Antoniazzi Elsa
Dialogo tra credenti di diverse religioni
2019/2, p. 27
Spesso riflettendo sul dialogo tra credenti di diverse religioni si tende a opporre il dialogo degli studiosi che si confrontano e la quotidianità di famiglie, parrocchie, comunità religiose, che fa incontrare credenti non cattolici. A questo livello si sa che si scopre che l’umano ci accomuna. Abbiamo fedi diverse e ancora di più tradizioni differenti, ma siamo uguali: con le stesse speranze e le medesime paure. Con un po’ di tristezza dobbiamo dire che neppure questo è sempre scontato perché ancora si sente dire: “ho scoperto che sono persone normali”.

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Dialogo tra credenti di diverse religioni
Spesso riflettendo sul dialogo tra credenti di diverse religioni si tende a opporre il dialogo degli studiosi che si confrontano e la quotidianità di famiglie, parrocchie, comunità religiose, che fa incontrare credenti non cattolici. A questo livello si sa che si scopre che l’umano ci accomuna. Abbiamo fedi diverse e ancora di più tradizioni differenti, ma siamo uguali: con le stesse speranze e le medesime paure. Con un po’ di tristezza dobbiamo dire che neppure questo è sempre scontato perché ancora si sente dire: “ho scoperto che sono persone normali”.
D’altro canto sappiamo bene che la via migliore per incontrarci non è quella di mettere tra parentesi le differenze: il rischio è di creare grandi spazi di non detti che sono troppi per una buona conoscenza.
Così la riflessione alta su questi fenomeni e il procedere feriale possono creare un circolo virtuoso.
La riflessione ci fa consapevoli e ci fa riconoscere le ricchezze; la quotidianità ci dà l’occasione per condividere e coinvolgere persone di fedi diverse in occasioni dove la differenza è in certo senso messa a tema.
In questa direzione è andato l’incontro di riflessione organizzato nel bolognese in occasione della beatificazione dei monaci di Tibhirine. Il motivo ha significato solo per i cristiani, ma dire semplicemente di voler seguire l’esempio dei monaci amici dell’islam, ha aperto disponibilità. La struttura dell’incontro era molto semplice: letture coraniche ed evangeliche, scelte dal gruppo di donne cristiane e musulmane che l’avevano preparata. Poi c’è stato ascolto e silenzio. Infine, ricordando la battuta dell’amico musulmano dei monaci, per il quale in fondo al pozzo comune troveremo l’acqua di Dio, e non quella cristiana o musulmana, abbiamo bevuto acqua attinta da una medesima ciotola, ideale pozzo.
Preparare ha chiesto attenzione e i consigli di un esperto della diocesi, così da poter creare un ambiente accogliente per tutti. I musulmani giunti erano semplicemente amici dei cristiani per via di scuola o lavoro. Pure per questo aspetto il coinvolgimento è stato il più ovvio e antico del mondo: il buon vicinato!
Dialoghi tra studiosi, tra autorità religiose, come le visite dei Papi in Moschee, hanno creato lo spazio mentale e la conoscenza necessaria per far sì che queste cose succedano senza dover essere esperti di questo tema, ma perché desiderosi di vivere in pace, condividendo anche la dimensione religiosa, pur con tutte le sue diversità. E così le chiacchiere intorno al tè marocchino e ai dolcetti, non erano su grandi temi; il clima amicale era nato dall’unione nell’essenziale, nello spazio della fede. Un piccolo quadretto: al momento del tramonto gli uomini musulmani sono usciti per la loro preghiera mentre tutti i bimbi giravano intorno a loro, curiosi o fieri di saper spiegare.
Un altro incontro è stato vissuto in una parrocchia della periferia milanese che ha organizzato il Presepe vivente. Sono bastati una capanna, una famigliola con il bambino tra le braccia, tavolini disposti a semicerchio con doni, alcuni organizzatori delle associazioni del quartiere e della parrocchia in attività, per chiamare prima i bambini, poi gli adulti alla festa del Presepe vivente.
Hanno partecipato sapendo che in quella piazza ci si radunava per un momento di pace, di gioia e di accoglienza fraterna. Un momento desiderato perché nel cuore di tutti c’è il grande bisogno di vivere come in un villaggio, senza barriere, ma con lunghi ponti, dove tutti possono essere raggiunti, dove è possibile e auspicabile conoscersi e aiutarsi.
In questa piazza, a volte un po’ sospettosa per i pericoli delle periferie, i bambini si sono mossi liberamente, per guardare con curiosità, per chiedere chi era quella famiglia nella capanna, per correre dai tavoli dei doni a quello del cibo egiziano, per stare bene in uno spazio che appartiene a tutti. E ancora con l’aiuto del responsabile diocesano per il dialogo, la preghiera ha potuto essere comune.
Chissà quanti casi. Questi solo per dirci che questo non è più un tema di alcuni, che hanno una particolare sensibilità o carisma: siamo chiamati ad incontrare tutti, possiamo escludere i vicini? Dobbiamo ringraziare coloro che si sono dedicati da tempo, studiando e vivendo incontri: oggi possono aiutarci a vivere un cristianesimo che abbia anche questo tratto dialogante.
Ci vuole pazienza, precisione e umiltà: meglio chiedere consiglio a chi se ne occupa: e ormai in ogni diocesi troviamo qualche sacerdote o esperto a questo dedicato. E soprattutto è importante organizzare insieme. La vita religiosa femminile ha un ruolo specifico da giocare perché è riconosciuta nel suo significato spirituale, perciò con una suora alcune distanze si raccorciano sia per le donne sia per gli uomini. E soprattutto, come sempre, lavorare tra donne supera molti muri.
Farci visita per scambiarci il dono delle nostre spiritualità ci fa uscire da paure e stereotipi ed è un dono per la città, che spesso fatica a vivere la vita dello spirito.
Elsa Antoniazzi