Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2019/2, p. 31
Pakistan Vaticano

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Testimoni
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Pakistan
Un gesto di speranza
Oltre 500 leader religiosi musulmani del Pakistan hanno emanato una “Dichiarazione” in cui condannano pubblicamente il terrorismo, le violenze commesse in nome della religione e le fatwa (editti sacri) diffusi da ulema radicali.Il documento – come hanno riferito l’Agenzia Fides e Asia News del 7 e 8 gennaio – è stato firmato nella capitale Islamabad durante un raduno organizzato dal Consiglio Ulema del Pakistan (PUC). L'iniziativa, secondo gli osservatori, rappresenta una svolta soprattutto nell'atteggiamento verso le minoranze religiose e le sette islamiche gli "Ahmadi". Il PUC è una Unione di religiosi musulmani che rappresenta diverse scuole islamiche. È stato fondato nel 1988, allo scopo di migliorare i vari orientamenti della fede musulmana ed evitare i conflitti intramusulmani. La Dichiarazione si compone di sette punti e contiene elementi rilevanti per la libertà religiosa. Al punto n. 1. condanna gli omicidi compiuti “con il pretesto della religione”, e afferma che tutto questo “è contro gli insegnamenti dell’islam”. Al punto seguente (n. 2), dichiara che nessun leader religioso ha il diritto di criticare i profeti e nessuna setta deve essere dichiarata “infedele” (n. 3); pertanto nessun musulmano o non musulmano può essere dichiarato “meritevole” di morte tramite sentenze pronunciate al di fuori dei tribunali, e i fedeli di ogni religione o setta hanno il diritto costituzionale di vivere nel paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali.
Da ciò derivano anche il diritto a organizzare in maniera autonoma le proprie riunioni con il consenso delle amministrazioni locali (n. 4) e il divieto totale di pubblicare materiale (libri, opuscoli, audio) che incitano all’odio religioso (n. 5).
La “Dichiarazione” riconosce che il Pakistan è un paese multi-etnico e multi-religioso: perciò, in accordo con gli insegnamenti della sharia, (n. 6) sottolinea che “è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan. Il governo deve trattare con fermezza gli elementi che minacciano i luoghi sacri dei non musulmani residenti in Pakistan”. L’ultimo punto (n. 7) ribadisce l’importanza di applicare il Piano d’azione nazionale nella lotta al fondamentalismo. Da ultimo, ribadiscono che “tutti i non musulmani residenti in Pakistan hanno propri diritti e il governo deve assicurare i diritti fondamentali delle minoranze.
Il documento non parla della cosiddetta “legge sulla blasfemia”, spesso utilizzata dai musulmani radicali, quale strumento di discriminazione giuridica contro le minoranze, fino a invocare la condanna a morte.
La conferenza chiede anche di riesaminare al più presto possibile la richiesta di revisione del procedimento contro Asia Bibi, condannata a morte e poi assolta il 31 ottobre scorso, dopo nove lunghi anni di carcere. Il presidente PUC Hafiz Ashrafi ha preso le distanze dal giornale “Daily Times” per gli atti di violenza compiuti lo scorso dicembre dopo la sentenza di assoluzione. “Coloro, ha affermato, che in tutto il paese hanno provocato il caos non rappresentano alcuna istituzione religiosa”.
I religiosi del PUC, infine, hanno proclamato il 2019 "Anno per annientare il terrorismo, l'estremismo e la violenza settaria dal Pakistan", ribadendo che "i cittadini non musulmani devono godere degli stessi diritti di tutti gli altri".
Vaticano
Il card. W. Kasper: “c’è chi vuole un nuovo Conclave!”
Manca poco ormai all’apertura della conferenza convocata in Vaticano da papa Francesco, dedicata al problema degli scandali nella Chiesa. Si terrà dal 21 al 24 febbraio. La convocazione coincide con un momento in cui gli avversari di papa Francesco cercano di approfittare di questo avvenimento per ribadire le loro obiezioni nei suoi riguardi e il suo modo di agire. Alcuni lo accusano di aver commesso degli sbagli nel modo di gestire i problemi degli abusi e di aver per troppo tempo tergiversato nei riguardi di sacerdoti indiziati. A esprimersi apertamente contro è stato soprattutto il card. Raymond Burke, noto pioniere dell’ala conservatrice della chiesa cattolica. In un’intervista esclusiva alla ARD-Politmagazin “Report München”, ha dichiarato: “Adesso si può difficilmente affermare qual è l’approccio esatto. Direi che è più confuso che mai. Una cosa del genere – ha sottolineato – con il predecessore di Francesco, l’emerito papa Benedetto XVI, sarebbe stata del tutto diversa. Benedetto aveva al riguardo un atteggiamento molto chiaro. Era evidente che ai suoi occhi una situazione del genere sarebbe stata semplicemente inaccettabile”. Il card. Burke ha poi aggiunto: “Non possiamo giungere fino a chiedere le dimissioni del papa. Ma è vero che, secondo i commentatori classici, un papa che devia dalle sue funzioni soprattutto dal punto di vista dogmatico, è colpevole di eresia e quindi cessa automaticamente di essere papa”. Su questa vicenda, l’8 gennaio scorso, è intervenuto anche il card. Walter Kasper, rispondendo alla medesima emittente. Egli ha affermato che, a suo parere, lo scandalo degli abusi nella Chiesa è strumentalizzato per mettere in discussione la persona stessa di Francesco. “Ci sono delle persone – ha dichiarato – che semplicemente non gradiscono questo pontificato e vogliono sbarazzarsene il più presto possibile; vogliono per così dire un nuovo conclave. E vorrebbero preparare questa elezione in modo che avvenga nel senso da loro desiderato”.
Anche l’irlandese Marie Collins, consulente della commissione pontificia per la protezione dell’infanzia, durante una trasmissione televisiva ha rimproverato agli avversari di papa Francesco di strumentalizzare le vittime degli abusi e di servirsene come un’occasione per silurare le iniziative del Papa: “Si tratta – ha affermato – di una specie di politica della divisione. Qui, la sicurezza dei bambini non c’entra niente”.
Vaticano
Diaconato alle donne?
La commissione, istituita da papa Francesco nell’agosto del 2016 per lo studio del diaconato alle donne nella Chiesa, ha terminato i suoi lavori e ha consegnato al papa, a metà di dicembre, il risultato delle sue ricerche.
La commissione era composta da 12 membri di ogni parte del mondo – 6 donne e 6 uomini. Lo scopo che le era stato affidato era di effettuare «una ricerca oggettiva sulla situazione del diaconato femminile agli inizi della Chiesa». Il papa aveva parlato dell’opportunità di questa commissione parlando a circa 870 superiore generali dell’UISG, nell’udienza del 12 maggio 2016, rispondendo a una domanda di Carmen Sammut che gli aveva chiesto: «Nella Chiesa c’è l’ufficio del diaconato permanente, ma è aperto solo agli uomini, sposati e non. Cosa impedisce alla Chiesa di includere le donne tra i diaconi permanenti, proprio come è successo nella Chiesa primitiva? Perché non costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione? Ci può fare qualche esempio di dove lei vede la possibilità di un migliore inserimento delle donne e delle donne consacrate nella vita della Chiesa?».
Il papa aveva risposto: «Questa domanda… tocca il problema del diaconato permanente… In effetti questo c’è nell’antichità: c’era un inizio… Io ricordo che era un tema che mi interessava abbastanza quando venivo a Roma per le riunioni, e alloggiavo alla Domus Paolo VI; lì c’era un teologo siriano, bravo, che ha fatto l’edizione critica e la traduzione degli Inni di Efrem il Siro. E un giorno gli ho domandato su questo, e lui mi ha spiegato che, nei primi tempi della Chiesa, c’erano alcune “diaconesse”. Ma che cosa sono queste diaconesse? Avevano l’ordinazione o no? Ne parla il Concilio di Calcedonia (451), ma è un po’ oscuro. Qual era il ruolo delle diaconesse in quei tempi? Sembra – mi diceva quell’uomo, era un bravo professore, saggio, erudito –che il ruolo delle diaconesse fosse per aiutare nel battesimo delle donne, l’immersione, le battezzavano loro, per il decoro, anche per fare le unzioni sul corpo delle donne, nel battesimo. E anche una cosa curiosa: quando c’era un giudizio matrimoniale perché il marito picchiava la moglie e questa andava dal vescovo a lamentarsi, le diaconesse erano le incaricate di vedere i lividi lasciati sul corpo della donna dalle percosse del marito e informare il vescovo. Questo, ricordo».
La commissione istituita da papa Francesco aveva un compito di studiare il problema dal punto di vista non solo teologico, ma anche storico e antropologico.
Gli storici sono concordi nell’affermare che nella Chiesa dei primi tempi le diaconesse erano impegnate in alcuni servizi particolari, come per esempio la catechesi, il servizio ai poveri. Ma non avevano alcuna funzione all’altare. Nella Chiesa latina la presenza delle diaconesse è testimoniata dal secolo 6° fino al 13°; nella Chiesa orientale, invece, la loro presenza si protrasse più a lungo.
Il documento conclusivo a cui è giunta ora la commissione voluta da papa Francesco comprende solo poche pagine. Un membro ha definito «problematico» il problema delle fonti. «Ci sono – ha sottolineato – soltanto poche testimonianze storiche e queste non forniscono una completa informazione quale avremmo desiderato».
Oltre all’aspetto storico, a complicare il problema è quello teologico. Infatti la Chiesa cattolica è stabilita sul sacerdozio ordinato. La ragione sta perciò nel fatto che, se il sacramento dell’ordine viene amministrato anche alle diaconesse, allora non c’è più nessun impedimento anche per la loro ordinazione sacerdotale. Ma papa Francesco ha più volte ribadito che, a questo riguardo, l’esclusione delle donne è definitiva.
Karl-Heinz Menke, professore emerito di teologia dogmatica e propedeutica presso l’università di Bonn, anch’egli membro della commissione, ha dichiarato che una via d’uscita potrebbe essere di affidare alle «diaconesse» determinati compiti, che non implicano l’ordine sacro, come la celebrazione dei funerali e dei matrimoni. Menke si è augurato che il papa abbia a prendere in considerazione queste possibilità. Ma già prima, nell’assemblea plenaria dei vescovi tedeschi del 2013, il card. Walter Kasper ipotizzava un modello di diaconato femminile senza l’ordinazione sacramentale e portava come esempio la consacrazione delle vergini o delle abbadesse.
Il documento finale è solo «uno studio per il Papa» – ha affermato un membro della commissione. Ora il papa può servirsene come meglio crede: leggerlo, pubblicarlo oppure utilizzarlo per scrivere un altro documento».
a cura di Antonio Dall’Osto