Cabra Piergiordano
Frati, frantumi, fratelli
2019/2, p. 4
Confesso che mi confesso sovente di “mancare di carità” verso i miei fratelli (o le mie sorelle). Ma confesso pure che spero che anche loro si confessino di questa mancanza. E nel dire questo, sto mancando di nuovo di carità… Come è difficile esercitare la carità verso chi vive gomito a gomito con noi! Sempre le stesse cose, sempre le stesse reazioni, sempre le stesse difficoltà. Eppure non manca la buona volontà di cambiare, anche se il più delle volte mi trovo a pensare che siano gli altri che dovrebbero cambiare.

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Frati, frantumi, fratelli
Confesso che mi confesso sovente di “mancare di carità” verso i miei fratelli (o le mie sorelle). Ma confesso pure che spero che anche loro si confessino di questa mancanza. E nel dire questo, sto mancando di nuovo di carità…
Come è difficile esercitare la carità verso chi vive gomito a gomito con noi! Sempre le stesse cose, sempre le stesse reazioni, sempre le stesse difficoltà. Eppure non manca la buona volontà di cambiare, anche se il più delle volte mi trovo a pensare che siano gli altri che dovrebbero cambiare.
Cambiare è una parola programmatica molto usata oggi, sia per dire cose di sempre come pure per dire che le cose stanno cambiando rapidamente.
Ed ora sembra giunto il momento di cambiare qualche cosa anche per la comunità che da produttiva dovrebbe diventare profetica!
Un tempo una comunità era apprezzata se era produttiva, in termini di servizi apostolici o caritativi. Anche le singole religiose erano valutate, prevalentemente o quasi, in base alle loro capacità operative. La comunità era al servizio delle opere che dovevano funzionare per fare del bene e quindi alla comunità si chiedeva di essere unita ed efficiente per servire la missione.
Ma le cose sono cambiate: le grandi opere, che facevano del bene e davano gloria a Dio, oltre che alla Chiesa e alla Congregazione, sono sempre più difficili da gestire, anche per l’indebolirsi delle comunità che aumentano di età e diminuiscono di numero, comunità alle quali è richiesto lo strano compito di diventare “profetiche”. Non è che non fossero profetiche anche prima.
Ma oggi sembra proprio che di fronte alle nostre deboli realizzazioni operative, occorra passare a prendere in considerazione nuove dimensioni della vita fraterna, quelle dimensioni che la rendono più bella che utile, più profumata che efficiente, più avvincente che produttiva.
Il grande maestro della fraternità, Sant’Agostino, ci dice in che cosa consista la bellezza di una vita fraterna, proprio all’inizio della sua Regola: “Il motivo essenziale per cui vi siete riuniti insieme è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio”. E conclude: “E così, innamorati della divina bellezza, sarete in grado di emanare il buon profumo di Cristo”.
Ma altrove scrive anche: “Vivono realmente uniti solo coloro nei quali l’amore di Cristo è perfetto. Gli altri, anche se pregano insieme, finiscono per diventare litigiosi, sciatti, irrequieti, turbolenti e fatui. Saranno come un asino selvatico attaccato alla carrozza: non solo non tira, ma con i suoi calci tormenta anche il compagno”.
Confesso di ritrovarmi spesso in quell’asino selvatico, trovandomi ricco di poca umiltà vera, quella che persegue le cose che uniscono, che sa gioire della stima che le sorelle (o i fratelli) godono, che considera un privilegio appartenere ad una comunità, che tiene sempre presenti le parole del testamento del Signore: “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete l‘un l’altro come io vi ho amato”.
Ecco come potrei collaborare alla bellezza profetica della vita fraterna, oggi: mostrare che chi segue il Signore, anche in questo nostro tempo, che sembra avere dimenticato Lui e l’accettazione reciproca, è capace di vivere con gli altri, tirando pazientemente lo stesso carro. Nonostante qualche calcetto ricevuto e dato, senza troppi musi lunghi e ripicche.
Una comunità fraterna dice che il Signore è vivo, dal momento che il suo amore permette di vivere assieme persone tanto diverse, capaci di accettarsi e sopportarsi.
E qui confesso di essermi lasciato prendere la mano dal tono un poco predicatorio, e spero che mi scuserete se vi sembro esagerato e forse idealista.
Ma il tendere ad una comunità profeticamente bella, è un ideale, un segno attuale e necessario, non un idealismo campato per aria.
Ed è un ideale perseguibile da ogni età e da ogni tipo di comunità.
Però, quante cose dovrei cambiare anch’io, e quanto deodorante dovrei usare per non soffocare il buon profumo di Cristo!
Piergiordano Cabra