Gellini Anna Maria
Luce per illuminare le genti
2019/3, p. 29
La XXIII° giornata della vita consacrata ha dato occasione ai Vescovi delle diverse diocesi italiane di riflettere sul significato della vita religiosa nella Chiesa e nel mondo di oggi. Giorno di gratitudine e di lode per quanto Dio continua ad operare nelle diverse stagioni della vita consacrata.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
I Vescovi e la vita consacrata
LUCE
PER ILLUMINARE LE GENTI
La XXIII° giornata della vita consacrata ha dato occasione ai Vescovi delle diverse diocesi italiane di riflettere sul significato della vita religiosa nella Chiesa e nel mondo di oggi. Giorno di gratitudine e di lode per quanto Dio continua ad operare nelle diverse stagioni della vita consacrata.
Diffusasi in Occidente nel corso del secolo VIII in relazione all’uso giudaico prescritto dopo il parto, la festa del 2 febbraio cominciò a denominarsi, in terra franca, “Purificazione di Maria”. Con la riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II, la giornata ha recuperato il titolo più antico di “Presentazione del Signore”. La festa si colloca idealmente alla fine delle celebrazioni natalizie e prelude a quelle pasquali. Infatti nella presentazione al tempio, Gesù viene offerto al Padre, offerta che si consumerà poi nel sacrificio della croce. Fu papa Giovanni Paolo II, nel 1997, a stabilire che questo giorno diventasse anche la giornata mondiale della vita consacrata.
«È la festa dell’incontro» – ha detto papa Francesco durante la messa celebrata in S. Pietro il 2 febbraio. «La vita consacrata non è sopravvivenza, non è prepararsi all’ars bene moriendi… È vita nuova. È incontro vivo col Signore nel suo popolo. È chiamata all’obbedienza fedele di ogni giorno e alle sorprese inedite dello Spirito». Questo significa che «siamo chiamati ad accogliere Gesù che ci viene incontro» e «non ogni tanto ma ogni giorno. Seguire Gesù non è una decisione presa una volta per tutte, è una scelta quotidiana. E il Signore non si incontra virtualmente ma direttamente», nella «concretezza della vita».
Rivolgendosi ai consacrati presenti, il Papa ha sottolineato l’importanza di «tornare alle sorgenti, riandare con la memoria agli incontri decisivi avuti con Lui, ravvivare il primo amore». «Se facciamo memoria del nostro incontro fondante col Signore, ci accorgiamo che esso non è sorto come una questione privata tra noi e Dio. È sbocciato nel popolo credente, accanto a tanti fratelli e sorelle, in tempi e luoghi precisi. Ce lo dice il Vangelo, mostrando come l’incontro avviene nel popolo di Dio, nella sua storia concreta, nelle sue tradizioni vive: nel tempio, secondo la Legge, nel clima della profezia, con i giovani e gli anziani insieme (cfr Lc 2,25-28.34). Così anche la vita consacrata sboccia e fiorisce nella Chiesa; se si isola, appassisce. Essa matura quando i giovani e gli anziani camminano insieme, quando i giovani ritrovano le radici e gli anziani accolgono i frutti». È lode che dà gioia al popolo di Dio, è «visione profetica che rivela quello che conta. Quand’è così fiorisce e diventa richiamo per tutti, contro la mediocrità, contro i cali di quota nella vita spirituale, contro la tentazione di giocare al ribasso con Dio, contro l’adattamento a una vita comoda e mondana, contro il lamento e l’insoddisfazione».
Umanità
e fraternità
Mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli, ha colto l’occasione di questa festa per implorare da Dio il dono di sante vocazioni alla vita consacrata femminile e maschile, «vocazioni solide, ancorate ad un carisma riconosciuto dalla Chiesa, che vivendo autenticamente la povertà, la castità e l’obbedienza siano capaci di attrarre a Cristo e alla Chiesa altre sorelle e fratelli».
La solidità della vita consacrata è stata richiamata anche dal vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni, che ha incoraggiato «a diventare sempre più come la Chiesa desidera che siano i consacrati: ossia, dentro la Chiesa e davanti alla Chiesa, “testimoni del mondo futuro”, anticipo di quella pienezza di umanità, e quindi di santità, a cui sono chiamati tutti i battezzati. Ci domandiamo: come sarà il mondo futuro? Quale la sua caratteristica emergente? Sarà la valorizzazione in sommo grado di quei segni di umanità piena, fatta di delicatezza, di amore sincero e gratuito, a cui tutti aspiriamo, e di cui, purtroppo, avvertiamo frequentemente la mancanza, già nelle nostre famiglie, nelle relazioni interpersonali». «Di maggiore delicatezza e attenzione reciproca abbisognano anche le nostre comunità ecclesiali, là dove non sappiamo prendere il tempo necessario per fermarci, per guardarci negli occhi, ascoltarci e parlarci in verità. Anche le famiglie di vita consacrata richiedono un maggior dialogo sincero e relazioni più fraterne, libere e adulte».
Segno
e profezia
Mons. Giulio Brambilla ha chiesto ai consacrati e consacrate della diocesi di Novara, un “segno” da vivere per questo anno.
«C’è un segno che dovete regalarvi a vicenda, ma soprattutto regalare al mondo. Tornando nelle vostre comunità, dovreste poter dire: “Il segno della nostra vita comune sarebbe capace di essere significativo?”. Capace di inquietare anche la vita delle famiglie e delle comunità cristiane parrocchiali? Se queste guardassero voi, se le famiglie, le comunità parrocchiali e la società civile guardassero le comunità consacrate, potrebbero dire: “come è bello che esse vivano così!”? Senza il segno della vita comune di cui innamorarsi, la vita consacrata non rinasce. Questo è il segno che voi non dovete lasciarci mancare anche oggi!»
Comunità significative, sono ritenute particolarmente importanti in questo momento storico anche da mons. Pierantonio Pavanello, vescovo di Adria-Rovigo, per il quale «ripensare il volto delle comunità cristiane comporta che ci scopriamo radunati dalla Parola di Dio a vivere in fraternità. La “conversione missionaria” propostaci da papa Francesco, ha la sua chiave di volta proprio nella fraternità». I consacrati diventano fratelli e sorelle dentro una concreta comunità: «costruire una comunità fraterna è il modo concreto per vivere e testimoniare la comunione con Dio che scaturisce dalla professione dei consigli evangelici. La radice ultima di questa opera, che è allo stesso tempo umana e divina, sta nella dimensione teologale-mistica: se ci si limita alla dimensione orizzontale, psicologica, affettiva, funzionale, si perdono le ragioni profonde della fraternità. Proprio per questo la base della vita comunitaria sta nella preghiera in comune». E per vivere da fratelli «è necessario un cammino di liberazione interiore».
«In un mondo diviso, che esalta l’individuo e in cui domina un clima di rancore e di incattivimento che mette tutti contro tutti, la fraternità ha una dimensione profetica anche nei confronti della società civile e della dimensione politica».
Già nell’esortazione post-sinodale Vita consecrata di Giovanni Paolo II, (1996), si ricordava che «la vera profezia nasce da Dio e dall'amicizia con Lui, dall'ascolto della sua Parola nelle diverse circostanze della storia. Esige, d'altra parte, la costante e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e imprescindibile comunione ecclesiale, l'esercizio del discernimento spirituale, l'amore per la verità. Essa si esprime anche con la denuncia di quanto è contrario al volere divino e con l'esplorazione di vie nuove per attuare il Vangelo nella storia». (VC 84).
Attingendo al significato della liturgia del 2 febbraio, l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha messo in risalto un aspetto particolare della dimensione profetica della vita consacrata. «La vita consacrata vive la sua transizione in un cambiamento d’epoca e talora sembra immobile nella replica delle forme consacrate dalla tradizione, talora sembra travolta da uno sconvolgimento incontrollabile, talora sembra adattarsi con rammarico a una situazione cambiata con rinunce e fatiche. Spesso risulta segnata da una specie di grigia rassegnazione, un velo di tristezza che mentre rinnova la professione di fede rinnova anche l’impressione di una desolazione senza rimedio. Quale è la spada che trafigge l’anima della vita consacrata? La stessa che trafisse l’anima di Maria: quella spada che «potremmo chiamare lo struggimento per la comunione. Simeone, infatti, profetizza che la missione di Gesù sarà accompagnata dalla contraddizione». La vita consacrata «non può restare indifferente» davanti a tanta «assenza di comunione». Così è chiamata a vivere questo tempo, «non però trafitta dal piangersi addosso, dal lasciarsi prendere dall’amarezza e dal risentimento come se fosse legittimo affliggersi perché la storia sembra decretare il fallimento di una attrattiva, il concludersi di una forma storica, l’esaurirsi delle forze e delle risorse». I consacrati sono chiamati ad essere strumento e segno «di una fraternità universale che si riunisce intorno a Gesù, condivide lo spezzare del pane», e – come ha detto mons. Francesco Lambiasi ai consacrati della diocesi di Rimini - «segno trasparente dell’amore di Dio per i tanti bisogni dei suoi figli, soprattutto dei più poveri, a cominciare dal bisogno fondamentale qual è quello di incontrare Cristo, l’unico Salvatore di tutti».
Luce per
illuminare le genti
In continuità con i messaggi dei confratelli nell’episcopato, sono state le parole di mons. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ai consacrati e alle consacrate riuniti in cattedrale. «Scopriamo il senso della nostra vita trovando qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la nostra vita. Ecco la gioia di essere pieni della luce accesa "per illuminare le genti", quella che libera dall'ombra della morte e indica un cammino sicuro sulla via della verità e dell'amore». «Le nostre contraddizioni, i nostri limiti umani diventano, pieni di amore, motivo di vicinanza, perché noi non testimoniamo noi stessi, né una dottrina o una formula ma il Signore che continua, con peccatori come siamo, a compiere le grandi cose possibili agli umili che si fanno innalzare da Lui. Siamo piccoli che fanno cose grandi, non mediocri perché confidano nelle proprie forze. Siamo anche vecchi e limitati, ma non smettiamo di sognare, di trasmettere amore vero».
«Scegliamo di essere "generativi" non per la nostra potenza, che quando la cerchiamo ci riempie solo di presunzione o di tante attività, ma perché illuminati dalla luce che dona gli occhi che "vedono"! Quanto c'è bisogno di uomini e donne luminosi, forti, pieni di speranza, senza agitazioni perché pieni di amore, umani… Siamo credibili non perché perfetti, ma perché amati nella nostra debolezza. Siamo consacrati, non chiusi nel chiostro ma aperti al mondo, attenti ai segni dei tempi, con un'umanità che può sembrare paradossale ma che rende umani. In un mondo che insegue gli infiniti piaceri dell'io, abbiamo un amore libero dai legami del possesso per amare liberamente, pienamente e umanamente Dio e gli altri, tanto che non siamo isolati da nessuno e godiamo di tanta fraternità». E così mons. Zuppi ha concluso: «la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall'entusiasmo di comunicare la vera vita. Chiediamo al Signore la grazia di non esitare quando lo Spirito esige da noi che facciamo un passo avanti; chiediamo il coraggio apostolico di comunicare il Vangelo agli altri e di rinunciare a fare della nostra vita un museo di ricordi. In ogni situazione, lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto».
Anna Maria Gellini