Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2019/3, p. 37
Belgio:Eutanasia anche per i minori Stati Uniti: Le nuove vocazioni alla vita religiosa I Vescovi dell'Europa:I robot non sono uomini

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Testimoni
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Belgio
Eutanasia anche per i minori
Il Belgio e l’Olanda sono stati i primi paesi al mondo a permettere l’eutanasia attiva, nel 2002. Da allora i casi sono notevolmente aumentati. È cresciuta anche la cerchia di coloro che la richiedono – compresi i minori. Cinque anni fa, il 13 febbraio 2014, il Parlamento di Bruxelles aveva votato a larga maggioranza a favore della liberalizzazione dell’eutanasia. Nonostante tutte le proteste. Da allora non esistono più limiti di età per poterla ottenere. Il dibattito era stato accanito: ci si chiedeva: sono in grado i bambini di cogliere la dimensione di questa decisione? La paura e la malattia consentono di prendere una decisione matura? Il nuovo regolamento è stato applicato per la prima volta nel 2016. Fortunatamente non ci sono molti bambini e giovani che si trovano in una situazione del genere, aveva affermato allora il presidente della commissione di controllo, l’oncologo Wim Distelmans. Ciò non significa però “che possiamo privarli del diritto a una morte dignitosa”.
Eutanasia anche per le sofferenze psichiche
Finora il Belgio è l’unico paese al mondo in cui i bambini con malattie incurabili possono ottenere l’eutanasia se lo richiedono espressamente e se sono in grado di farsene un giudizio. Il desiderio del bambino deve essere confermato da diversi esperti; anche i genitori devono essere d’accordo. In Olanda far morire su richiesta è consentito ai ragazzi superiori ai 12 anni e per i neonati con malattie incurabili.
Prima del 2002 l’Olanda e il Belgio, erano stati i primi nel mondo, a legalizzare l’eutanasia per gli adulti. Nel 2009 seguì anche il Lussemburgo. I critici inizialmente ritenevano che l’eutanasia sarebbe stata consentita soltanto agli adulti ed entro limiti molto ristretti. Ora invece si osserva un significativo aumento del numero dei casi. Allo stesso tempo il numero di coloro che ne possono approfittare si è ulteriormente ampliato comprendendo anche i minori, le persone affette da demenza e da depressione. Mentre in Belgio nel 2003 si contavano 235 casi di eutanasia, nel 2017 il numero era già salito a 2.309. Nella maggior parte dei casi la ragione addotta è un tumore o una combinazione di malattie gravi e inguaribili; in 40 casi figura anche la malattia psichica. Il regolamento del Belgio ha fatto molto discutere perché è stata accolta la richiesta di persone che non erano malate incurabili, come stabilisce la legge. Per esempio, un transessuale ha ottenuto l’eutanasia perché si sentiva infelice per il cambiamento di sesso che aveva effettuato. Anche la morte di due gemelli di 45 anni ha suscitato accese discussioni. Si trattava di due sordi dalla nascita che correvano il rischio di diventare poco alla volta ciechi.
Nel marzo 2018 un medico belga si è dimesso dalla commissione di controllo, perché un paziente affetto da demenza aveva ottenuto l’eutanasia senza avere il testamento biologico. A chiederla, ha affermato il medico, era stata la famiglia.
La Corte suprema europea dei diritti dell’uomo sta attualmente occupandosi di un caso che riguarda la madre del belga Tom Mortier (professore di università) che ha ottenuto l’eutanasia nel 2012 in seguito a una malattia psichica. I parenti però erano stati informati solo a morte avvenuta. Secondo il figlio, la madre non era in fase terminale: aveva sofferto soltanto di malattie mentali passeggere.
Secondo i vescovi cattolici del Belgio c’è il pericolo del crollo della diga: per i malati di demenza, hanno affermato, si potrebbe, per esempio giungere al punto in cui l’eutanasia diventa semplicemente la soluzione generalizzata – per pietà. Anche l’eutanasia per i minori potrebbe essere considerata “normale” non appena l’eventuale malattia sia ritenuta da tutti per così dire “inaccettabile”. (KNA, 13 febbraio 2019).
Stati Uniti
Le nuove vocazioni alla vita religiosa
Come si presenta oggi il profilo del giovane o della giovane che negli Stati Uniti abbraccia la vita religiosa? Come è nata in loro la vocazione e quale il terreno che l’ha favorita?
A queste domande ha risposto uno studio recente del Centro ricerche CARA (Centro per la Ricerca Applicata all’Apostolato) della Georgetown University di Washington, effettuato per conto della Conferenza episcopale tra le comunità religiose cattoliche del paese.
La ricerca ha preso in considerazione il profilo di 70 religiosi e 96 religiose che hanno emesso i voti perpetui nel 2018. Il primo dato emerso è che in Nordamerica, come del resto in tutto il mondo occidentale, c’è una grave carenza di nuove vocazioni. L’80% delle comunità e degli istituti, che hanno risposto all’inchiesta, non hanno avuto lo scorso anno alcuna professione perpetua. Il 13% ne ha avuto una sola e soltanto il 7% due oppure di più.
Grande è stata sottolineata l’importanza della famiglia nella crescita della vocazione: più dei due terzi degli intervistati hanno affermato di avere ambedue i genitori cattolici; il 45% di avere quattro o più fratelli e il 34% di essere cresciuti in famiglie di tre o quattro figli.
Inoltre è emerso che la metà di questi giovani religiosi aveva frequentato una scuola elementare cattolica. E per quanto riguarda la formazione, due terzi erano in possesso del diploma di baccalaureato; il numero dei diplomati maschi (79%) era maggiore di quello delle donne (65%). Inoltre, tre quarti venivano da un’esperienza professionale.
Quasi tutti hanno segnalato l’importanza che ha esercitato in loro la pratica della vita cristiana: il 91% dei professi perpetui ha dichiarato di aver partecipato regolarmente prima dell’ingresso a incontri di preghiera, con al centro l’adorazione eucaristica. Importanti sono stati anche la recita del Rosario, gli esercizi spirituali e un padre o accompagnatore spirituale. Un ruolo altrettanto decisivo hanno avuto i colloqui personali e l’incontro con dei modelli: il 78% degli interpellati ha dichiarato infatti di avere conosciuto delle persone che con il loro esempio lo ha persuaso ad entrare nella vita religiosa.
Un’alta percentuale di religiosi (88%) ha dichiarato di aver partecipato, prima dell’ingresso, a un fine settimana vocazionale oppure di aver fatto esperienza per un certo tempo in comunità.
Tra le proposte che li hanno maggiormente coinvolti è stato l’invito “come and see” (vieni e vedi) che molte comunità religiose hanno rivolto ai giovani per far conoscere il convento e la vita religiosa e fare chiarezza sulla propria vocazione. È stata segnalata anche l’importanza dell’esperienza di incontro personale con dei religiosi, quale fattore determinante per la conoscenza di sé.
I Vescovi dell’Europa
I robot non sono uomini
La tecnologia dei robot continua a svilupparsi. Ciò pone la società davanti a grandi sfide: come gestire queste macchine apparentemente intelligenti? I vescovi cattolici dell’Europa (COMECE) in un documento, reso pubblico lunedì 4 febbraio, si sono dichiarati contrari che, nella legislazione, venga riconosciuta ai robot e ad altri sistemi autonomi – come si sta tentando di fare – una loro personalità giuridica. Le ragioni sono spiegate nel documento della Commissione episcopale europea, appena reso pubblico, sulla “robotizzazione della vita”, intitolato Robotization of Life Ethics in View of New Challenges.
L’attuale tendenza della robotizzazione – sottolinea il documento – si sta sviluppando nel contesto di una «crisi antropologica» in cui l’identità dell’uomo è messa radicalmente in questione. I limiti dell’essere umano non sono più accettati, mentre, allo stesso tempo, si notano crescenti sforzi per giungere a trattare i robot come persone moralmente autonome. Per questo, è importante, nel rapporto tra persone e macchine, mettere sempre bene in risalto la priorità e la dignità della persona umana sulle macchine.
Gli autori del documento rifiutano di considerare i robot come persone con diritti autonomi. Si oppongono pertanto al parere espresso, qualche tempo fa, dal Parlamento europeo in senso favorevole ad attribuire un particolare status personale giuridico a determinati sistemi autonomi ben sviluppati. «La responsabilità che sta a fondamento di una personalità giuridica può essere esercitata soltanto dove esiste la capacità dell’esercizio della libertà», rispondono gli autori del documento; «la libertà è qualcosa di più dell’autonomia».
Nei riguardi del mercato del lavoro, il documento sottolinea che l’impiego della robotica ha effettivamente dei vantaggi economici, tuttavia spesso non manca di effetti negativi sui gruppi di giovani e di lavoratori non qualificati. Pertanto, ribadiscono di non poter dare «un assenso incondizionato ed entusiasta a queste nuove tecnologie»; nello stesso tempo, però, rifiutano un categorico ripudio.
L’Osservatore Romano, commentando questa notizia, nell’edizione del 6 febbraio scorso, scrive che, secondo la dottrina sociale cattolica «una persona umana è una persona umana e un robot è un robot». Si tratta – si dirà – di un’osservazione di un’evidenza lapalissiana. «Ma non così tanto, evidentemente, in tempi segnati dal rapido sviluppo di nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Tecnologie che sempre maggiore spazio conquistano nella vita di tutti i giorni, con benefiche e, fino a poco tempo fa, insperate ricadute soprattutto in settori tanto delicati come per esempio quello medico».
Ma – prosegue il quotidiano vaticano – «emblematica» è la recente approvazione, da parte del Parlamento europeo, di una risoluzione sul Civil Law Rules on Robotics, che propone di attribuire lo status di «persone elettroniche» – nei fatti qualcosa di molto simile alla personalità giuridica – ai robot più sofisticati e autonomi, e quindi addirittura di ritenerli responsabili per risarcire eventuali danni che potessero causare. La stessa risoluzione raccomanda che tale «personalità elettronica» sia applicata ai robot che assumono decisioni autonome o interagiscono con terze parti in modo indipendente.
Questo – si domanda l’Osservatore Romano – è un modo per sollevare i produttori di robot dalle loro responsabilità? Ad ogni modo, si tratta di una rivoluzione che richiede, come minimo, una riflessione approfondita.
a cura di Antonio Dall’Osto