Dall'Osto Antonio
Crollo del muro di Berlino
2019/12, p. 30
Il 9 Novembre scorso sono stati commemorati i 30 anni del crollo del muro di Berlino. È una data che ha segnato una svolta decisiva nella storia non solo europea ma del mondo intero.

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A distanza di 30 anni
CROLLO DEL MURO
DI BERLINO
Il 9 Novembre scorso sono stati commemorati i 30 anni del crollo del muro di Berlino. È una data che ha segnato una svolta decisiva nella storia non solo europea ma del mondo intero.
Se è vero che la storia è maestra della vita, è istruttivo ripercorrere in questo anniversario del crollo del muro di Berlino il cammino storico di questi 30 anni che ha portato alla fine della cosiddetta “guerra fredda”e rivisitare le tappe che l’hanno caratterizzata. E anche per non dimenticare il pericolo che ha corso non solo l’Europa, ma il mondo intero di una guerra nucleare. Tanto più che non tutti i rischi allora corsi sono oggi tramontati nel panorama mondiale.
Si è sempre comunque ritenuto che si sia trattato di un conflitto tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica e i loro alleati per questioni politiche, economiche e militari, ed è stato spesso descritto, molto riduttivamente, come un confronto e una lotta tra capitalismo e comunismo. Ma come scrive lo storico Robert Wilde in Thought.co (21 ottobre 2019) i problemi in realtà erano molto più “grigi”. In Europa ciò ha significato la contrapposizione tra gli Stati Uniti e la NATO, da una parte, e i Soviet e il Patto di Varsavia dall’altra. La “guerra fredda” è durata dal 1945 fino alla dissoluzione dell’URSS, nel 1991.
Fu definita “fredda” perché non ci fu mai un confronto diretto tra USA e URSS, anche se, sottolinea Wilde, avvenne qualche scambio di colpi durante la guerra di Corea. Ci furono invece molte guerre combattute per procura in tutto il mondo, sostenute ora dall’una ora dall’altra parte, ma tra i due colossi e in termini di Europa non fu mai combattuta una guerra regolare.
Le origini della guerra
fredda in Europa
Gli strascichi della seconda guerra mondiale lasciarono gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica come le due potenze militari dominanti nel mondo, ma avevano due forme molto diverse di governo e di economia: la prima era una democrazia capitalista; la seconda una dittatura comunista. Erano due nazioni rivali e tra di loro ideologicamente opposte che si temevano reciprocamente. La guerra aveva lasciato il controllo della Russia di vaste aree dell’Europa orientale, mentre gli Alleati dell’occidente erano rimasti sotto il controllo degli Stati Uniti.
Nel frattempo, sottolinea Wilde, mentre in Europa occidentale si ripristinava la democrazia nelle loro regioni, la Russia cominciò a creare una rete di stati satelliti nelle cosiddette zone “liberate”. La divisione tra le due parti fu chiamata “Cortina di ferro”. In realtà non c’era stata alcuna liberazione, bensì una nuova conquista da parte dell’URSS.
L'Occidente temeva un'invasione, fisica e ideologica, comunista che li avrebbe trasformati in stati comunisti con un leader stile Stalin – la peggiore opzione possibile – e ciò era per molti motivo di paura anche per il rischio del socialismo dominante.
Gli Stati Uniti si opposero con la Dottrina Truman e la sua politica di contenimento per fermare la diffusione del comunismo; trasformò anche il mondo in una gigantesca mappa di alleati e nemici, con gli Stati Uniti impegnati a impedire ai comunisti di estendere il loro potere, un processo che indusse l’Occidente a sostenere alcuni terribili regimi. Gli Stati Uniti proposero anche il Piano Marshall, un vasto programma di aiuti intesi a sostenere le economie collassate che consentivano di guadagnare potere ai simpatizzanti comunisti. Si formarono delle alleanze militari: in Occidente riunite nella NATO e in Oriente nel Patto di Varsavia. Nel 1951 l’Europa fu divisa in due grandi blocchi di potere, a guida americana e sovietica, ciascuno dotato di armi atomiche. Seguì una guerra fredda che si diffuse a livello globale e che portò a una situazione di stallo nucleare.
Il blocco
di Berlino
La prima volta che degli ex alleati agirono come certi nemici – scrive Wilde – fu il blocco di Berlino. La Germania del dopoguerra fu divisa in quattro parti e occupata dagli ex alleati. Fu divisa anche Berlino, situata nella zona sovietica. Nel giugno del 1948, Stalin impose un blocco di Berlino con lo scopo di trarre in inganno gli Alleati inducendoli a rinegoziare la divisione della Germania a suo favore, anziché invaderla. I rifornimenti non potevano giungere in una città che si affidava ad essi, e l’inverno costituiva un serio problema. Gli Alleati non risposero con nessuna delle opzioni che Stalin pensava di offrire loro, e avviarono un ponte aereo: per 11 mesi, i rifornimenti furono portati via aerea, tramite gli aerei alleati, bleffando Stalin che non li avrebbe abbattuti provocando una guerra “calda”. Infatti non lo fece. Il blocco terminò nel maggio del 1949 quando Stalin vi rinunciò.
L’insurrezione
di Budapest
Stalin morì nel 1953 e si accesero le speranze di un disgelo allorché il nuovo capo del Cremlino, Nikita Kruscev avviò un processo di de-stalinizzazione. Nel maggio 1955, Kruscev, oltre a formare il Patto di Varsavia, firmò un accordo con gli Alleati per lasciare l’Austria e renderla neutrale. Il disgelo durò solo fino all’insurrezione di Budapest nel 1956: il governo comunista dell’Ungheria, di fronte alla richiesta di riforme interne crollò, e una rivolta costrinse l’esercito a lasciare Budapest. La risposta della Russia fu di permettere all’Armata Rossa di occupare la città e di costituire un nuovo governo. L’Occidente fu duramente critico ma, in parte, distratto dalla Crisi di Suez, non fece nulla per venire in aiuto diventando tuttavia più gelido verso i sovietici.
La crisi di Berlino
e l'incidente dell’U-2
Temendo la rinascita di una Germania alleata con gli Stati Uniti, Kruscev nel 1958 offrì delle concessioni in cambio di una Germania unita e neutrale. Un vertice di colloqui a Parigi fallì quando la Russia abbatté un aereo spia U-2 degli Stati Uniti che volava sul suo territorio. Kruscev si ritirò dal vertice e dai colloqui sul disarmo. L’incidente risultò utile a Kruscev che era sotto pressione da parte dei sostenitori della linea dura all’interno della Russia per le troppe concessioni. Sotto la pressione del leader della Germania dell’Est per fermare le fughe dei rifugiati verso l’Occidente e senza riuscire a rendere neutrale la Germania fu costruito il Muro di Berlino, una barriera di cemento tra la zona Est e Ovest della città che divenne il simbolo fisico della guerra fredda.
La guerra fredda in Europa
negli anni ‘60 – ‘70
Nonostante le tensioni e la paura della guerra nucleare, la divisione della guerra fredda tra Est e Ovest si dimostrò sorprendentemente stabile dopo il 1961, malgrado l’antiamericanismo francese e la repressione russa della Primavera di Praga. Ci fu invece un conflitto sulla scena globale con la crisi dei missili di Cuba e del Vietnam. Per gran parte degli anni ’60 e ’70 seguì un programma di distensione: una lunga serie di colloqui che ebbero un certo successo nello stabilizzare la guerra e realizzare un equilibrio degli armamenti. La Germania negoziò con l’Est una politica di Ostpolitik. La paura di una sicura distruzione reciproca cooperò a prevenire i conflitti diretti – la convinzione che se voi lanciate i vostri missili, sarete distrutti dai vostri nemici e perciò era meglio non fare affatto alcun lancio piuttosto che distruggere tutto.
Gli anni ’80
e la nuova guerra fredda
Negli anni ’80 la Russia sembrava vincente, con un’economia più prospera, migliori missili, e una crescente marina, anche se il sistema era corrotto e basato sulla propaganda. L’America, ancora una volta, temendo il dominio russo, riprese a riarmarsi e ad aumentare le forze, compreso il piazzamento di molti nuovi missili in Europa (non senza un’opposizione locale). Il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan aumentò notevolmente le spese militari, avviando la Strategic Defense Initiative (SDI) per difendersi dagli attacchi nucleari, arginando la sicura reciproca distruzione ((MAD). Nello stesso tempo le forze russe entrarono in Afghanistan, una guerra che alla fine avrebbero perso.
Fine della guerra
fredda in Europa
Il leader sovietico Leonid Breznev morì nel 1982 e il suo successore, Yuri Andropov, rendendosi conto che era necessario un cambiamento in una Russia al collasso e per la tensione nei suoi satelliti, sentendo di perdere una nuova corsa agli armamenti, promosse vari riformisti. Uno, Michail Gorbacev salì al potere nel 1985 con le politiche della Glasnost (trasparenza) e della Perestroika (ristrutturazione) decidendo di mettere fine alla guerra fredda e “dare via” l’impero satellite per salvare la Russia stessa. Dopo aver concordato con gli Stati Uniti la riduzione degli armamenti nucleari, nel 1988 Gorbacev parlò alle Nazioni Unite per spiegare la fine della guerra fredda rinunciando alla Dottrina di Breznev consentendo una scelta politica nei suoi stati satelliti dell’Europa orientale e far uscire la Russia dalla corsa agli armamenti.
La rapidità dell’iniziava di Gorbacev sconvolse l’Occidente e si temevano violenze specialmente nella Germania dell’Est dove i leader portavano rivolte in casa loro tipo Piazza Tienanmen. Tuttavia, la Polonia negoziò libere elezioni, l’Ungheria aprì i suoi confini e il leader della Germania dell’Est, Erich Honecker si dimise quando apparve chiaro che i sovietici non l’avrebbero sostenuto. La leadership della Germania dell’Est si estinse e il muro di Berlino cadde dieci giorni dopo. La Romania rovesciò il suo dittatore e al di là della Cortina di ferro emersero i satelliti sovietici. La stessa Unione Sovietica fu la prossima a cadere. Nel 1991 i fautori della linea dura tentarono un colpo di stato contro Gorbacev; ma furono sconfitti e Boris Yeltsin divenne capo. Egli sciolse l’URSS, creando invece la Federazione russa. L’era comunista iniziata nel 1917 era ormai finita, come anche la guerra fredda.
In conclusione, scrive Robert Wilde, alcuni libri, pur sottolineando che il confronto nucleare era giunto pericolosamente vicino alla distruzione di vaste aree del mondo, sottolineano che questa minaccia nucleare riguardava più da vicino aree fuori dell’Europa e che il continente godette di 50 anni di pace e stabilità, cosa che era dolorosamente mancata nella prima metà del secolo XX. Questa opinione è forse meglio bilanciata dal fatto che gran parte della Europa dell’Est fu in effetti soggetta per tutto questo tempo all’Unione Sovietica.
Gli sbarchi del D-Day, anche se la loro importanza fu spesso troppo enfatizzata per la caduta della Germania nazista, costituirono per molti versi la battaglia chiave della guerra fredda in Europa, permettendo alle forze alleate di liberare una buona parte dell’Europa occidentale prima che arrivassero le forze sovietiche. Il conflitto fu spesso descritto come un surrogato di un trattato di pace finale postbellico della seconda guerra mondiale che non ebbe mai luogo e la guerra fredda pervase profondamente la vita dell’Est e dell’Ovest, influenzando profondamente la cultura e la società oltre la politica e l’ambito militare. La guerra fredda fu spesso descritta anche come una competizione tra democrazia e comunismo, mentre, in realtà, la situazione era molto più complessa, con lo schieramento “democratico” guidato dagli Stati Uniti, che sosteneva regimi non democratici autoritari chiaramente brutali per impedire che cadessero nella sfera di influsso sovietica.
Antonio Dall’Osto