RELIGIONI LUNGO LA VIA EMILIA
2019/2, p. 24
La prima ricerca del 2017 (“Monoteismi in Emilia-
Romagna”) si è soffermata su ebraismo, islam e
cristianesimo ortodosso; la seconda del 2018 (“Cristiani in
Emilia-Romagna”) ha studiato il complesso mondo della
comunità protestanti e cattoliche legate all’immigrazione.
I risultati delle ricerche presentati il 10 dicembre 2018.
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Due ricerche in Emilia Romagna
RELIGIONI
LUNGO LA VIA EMILIA
La prima ricerca del 2017 (“Monoteismi in Emilia-Romagna”) si è soffermata su ebraismo, islam e cristianesimo ortodosso; la seconda del 2018 (“Cristiani in Emilia-Romagna”) ha studiato il complesso mondo della comunità protestanti e cattoliche legate all’immigrazione. I risultati delle ricerche presentati il 10 dicembre 2018.
Più chiese che moschee, più cristiani che musulmani con i protestanti in forte crescita. Il pluralismo religioso nel territorio emiliano-romagnolo è in gran parte legato al fenomeno immigratorio. Sono i dati che emergono da due ricerche promosse dalla Regione Emilia Romagna e condotte congiuntamente, con questionari e studi empirici, dall’Osservatorio per il pluralismo religioso del Gruppo ricerca e informazione socio-religiosa (Gris) e dal Dipartimento di storia, cultura e civiltà dell’Università di Bologna. Con queste ricerche si conclude la mappatura delle religioni in tutte le loro declinazioni e nella presenza di comunità e centri di culto. Si è trattato di un’indagine non semplice, anche per la riluttanza di molte comunità a fornire i propri dati e per la strutturazione di molte piccole realtà che rifuggono dalla creazione di reti e di federazioni.
Libertà religiosa,
stereotipi e nuova laicità
La Costituzione italiana recita, all’articolo 8, che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. Manifestamente la scelta dei padri costituenti fu quella di evitare la discriminazione religiosa che aveva portato a tante atrocità nel periodo nazista e fascista. A 70 anni dall’entrata in vigore della Carta della Repubblica, le ricerche confermano il fatto che la conoscenza reciproca, l’assunzione delle rispettive responsabilità, la trasparenza e il rispetto, sono i fondamenti per contribuire a rimuovere ostacoli e paure che ancora impediscono una civile convivenza tra persone di fedi diverse. «La consapevolezza della complessità delle realtà religiose studiate dovrebbe servire a ridurre l’impatto degli stereotipi semplificatori, all’origine di fraintendimenti e conflitti». Per esempio, per contrastare la convinzione diffusa che in Italia vi sia un’invasione islamica, occorre conoscere i molteplici volti dell’islam insieme ai dati: a fine 2016 (dati Idos) i musulmani erano circa il 32,6% del totale degli stranieri residenti, mentre i cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti, pentecostali) erano il 53%.
Anche in Emilia-Romagna (E-R), dove la percentuale di musulmani è un po’ più alta del resto del paese, i cristiani rappresentano più del 50% degli immigrati. Ci sono in regione ben 298 luoghi di culto cristiani: 180 di protestanti o pentecostali, 53 di cattolici immigrati e 65 di ortodossi, a fronte dei 180 islamici. Altre ricerche mostrano l’inconsistenza dello stereotipo opposto, che descrive l’Italia come una realtà culturale compatta e omogeneamente cattolica: anche indagini della Conferenza episcopale italiana hanno mostrato che solo il 30% degli italiani si possano definire coerentemente cattolici (poco più del 40% scelgono di destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica).
Il mosaico religioso degli italiani è differenziato per l’interesse diffuso per altre comunità/chiese (Testimoni di Geova, pentecostali, religioni orientali), per la New Age o per la pratica diffusa del bricolage religioso con cui molti costruiscono una loro privata spiritualità. Le indagini confermano che «quanto minore conoscenza si ha della complessità, tanto più si ricorrerà a stereotipi e ad atteggiamenti ideologici, che potranno indifferentemente essere ‘buonisti’ – tendenti a minimizzare i conflitti – o ‘xenofobi’ – tendenti a contrapporre identità inesistenti». Proprio la conoscenza della specificità dei fenomeni permetterà d’intervenire con politiche mirate, in grado di distinguere valorizzando le buone pratiche e isolando comportamenti rischiosi o devianti. Nel nostro contesto, la fede religiosa non può più essere data per scontata, ma va riscoperta o scelta dalle persone. Le comunità religiose sono insomma ad un bivio: o chiudersi nella difesa della tradizione contro il pluralismo (con proclamazione di valori eterni e non negoziabili) oppure rileggere la propria dottrina alla luce delle nuove condizioni sociali.
Privilegiare i contenuti comuni delle religioni per aumentare la comunicazione e lo scambio, non è arretramento opportunistico ma «un’occasione per ‘tornare alle origini’, al bisogno universale cui le religioni rispondono. Occorrerà dunque diffondere, oltre a questo diverso “regime della verità”, anche una nuova idea di laicità: superato ormai il regime di sostanziale monopolio della Chiesa cattolica, «lasciare il dibattito interreligioso ai soli ‘religiosi’, senza stabilire regole comuni, finirebbe per favorire la legge del più forte e il fanatismo». Per questo motivo, abbiamo bisogno di una laicità che mantenga l’indipendenza della pubblica decisione e abbia il coraggio di rinegoziare i residuali privilegi della superata religione di Stato, ma anche che non abbia paura di confrontarsi con valori e sfide poste dalle religioni intervenendo con competenza e garantendo i diritti di tutti.
La fotografia
dell’Emilia Romagna
La regione non è più un monolito religioso: la secolarizzazione e le migrazioni hanno cambiato il quadro da Piacenza a Rimini. La ricerca evidenzia l’irradiazione dei luoghi di culto e fa emergere un dato fondamentale: frequentare una comunità religiosa aiuta a sentirsi meno soli e meno spaventati, favorendo una più rapida e fruttuosa integrazione.
Per quanto concerne l’ebraismo, in Italia 35mila sono gli ebrei iscritti alle 21 comunità ufficiali attive (0,6 per mille della popolazione italiana): tutte fanno capo all’Ucei (Unione comunità ebraiche italiane), che le rappresenta a livello politico. In E-R si trovano 4 Comunità ebraiche attive (Bologna, Ferrara, Modena e Parma), mentre 37 altri luoghi parlano di storia e vita ebraica (sinagoghe, cimiteri, ecc…). Gli ebrei nella regione hanno una presenza che risale al Duecento, con storie peculiari a seconda degli Stati in cui risiedevano: Stati parmensi, Stati estensi, Stato della Chiesa.
Sul versante islamico, in E-R sono stati individuati, con difficoltà, 168 centri di culto (tali si considerano quelli che nella loro sede recitano almeno la preghiera del venerdì). La Federazione islamica E-R conta 42 associazioni (in gran parte di matrice sunnita), che rappresentano a livello locale la Confederazione islamica italiana (in linea con la “Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione” promulgata dal Ministero dell’Interno nel 2007). Storia a sé fa il movimento Ahmadiyya (presente in 204 nazioni; sede italiana in E-R, con 120-130 seguaci in maggioranza pakistani, di cui 80 seguaci solo a Bologna): questa comunità si considera parte integrante del mondo islamico, che invece la ritiene eretica. Proprio i pakistani sono gli unici in forte crescita, passando in regione dai circa 17mila del 2011 agli oltre 21mila di oggi (fonti Istat).
L’80% delle realtà islamiche intervistate porta avanti attività di formazione spirituale; il 56% sostiene gli immigrati a livello di sostegno economico, di mediazione linguistico-culturale, di ricerca del lavoro, di assistenza nelle attività legate ai riti funebri (es. trasporto della salma nel paese di origine). Su 23 centri intervistati, 11 non hanno un imam fisso, gli altri si dividono tra le classiche scuole che hanno differenti modi di interpretazione del Corano. Interessante il capitolo dell’islam al femminile: sono stati individuati 7 gruppi in regione; tra questi spicca un’associazione di donne musulmane (Life onlus), che affronta tematiche dottrinali e pratiche: tutela dei diritti di donne e bambini, mediazione per la prevenzione dei conflitti ed educazione alle differenze, dialogo interreligioso.
Le Chiese
ortodosse
Attraverso il concetto di “ortodossia” (retta dottrina) si indicano comunità cristiane orientali e sud-europee, i cui riti, riferimenti dottrinari e tradizioni culturali si sono definiti a partire dal cristianesimo delle origini, in dialogo e in antinomia dalla Chiesa di Roma. L’esistenza di diverse Chiese ortodosse spesso crea ambiguità, amplificate dalla scarsa conoscenza occidentale di queste forme alternative di cristianesimo. Il mondo religioso ortodosso in diaspora spicca per la sua pluralità. In E-R vi è una predominanza di chiese e missioni appartenenti al Patriarcato di Romania (48%), seguite da quelle appartenenti al Patriarcato di Mosca (25%) e al Patriarcato di Costantinopoli (13%). La loro fondazione è legata strettamente ai flussi migratori dall’est Europa: 13 chiese fondate fra il 2000 e il 2009, 34 chiese sorte dal 2010 a oggi. Le parrocchie di fedeli moldavi (legate al Patriarcato di Mosca) vanno a sommarsi alle chiese romene, che spesso ospitano anche significative minoranze moldave. Nel complesso sono state mappate in regione 52 chiese o missioni presenti stabilmente: la maggior parte di esse (43) dipende dalla Chiesa cattolica essendosi insediate sulla base di accordi con diocesi o parroci. Gettando poi uno sguardo interno alle diverse comunità (di egiziani copti, romeni e moldavi), troviamo una media di frequentanti sui 45-50 anni con una prevalenza di famiglie: dunque non possiamo più guardare esclusivamente all’Ortodossia come a una “religione delle badanti”! L’affluenza media (soprattutto di donne) è di circa 90 fedeli a parrocchia nelle liturgie domenicali, crescendo molto nelle festività (circa 79%). Gli under 18 anni sono il 20-30%. Predominano parrocchie mono-etniche(57% con fedeli provenienti dallo stesso paese d’origine); 13 parrocchie presentano comunità multi-etniche (43%). Per quanto riguarda i leader religiosi, più del 60% ha un’età compresa tra i 30 e i 50 anni; il 27% dei preti intervistati veste abiti monastici, mentre il 74% è sposato. Permane in loro l’immagine di una chiesa baluardo dei valori cristiani; la promozione della religione si mischia con la promozione di una identità legata al mantenimento delle tradizioni dei paesi di origine.
I cristianesimi,
le chiese dei migranti
La ricerca ha affrontato anche le differenze interne ai cristianesimi studiando in regione le comunità cattoliche immigrate (54 comunità censite), le comunità protestanti e le comunità pentecostali (nel complesso 184 realtà).
Sul versante protestante, un focus prezioso riguarda la galassia del pentecostalismo e delle cosiddette chiese libere o non denominazionali. Il pentecostalismo, corrente cristiana molto dinamica ed espansiva, privilegia intensità emotiva, creatività e appartenenza: per questa plasticità esso cresce in società ‘in via di sviluppo’ (paesi dell’Africa sub-sahariana, del sud America e dell’est Europa), diventando per gli aderenti un canale di elevazione sociale.
In E-R si fotografano numerose congregazioni pentecostali di ghanesi (30 comunità concentrate a Modena, Parma e Bologna) e filippini. Grazie al sincretismo, alla propensione scismatica che moltiplica le offerte religiose, le comunità pentecostali permettono ai migranti di rileggere il loro difficile percorso d’inserimento sociale come un’avventura spirituale in cui la riuscita è garantita da una forza soprannaturale. Le loro chiese censite si trovano per lo più nelle periferie o in aree poco abitate.
In ambito cattolico è stato fatto un censimento dei “centri pastorali” nati dalle numerose nazionalità originate dall’immigrazione: uno dei loro apporti più preziosi è il mantenimento della cultura d’origine, ma anche il senso del primato della vita spirituale, che diventa un elemento di freschezza per un cristianesimo italiano oggi inteso per lo più come ‘religione di valori’. I centri pastorali assolvono anche a un compito per nulla scontato: favoriscono la creazione di rapporti inter-etnici all’interno delle singole comunità. Tra gli ostacoli al mantenimento dell’identità invece emergono: la mancanza di un parroco fisso, la necessità di poter usufruire in autonomia dei luoghi di culto piuttosto che di luoghi destinati ad attività extra-liturgiche, il bisogno di assistenza in merito al tema del rimpatrio delle salme. In questo modo crescono comunque processi di ridefinizione identitaria, anche se va rimarcato che non tutti i fedeli cattolici immigrati si dichiarano soddisfatti del grado di integrazione.
Mario Chiaro