La Mela Maria Cecilia
PIENI DI GIOIA DALLA TESTA AI PIEDI
2019/2, p. 10
La Quaresima c’è proprio perché possiamo nuovamente armonizzarci, ricompattarci, riequilibrarci riprendendo in mano il volante della nostra vita per ritornare in carreggiata. Peculiarità di questo tempo forte è la gioia.

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Quaresima
PIENI DI GIOIA
DALLA TESTA AI PIEDI
La Quaresima c’è proprio perché possiamo nuovamente armonizzarci, ricompattarci, riequilibrarci riprendendo in mano il volante della nostra vita per ritornare in carreggiata. Peculiarità di questo tempo forte è la gioia.
Parlando della Quaresima focalizziamo subito l’attenzione sul mistero pasquale. L’esperienza di battezzati ci fa scoprire ogni giorno di più come la nostra vita cambia solo per gli incontri autentici che viviamo. Decisivo è quello con il Salvatore che ci apre ripetutamente il varco, attraverso la sua morte e resurrezione, all’incontro con Dio. Ecco il tempo di Quaresima come itinerario privilegiato di conversione e di vita rinnovata. L’incontro con Dio trasforma l’esistenza e dona nuova luce anche al nostro aspetto esteriore, così come al “volto raggiante” di Mosè quando usciva dalla tenda del convegno (cfr. Es 34,29).
Protesi
alla gioia
Non desti meraviglia, pertanto, se tra le varie peculiarità di questo tempo forte mi fermo a riflettere sulla gioia. La prima preghiera liturgica con cui iniziamo il cammino quaresimale il mercoledì delle ceneri ci è suggerita dall’inno dell’Ufficio delle letture che, proprio nel primo versetto, sollecita ad un’apertura interiore alla gioia: «Protesi alla gioia pasquale». Questo inno, all’ordinario di Quaresima, ci accompagna per tutto il cammino di rinnovamento cui siamo maggiormente invitati. Si tratta di un viaggio nella profondità di tutto il nostro essere per non rimanere alla superficie delle cose ma andare oltre, guardare in alto e quindi verso l’altro. Ecco perché vorrei sottolineare il participio “protesi”: da statici a dinamici, sul punto di…, proiettati, sollecitati, spinti.
È l’urgenza del mistero d’amore e sacrificio che si celebra a metterci in moto, a non indugiare, a non rimanere tiepidi. Ci fa essere spiritualmente slanciati anche quando il corpo potrebbe essere appesantito da vari malesseri o stanchezze e il cuore reso opaco dal peccato e dalla miseria. E la Quaresima c’è proprio perché possiamo nuovamente armonizzarci, ricompattarci, riequilibrarci riprendendo in mano il volante della nostra vita per ritornare in carreggiata. «Vivere bene la Quaresima non significa vivere con tristezza e volto scuro, ma in purità di cuore, in compunzione ed espiazione, quale cammino verso la Pasqua della vita eterna, verso la pienezza della felicità, verso la gioia». Nella pericope evangelica (Mt 6, 1-6. 16-18) della liturgia della Parola del mercoledì delle ceneri, Gesù ci invita, quando digiuniamo, a non assumere un’aria disfatta, bensì a profumarci la testa e lavarci il volto: ad essere insomma gioiosi. E per digiuno intendiamo non soltanto quello alimentare. L’inno dell’ufficio delle letture auspica che la mensa sia parca e frugale perché sia sobria la lingua ed il cuore, così da poter ascoltare la voce dello Spirito. Bisogna fare tanto silenzio, ascoltarsi dentro, ascoltare ciò che il Signore dice tramite la sua Parola. Ci sono inoltre riti, parole, gesti – anche umani – che scavano interiormente, riconducono all’essenziale, semplificano i nostri desideri e bisogni. “È nel deserto che Gesù consacra questo tempo di grazia”, per dirla ancora con il nostro inno.
Occorre partire
da tutto se stessi
Occorre partire da tutto se stessi, dall’interezza della propria persona fatta di animo e corpo non come realtà contrastanti, ma necessariamente convergenti. Comincia tutto dalla testa. Su di essa verranno infatti poste le ceneri perché i fedeli – come recita l’eucologia di benedizione – «attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua». Bisogna cambiare mentalità, modo di pensare. Passare dalla testa ai piedi. Ciò implica fede, ossia fidarsi, affidarsi e rischiare.
La Quaresima si conclude alla soglia del triduo pasquale. Eccoci alla celebrazione in coena Domini. Conosciamo bene l’intensa catechesi di Gesù preannunciata nel gesto di deporre le vesti e cingersi la vita con un asciugamano, versare l’acqua, lavare e asciugare i piedi degli apostoli. Il tutto ovviamente in posizione china, quella del servo. Poi si drizza e riprende le vesti e dice: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore. E dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 1-15). Mettersi a servizio degli altri ha un vantaggio di ritorno: la gioia. Ripenso alla famosa “visione” di Tagore: «Dormivo e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia».
Il secondo versetto dell’inno sopra citato indica il mezzo per acquistare la gioia pasquale: «sulle orme di Cristo Signore». La Quaresima è un più intenso percorso di imitazione di Cristo. È vivere sempre in uno stato di esodo da noi stessi - protesi appunto - per incontrare Dio e i fratelli superando nella carità egoismi e paure. È un invito a gioire. Non è una gioia a poco prezzo, ma è impegnativa; è la gioia di chi ha detto sì al Signore.
Papa Francesco, come cristiano e religioso, ci addita l’essenza della nostra identità: «Questa è la bellezza della consacrazione: la gioia, la gioia […]. Volevo dirvi una parola e la parola è gioia. Sempre dove sono i consacrati, i seminaristi, le religiose e i religiosi, i giovani, c’è gioia, sempre c’è gioia! E la gioia della freschezza del seguire Gesù: la gioia che ci dà lo Spirito Santo, non la gioia del mondo».
Stranamente solo all’apparenza, ma con profonda maturità teologica, san Benedetto, nella Regola, concentra maggiormente le espressioni inerenti alla gioia nel capitolo 49, quello riguardante la Quaresima. Egli, passato dalla terra all’eternità il 21 marzo, ossia all’inizio della primavera, è l’uomo pasquale per eccellenza, un uomo primaverile capace di destare il cuore al rifiorire continuo della vita e, dunque, un uomo evangelico. Il Santo Legislatore allude a penitenze fatte nel «gaudio dello Spirito Santo», perché il monaco, ogni cristiano, «nella gioia del desiderio spirituale aspetti la santa Pasqua». Non una gioia fittizia, evanescente, teatrale. La vera gioia cristiana nasce dall’incontro con Cristo Risorto, con Colui che invitandoci a rimanere nel suo amore ci assicura che la sua gioia sarà in noi e sarà gioia piena (cfr. Gv 15,9-11). È l’incontro con il Risorto che fa “ardere il cuore nel petto dei discepoli di Emmaus” (cfr Lc 24,32); degli Apostoli più volte è detto che «gioirono nel vedere il Signore» (Gv 20,19), che “furono pieni di gioia” (Luca 24, pass.).
Alla fine del prologo della Regola così san Benedetto riassume il senso della vita monastica: «Ci associamo con la sofferenza ai patimenti di Cristo, per meritare di essere anche partecipi del suo regno». Si percepisce subito che queste indicazioni valgono non solo per il monaco, ma per ogni cristiano che voglia vivere in pieno la sua vocazione. L’accento va posto in modo più marcato sulla gloria che ci è promessa e che ci attende, senza atterrirci delle sofferenze prospettate, né rimanere fermi al venerdì santo.
La via
con cuore dilatato
Del resto ce lo dice bene la tradizione antica: i catecumeni che ricevevano il battesimo da adulti venivano immersi tre volte nell’ampio fonte battesimale durante la veglia pasquale al termine del cammino di iniziazione. Da qui la successiva configurazione liturgica della Quaresima come percorso catecumenale. Si è sempre “principianti”, ossia ogni volta messi in condizione di ricominciare, di essere continuamente rinnovati e trasfigurati dalla grazia battesimale in quanto non si finisce mai di crescere interiormente, di camminare. È necessario percorrere la via con “cuore dilatato”, come detto proprio prima nel Prologo, nella soavità, nell’indicibile gioia per ogni piccola cosa in noi che porta l’orma grande dell’Altissimo. Non si è esenti da cadute, da prove, da momentanei tradimenti, tuttavia la nostra dignità filiale ci qualifica, ci sostiene, ci permette di ritornare alla fonte dell’acqua viva da cui tutto è cominciato e da cui tutto viene irrorato perché la nostra terra produca il suo frutto.
Le collette della quarta e quinta domenica di Quaresima di questo anno C annunciano la gioia: «O Dio, Padre buono e grande nel perdono, accogli nell’abbraccio del tuo amore tutti i tuoi figli che tornano a te con animo pentito: ricoprili delle splendide vesti di salvezza, perché possano gustare la tua gioia nella cena pasquale dell’Agnello». Il fine del cammino quaresimale è la cena pasquale dell’Agnello, un farci pregustare la gloria finale. La vita eterna sarà un banchetto perenne. La cena è «il simbolismo gioioso della Pasqua». Nell’inno dell’ufficio già ricordato è pure detto che «ai servi fedeli è promessa / la corona di gloria». Ma anche all’inno delle lodi: «non togliere ai tuoi figli / il segno della tua gloria», e dei vespri dello stesso ordinario: rendi il dolore «fecondo per sempre di gloria». Dalla miseria alla gioia, dal pentimento al perdono, dal peccato alla gratitudine, alla gloria. «Dio di bontà, che rinnovi in Cristo tutte le cose, davanti a te sta la nostra miseria: […] perdona ogni colpa e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia». La dinamica pasquale del passaggio si rinnova continuamente nella nostra esperienza umana e spirituale che è mistero e rivelazione, illuminazione e conquista, dimorare nella tenda e viaggio da intraprendere, già e non ancora… E questo dà gioia e apre alla gratitudine.
È nella croce che l’amore di Dio giunge al compimento, nel consummatum est di Gesù. È l’ora della glorificazione piena prefigurata nella cena e nella preghiera sacerdotale del Cristo: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,1-4). L’Eucaristia, la croce - proprio perché c’è la prospettiva della resurrezione - sono preludio e passaggio allo splendore di Dio nell’eternità.
Dio ci prende
per intero
Dalla testa ai piedi… Dio ci prende per intero, così come siamo, e ci fa operare un passaggio, ci fa celebrare quella Pasqua interiore dove il regno di Dio ha già messo le sue radici. È un cammino proposto all’uomo nella sua integralità perché possa scoprire sempre più la pienezza della propria vocazione cristiana scendendo sin nelle profondità dell’anima. Dalle ceneri alla cena, dal vestibolo dove piangono i sacerdoti dell’antica alleanza (Gl 2,17) al cenacolo dove si attua la vera Pasqua, dal pianto alla gioia. Occorre morire a se stessi, uscire dalla propria prigionia interiore. Cristo, con la sua resurrezione, ha ribaltato la grossa pietra che chiudeva i nostri sepolcri. L’esperienza della misericordia di Dio su di noi e del perdono donato agli altri è più forte di ogni sbandamento, la resurrezione di Cristo è la vera vittoria sulla morte, la vita cristiana è la via per ridare dignità e senso alla vita dell’uomo rivestito della dignità filiale. Dio è Padre e non vuole la sofferenza, ma se la permette è sempre per la pienezza della vita, mai per la morte, la sconfitta, il fallimento.
Diceva frère Roger Schutz, fondatore di Taizé, che quando la lotta e le lacrime interiori non ci induriscono, ma ci trasfigurano, è segno che abbiamo incontrato il Risorto. Quando tutto ciò che sembra distruggerci non ci blocca, ma ci apre nuove vie d’uscita, allora la Pasqua ci penetra. E sarà davvero gioia piena!
suor Maria Cecilia La Mela osbap