente la coscienza significa assumere sempre più consapevolmente e liberamente la forma di Cristo. Per assumere la forma di Cristo, per conformare la coscienza a lui, è necessario imparare ad abitare due luoghi. Il primo è la Chiesa, in cui si ricevono la Parola di Dio e i sacramenti; è il luogo in cui impariamo ad uscire da un rapporto individualistico con Dio per aprirci alla comunione dei discepoli di Cristo. L'altro luogo in cui abitare è la storia, nella quale Dio parla attraverso i «segni dei tempi». Negli avvenimenti della storia la coscienza formata intravede Dio e l'appello della sua volontà.
Discernimento
e senso del peccato
Formare la coscienza comporta anche esercitare una costante opera di discernimento. Il discernimento è necessario per poter vivere le esigenze evangeliche nel concreto dell'esistenza. Ma le esigenze evangeliche spesso si scontrano con lo smarrimento del senso del peccato. «Una delle caratteristiche della nostra epoca, come già Pio XII notava in una sua celebre affermazione, è lo smarrimento del senso del peccato: - Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato-. Questa perdita consiste nel venir meno di una sensibilità di fronte a ciò che il peccato determina». L'uomo di oggi spesso non ritiene di dover essere salvato o reso giusto da Dio, non ne avverte il bisogno, anzi più facilmente imputa a Dio la responsabilità dell'imperfezione della sua creazione e del male presente nella storia. Da parte sua, l’uomo contemporaneo sperimenta, forse più che in passato, «sensi di colpa, sentimenti d'angoscia e di disperazione, ma li vive in una dimensione puramente psicologica». La redenzione a cui aspira non è più riscatto dal peccato, ma «pacificazione dei rimorsi e delle ossessioni, controllo degli impulsi distruttivi. In tal modo, il senso del peccato ha lasciato il posto al senso di colpa e la salvezza alla salute psicofisica».
Desiderio
e incontro
Come il figlio prodigo, ognuno può sperimentare «nel fondo della propria coscienza la nostalgia di una riconciliazione» e decidere di tornare alla casa paterna nella certezza di un padre buono che aspetta e accoglie, per aiutare a vivere rapporti nuovi di libertà e gratuità, attraverso l’azione costante, progressiva dello Spirito di Dio. E il cammino si apre a una dimensione di speranza, come attesa per gustare la gioia dell’incontro; come pazienza per non soccombere al male; come invocazione per sintonizzare il nostro desiderio con il desiderio di Dio. Dio è un Tu che chiama per nome; all'origine della fede non ci sono verità astratte ma una persona che parla. La fede è la risposta a questa parola. E per rispondere bisogna ascoltare. La fede è ciò che mi consente di vedere l'essenziale della vita: la presenza di Dio in me e nel mondo.
Anna Maria Gellini