Chiaro Mario
Mobilità sociale e democrazia
2019/12, p. 32
La precaria situazione delle periferie cittadine e la mobilità sociale bloccata fanno emergere la questione democratica fondamentale. Le Acli propongono un’Agenda di proposte economico-sociali per ridare fiato al nostro Paese.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Progetto di ricerca sociale delle ACLI
MOBILITÀ SOCIALE
E DEMOCRAZIA
La precaria situazione delle periferie cittadine e la mobilità sociale bloccata fanno emergere la questione democratica fondamentale. Le Acli propongono un’Agenda di proposte economico-sociali per ridare fiato al nostro Paese.
Da diverso tempo la cronaca ci riferisce di gravi episodi di violenza che hanno evidenziato il disagio di chi abita nei sobborghi delle città globalizzate. Politici, giornalisti e osservatori s’interrogano sulle ragioni di tale malessere e sulle possibili strategie per contrastarlo. Papa Francesco ha fatto del tema delle periferie, umane ed esistenziali, uno dei motivi conduttori del suo pontificato: guardare alle periferie significa rovesciare completamente l’angolo visuale e focalizzare le condizioni di esclusione e di marginalizzazione nel mondo. A livello internazionale il tema della vivibilità delle città e delle periferie è stato inserito fra gli Obiettivi nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu.
In Italia, in particolare, si è costituita una Commissione parlamentare d’inchiesta che ha studiato la questione delle periferie, o dei luoghi di disagio sociale, che destano allarme per quanto attiene alla sicurezza, all’ordine pubblico e all’integrazione della popolazione straniera. Lo studio ha rivelato che anche in questi luoghi, dove covano contraddizioni e conflitti economico-sociali ed etnici, si possono trovare energie e iniziative in grado di affrontare i problemi con approcci nuovi, superando stereotipi e pregiudizi.Le periferie sono la grande scommessa del secolo: il noto architetto Renzo Piano, in una sua intervista, ha affermato che «i centri storici sono sazi e appagati, mentre sono le periferie dove c’è ancora fame di cose ed emozioni, dove si coltiva il desiderio. Sono la città dove c’è ancora invenzione».
Un’alleanza
con le periferie
Rispetto a questo tema, anche le Acli si sono sentite interpellate per ripensare l’azione sociale e hanno maturato un progetto di ricerca che si è avvalso della collaborazione tra l’Iref (Istituto ricerche educative e formative) e il percorso per animatori di comunità promosso dalla scuola di formazione Livio Labor.Il tema dell’abitare è stato visto da una prospettiva relazionale (l’abitare è un “sentirsi” a proprio agio in un luogo) e da una prospettiva strutturale (lo spazio urbano si qualifica sulla base di una dotazione di servizi, funzioni e strutture essenziali): l’intreccio tra i due piani ha permesso di definire la “periferia” come luogo in cui si evidenzia un deficit di località e un’assenza/debolezza di servizi urbani.
La ricerca (su 25 località sparse in tutta Italia) permette di valutare tre fattori di disagio: la paura della criminalità (preoccupazione di subire un crimine: una rapina, il furto dell’auto, uno scippo, una violenza), il disagio per il decoro del quartiere (sporcizia, manutenzione delle case, scritte sui muri), il disagio per la funzionalità del quartiere (traffico, assenza di servizi e di luoghi di aggregazione). Le definizioni più ricorrenti di periferia date dagli intervistati delineano un’immagine della “periferia” distante da quella diffusa dai media (che parlano di aree isolate e degradate, di convivenza difficile): per loro la periferia è un luogo in cui si vive meglio per la sua lontananza dal caos del centro, ma è anche un quartiere con pochi servizi pubblici (è il principale rilievo critico). Il campione ci dice dunque che in periferia si vive tranquillamente e che c’è ancora la voglia di stare e di aiutarsi.
Con una lettura ragionata dei dati, si evidenzia in modo chiaro il problema principale della vita in periferia: la scarsità di servizi pubblici e il disinteresse della politica. La “cronaca nera” descrive le periferie come luoghi di tensione tra italiani e stranieri oppure abitate da sbandati o sotto il controllo di bande criminali: sono problemi che esistono, ma non sono centrali, perché la periferia si rivela soprattutto quando non ci sono o sono carenti servizi pubblici e strutture, e quando la politica locale si mostra disinteressata alla domanda di attenzione e di riqualificazione territoriale che giunge dagli abitanti.
Mozione di sfiducia
contro la politica?
La ricerca delle Acli indica anche che la frattura tra le classi sociali e i diversi esiti dei percorsi di mobilità sono sempre più rilevanti nell’analisi degli orientamenti dell’opinione pubblica. In Italia la mobilità sociale continua infatti a essere legata alle opportunità offerte dal proprio retroterra socio-economico. All’interno dei diversi strati sociali ci sono differenze tra chi è nato in determinate condizioni e coloro che invece vi sono pervenuti in seguito a un percorso di mobilità. Gli individui che hanno subito un declassamento sociale cominciano ad essere un gruppo numericamente rilevante, con condizioni di vita, atteggiamenti e opinioni peculiari.
Qualcosa si è inceppato nella società italiana: le promesse di miglioramento associate a istruzione e lavoro sempre più spesso non vengono mantenute. Nel migliore dei casi resti quello che nasci: per un bambino di una famiglia a basso reddito ci vogliono cinque generazioni per entrare nel ceto medio! Anche chi è nato in una famiglia di classe media spesso sperimenta una qualche forma di declassamento. L’Italia assomiglia sempre più a una clessidra con una grande base e una piccola sommità. Se solo un giovane su tre ha raggiunto una condizione di vita migliore rispetto a quella della sua famiglia – il 31% rispetto alla media OCSE del 42% (2018, sondaggio Un ascensore sociale rotto) – significa che il meccanismo dell’ascensore sociale si è bloccato. Di fatto, stiamo tradendo l’articolo 3 della Costituzione, dal momento che la Repubblica non sembra più riuscire a garantire a tutti «il pieno sviluppo della persona umana». Quando in una società conta troppo l’ereditarietà, la coesione sociale è a rischio. Il risentimento verso le élite, lo sprezzo per i poveri, così come il richiamo alla personalità forte, sono conseguenze anche del deficit di mobilità. In questo scenario, la mobilità sociale si presenta dunque come la questione democratica fondamentale. Come già si è notato, la fiducia nelle istituzioni è poco elevata e risente della collocazione delle persone nella stratificazione sociale: per le classi più basse le istituzioni non sono un ancoraggio significativo. Diffusa l’insoddisfazione socio-politica: una parte degli italiani ha come obiettivo polemico il funzionamento del sistema economico. Così l’Europa e l’immigrazione rimangono temi che polarizzano un’opinione pubblica dal volto ostile.
L’Agenda sociale
per un Paese fermo
Per il terzo anno consecutivo, in occasione dell’Incontro nazionale di studi, le Acli hanno presentato anche l’Agenda sociale, documento importante che raccoglie analisi e proposte di tutto il sistema Acli, a partire dai “servizi” (Enaip, Caf e Patronato) che intercettano quotidianamente le domande sociali della gente comune. Con questo strumento si vuole entrare costruttivamente nel dibattito politico, offrendo prospettive di valutazione delle scelte adottate e di misure che poco si comprendono, per fornire ipotesi correttive, integrative o alternative.
Nella sua relazione introduttiva, il presidente nazionale Roberto Rossini ha sottolineato che la crescita del Pil «si colloca attorno allo 0,1%; rallentano gli investimenti, mentre accelera la crescita del debito pubblico, che salirà al 134,7% del Pil in assenza di stabilità politica. Il rating basso che le agenzie internazionali ci affibbiano è indicatore di un Paese statico, che non investe, che non si pone degli obiettivi. Il Paese è fermo». Molti “cervelli” se ne vanno, altri si accontentano, per qualcuno il progresso consiste almeno nel non perdere le posizioni faticosamente raggiunte dai padri. Le nascite sono meno dei decessi, l’età media continua ad alzarsi. Il ringiovanimento è affidato agli stranieri. Così viene meno il futuro! Davanti allo spreco che si sta compiendo verso le vite sociali dei lavoratori, occorre «progettare assieme un nuovo modello di sviluppo, dove l’attenzione all’ambiente, alla tecnologia, alla persona e alla comunità siano i capisaldi tanto quanto la produzione e il profitto. Il modello dell’economia civile rimane il nostro riferimento assoluto, anche solo per dichiarare che non ci sarà salvezza se l’idea di sviluppo sarà ancora l’espansione continua e illimitata, con lo scopo di premiare solo gli azionisti. Oramai non ci crede più nessuno: neanche loro». Tocca a chi governa e dirige la “macchina” sbloccare il meccanismo e farlo ripartire.
Muovendosi in questa direzione, l’Agenda sociale delle Acli focalizza quattro ambiti d’intervento. Il primo riguarda istruzione e formazione. In Italia non c’è uno stretto rapporto tra i progressi nel settore dell’istruzione e quelli del reddito: «ottenere un diploma o una laurea – ha affermato il presidente – non protegge dal fatto di non dover poi essere obbligati a fare il rider o il commesso al McDonald's di zona per sopravvivere». Scuola, formazione professionale, università e costante apprendimento vanno progettati con rigore.
Una seconda leva è la previdenza e l’assistenza: all’interno di una giungla di norme, dove è sempre più difficile assicurare una “giustizia previdenziale” adeguata alla carriera di ciascun lavoratore, le Acli ribadiscono che manca un’idea-guida per rispondere a carriere lavorative sempre più discontinue e diseguali, e che si deve abbandonare la logica dei cambiamenti unilaterali fatti dal legislatore. Per quanto concerne il welfare assistenziale vanno doverosamente aperte tre finestre: a) sull’immigrazione, la richiesta è quella di abolire i due “decreti sicurezza” per dare sostanza all’integrazione ripensando strumenti chiave, a partire dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar); b) sulla sanità, troppo diseguale nella penisola, si chiede una urgente forte riflessione circa il nostro sistema di regionalismo differenziato; c) circa il reddito di cittadinanza, una misura anfibia di contrasto alla povertà e insieme di politica attiva del lavoro, si riconosce che ha il merito importante di integrare più servizi, i quali però vanno ora resi coerenti coi progetti di vita delle persone.
La terza grande questione è il fisco, cioè le risorse per pagare i servizi. Le Acli sanno bene che le categorie di cittadini sono molte e che i percorsi di vita sono molto differenziati, perciò propongono di agire subito sul versante della cosiddetta taxexpenditure (uso di agevolazioni fiscali, detrazioni e deduzioni), per personalizzare la situazione contributiva delle persone fisiche e giuridiche rendendola «più sartoriale, a misura della persona e della famiglia nei diversi momenti della vita». Infine, la quarta questione, che fa sintesi di tutto, è il lavoro. Il presidente Rossini, a nome di tutta l’associazione, chiede con chiarezza un progetto di «nuova modernizzazione di tutto il Paese in termini infrastrutturali, con un modello di sviluppo attento alla produzione prima che al consumo. Il lavoro plasma ciò che siamo e che saremo». La politica nazionale deve darsi questa utopia concreta, mentre dal basso ogni attore sociale deve impegnarsi per recuperare la cultura di una comunità aperta e sostenibile, dei diritti e dei doveri, di un destino comune personale e sociale.
Mario Chiaro