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Senso della vita risposta vocazionale
2019/12, p. 27
Nell’indagine è stato verificato che quando i sacerdoti imparano a dare un senso alla loro vita attraverso le azioni che intraprendono nel lavoro pastorale, imparano a star bene anche con se stessi.

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Ricerca tra preti religiosi di diverse congregazioni
SENSO DELLA VITA
RISPOSTA VOCAZIONALE
Nell’indagine è stato verificato che quando i sacerdoti imparano a dare un senso alla loro vita attraverso le azioni che intraprendono nel lavoro pastorale, imparano a star bene anche con se stessi.
La psicologia si è molto sbilanciata nel sottolineare l’importanza di una prospettiva evolutiva nella crescita e nel funzionamento della persona umana. Sapersi direzionare verso ciò che dà senso alla propria vita è una dimensione che caratterizza la ricerca di bene a cui ogni individuo aspira. Questo senso di autodirezionalità riguarda la capacità di dare o trovare la sua direzione personale alla sua vita in termini di prospettiva “vocazionale”, non solo a breve e medio temine (nel coinvolgimento quotidiano) ma anche a lungo termine come orientamento esistenziale: lo scopo che può dare un senso alla vita.
Autodirezionalità
e fedeltà vocazionale
Il costrutto dell’autodirezionalità – fin dagli anni ‘30 – è sempre stato l’elemento centrale della Logoterapia di Frankl che considera l’uomo come naturalmente orientato verso un compito che dà senso alla propria vita. Dopo molti anni di studi, ricerche e pubblicazioni sul senso della vita che indica un orientamento esistenziale, anche il Manuale Diagnostico usato per chi lavora nel campo della salute mentale (il DSM-5, 2013) ripropone l’autodirezionalità come una delle dimensioni per la valutazione del funzionamento generale della personalità.
Come si collegata tale prospettiva di ogni persona, con il carattere vocazionale specifico di chi fa una scelta di vita consacrata o sacerdotale?
Se ogni esistenza umana è intesa come risposta vocazionale, psicologia e spiritualità si incontrano sul comune terreno della riscoperta dei valori esistenziali. In tale percorso ogni individuo è guidato dalla capacità a guardare oltre se stesso, puntando su qualcosa o su Qualcuno che dia veramente senso alla sua esistenza. «L’uomo, nella sua ricerca di significato, così come nella ricerca di verità, è orientato verso l’obiettività di cose quali il senso e la verità».
Al centro della realizzazione di sé non c’è una visione di benessere fine a se stesso, ma la capacità di darsi prospettiva, quindi di apertura verso il senso dell’esistenza, che orienta la persona a cercare risposte significative alle situazioni che vive lungo il processo di crescita.
Questo aspetto motivante che è alla base di ogni chiamata vocazionale, si consolida nel rapporto con gli altri, in modo particolare in quelle relazioni dove emerge il dono totale di se stessi, dimensione profonda di ogni persona. Nel lavoro pastorale tale aspetto è particolarmente importante, perché chi fa una scelta vocazionale di speciale consacrazione considera la missione pastorale come motivante il proprio coinvolgimento e la propria apertura per essere strumento di annuncio della presenza di Dio nella vita delle persone di cui si prende cura.
«Soltanto nella misura in cui riesce a vivere questa autotrascendenza dell’esistenza umana, uno è autenticamente uomo ed è autenticamente se stesso. Così l’uomo si realizza, non già preoccupandosi di realizzarsi, ma dimenticando se stesso e donandosi, trascurando se stesso e concentrando verso l’esterno tutti i suoi pensieri [...]. Ciò che si chiama auto-realizzazione è, e deve rimanere, l’effetto preterintenzionale dell’auto trascendenza; è dannoso ed anche autofrustrante farne oggetto di precisa intenzione. E ciò che è vero per l’autorealizzazione, lo è anche per l’identità e per la felicità».
Risposta vocazionale
e coinvolgimento pastorale
Questa capacità di apertura e di autotrascendenza spinge ogni operatore pastorale ad esplorare nuove opportunità di senso in ogni fase della sua storia, riscoprendo l’unicità e il carattere distintivo del suo essere creatura per il servizio agli altri. Ed è ciò che permette di fare scelte anche nei momenti più difficili della propria vita. La risposta vocazionale si sintonizza con questa prospettiva intenzionale dell’esistenza, in quanto apre la persona alla voce di Dio che chiama a riconoscere i suoi doni nell’esperienza di ogni giorno.
Cogliere le opportunità a disposizione vuol dire riconoscere le potenzialità presenti come dono e valorizzarle creativamente nella propria persona: nella propria identità, nelle proprie credenze, nello stile relazionale, nei tratti del proprio carattere, perché tutto sia orientato al significato profondo della propria esistenza, facendo scelte che siano coerenti con il progetto di vita a cui la persona ha aderito.
In questo modo, attratto da valori e da significati che stanno al di fuori e al di sopra di lui, l’individuo esce dal buio dell’egocentrismo e si proietta verso lo spettro dei significati universali che lo coinvolgono direttamente. Con questa prospettiva l’autorealizzazione non è fine a se stessa ma è la conseguenza dell’autotrascendenza e dell’apertura oblativa agli altri. Diventa una vera e propria ricerca spirituale che accomuna le persone, una “spiritualità di comunione” che caratterizza l’esistenza intesa come realizzazione di un progetto che trascende il singolo e si apre all’umanità intera.
Quindi quando si parla di ricerca di senso (o di perdita di significato nella sua accezione disfunzionale) ci si riferisce agli aspetti motivazionali sottostanti il procedere vocazionale dell’esistenza umana, che vede ogni persona impegnata a dare risposte alla chiamata che Dio riserva per ognuno.
Nella vita consacrata e sacerdotale tale ricerca è riferita alla capacità di scoprire i segni della chiamata nei singoli eventi della propria esistenza. La persona ha bisogno di orientare ciò che vive di bello e di brutto verso un unico significato esistenziale. Questo collegamento tra il valore degli eventi e il senso esistenziale della propria vita caratterizza non soltanto il processo della crescita psicologica ma anche il cammino di fede, l’impegno carismatico, il coinvolgimento per essere “tutto a tutti”, quegli aspetti cioè che riguardano il loro modo di aderire al progetto vocazionale di Dio.
Senza questa prospettiva motivazionale, anche gli operatori del servizio pastorale rischiano di smarrire il significato unificante della loro scelta vocazionale. Infatti, se non scoprono il significato trascendente delle esperienze che vivono, la perdita di senso acquista una rilevanza tutta particolare, perché diventa perdita di senso vocazionale, soprattutto quando non riescono più ad integrare i diversi eventi della “fatica pastorale” in una visione progettuale e finalistica della propria esistenza.
L’esperienza vocazionale
attraverso una ricerca
Il senso della vita inteso come spinta vocazionale è un buon indicatore di come i sacerdoti vivono la loro risposta vocazionale e quindi può essere parte integrante degli aspetti motivazionali della persona.
Se la persona riconosce nella propria vita una ricerca di senso equilibrata, connessa con gli obiettivi pastorali delle proprie scelte vocazionali, vuol dire che lascia spazio ad una crescente maturazione degli aspetti intenzionali e propositivi della sua esistenza rivolta a Dio e ai fratelli. Diversamente, se emerge un profilo vocazionale dove sono alti i livelli di frustrazione e di insoddisfazione pastorale, soprattutto quando il suo coinvolgimento è vissuto in modo apparente e illusorio, essa rischia di restare soffocata da un disagio che non è solo psicologico, ma che tocca le radici profonde della sua esistenza.
Per questo è stato intrapreso un lavoro di ricerca con un gruppo di 155 sacerdoti religiosi di diverse congregazioni, per vedere se il loro stile di benessere personale (concettualizzato e misurato in termini della teoria del senso della vita, secondo l’approccio di Vicktor Frankl) è congruente con le scelte pastorali (concettualizzate e misurate in termini di soddisfazione nel ministero o, al contrario, di stress pastorale, secondo l’approccio di L. Francis) che rendono tangibile la propria capacità di autotrascendenza verso la gente di cui ci si prende cura.
L’età dei partecipanti va dai 24 ai 76 anni, così suddivisi: rispetto alla provenienza, gli italiani erano il 63% mentre il 37% proveniva da altri paesi; mentre rispetto allo status religioso di appartenenza, 56% erano sacerdoti diocesani mentre il 44% erano sacerdoti religiosi.
Partendo dall’ipotesi che la percezione del senso della propria vita coinvolga le persone ad auto-motivarsi nel loro comportamento di dedizione pastorale agli altri, al fine di orientare le loro esperienze quotidiane verso quegli obiettivi che hanno senso per la loro esistenza, in questa indagine è stato verificato che quando i sacerdoti imparano a dare un senso alla loro vita attraverso le azioni che intraprendono nel lavoro pastorale, imparano a star bene anche con se stessi.
Dai risultati emerge che la convinzione interiore a sapersi coinvolgere in prima persona per raggiungere determinati obiettivi altruistici è fondamentale per orientarsi a dare risposte di senso nella loro vita quotidiana.
Più specificamente, come si può rilevare dalla tabella, è emersa una chiara associazione significativa positiva tra il Senso della vita (PILS) e la Soddisfazione nel ministero (SIMS) con un coefficiente di correlazione di .54**, ed una associazione negativa con l’Esaurimento nel ministero (SEEM), con un coefficiente di correlazione di -.51**. Indicando così che i sacerdoti che sono centrati sul senso della vita come orientamento vocazionale fondante, si sentono meglio nel loro ministero e nella loro azione pastorale, mentre quanti non sanno qual è il senso della loro vita, sono più a rischio di esaurimento e di stress nel loro lavoro pastorale.
PILS
SIMS
SEEM
Senso della vita (PILS)
.63**
.54**
−.51**
Esaurimento nel ministero (SEEM)
−.44**
−.51**
Soddisfazione nel ministero (SIMS)
.58*
Matrice di correlazione.
Quali conclusioni ?
La psicologia ci insegna che dalla percezione del senso della propria vita le persone imparano ad auto-motivarsi nel loro comportamento, al fine di orientare le loro azioni (nel nostro caso le loro azioni pastorali) coerentemente con quegli obiettivi che hanno un significato per la loro esistenza. La ricerca portata avanti con questi sacerdoti ci dice che questo è possibile soprattutto quando i soggetti avvertono che il senso della loro vita è centrata su una esperienza di dedizione pastorale equilibrata verso la gente e non logorante o autoreferenziale.
Tale conclusione ci permette di dire che se da una parte anche i sacerdoti possono bruciarsi nel loro lavoro pastorale, dall’altra è importante che il loro servizio sia fondato su motivazioni di senso che orientano la loro vita verso ciò che è centrale nella loro vocazione, in particolare il loro lavoro pastorale. Per questo la gioia del servizio può diventare una occasione preziosa per prendersi cura di se stessi, perché anche quando sono stanchi possano attingere al significato vocazionale della loro esistenza, centrata sui valori profondi che motivano la dedizione agli altri.
Giuseppe Crea, mccj
psicologo, psicoterapeuta