Matté Marcello
Quelle chiavi che scottano
2019/12, p. 24
Caro papa Francesco, non voglio rubarti le chiavi che ti sono state consegnate come successore di Pietro, le chiavi che aprono e chiudono l’accesso al Regno. Scottano troppo e penso che anche tu, come il Pietro del maestoso affresco nella Cappella Sistina, non veda l’ora di restituirle. Però, come cappellano del carcere, porto anch’io, insieme a tanti altri operatori penitenziari, il peso di un mazzo di chiavi che aprono e chiudono. E queste chiavi noi le conserviamo in mano, anche se scottano. Molti, troppi ci gridano di chiudere dentro chi ha sbagliato e buttare via le chiavi.

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Quelle chiavi che scottano
Caro papa Francesco,
non voglio rubarti le chiavi che ti sono state consegnate come successore di Pietro, le chiavi che aprono e chiudono l’accesso al Regno.
Scottano troppo e penso che anche tu, come il Pietro del maestoso affresco nella Cappella Sistina, non veda l’ora di restituirle.
Però, come cappellano del carcere, porto anch’io, insieme a tanti altri operatori penitenziari, il peso di un mazzo di chiavi che aprono e chiudono.
E queste chiavi noi le conserviamo in mano, anche se scottano.
Molti, troppi ci gridano di chiudere dentro chi ha sbagliato e buttare via le chiavi.
Noi le chiavi non le buttiamo via, come non buttiamo via nessuna delle vite che per un momento sono state affidate alla nostra cura.
Ci offende la presunzione di coloro che vorrebbero affidare a chi opera in carcere il lavoro sporco di recludere le persone per escluderle dalla società nella convinzione – senza riscontri – che punire ed escludere possa creare sicurezza.
Ci offende la presunzione di tanti, troppi, che vorrebbero lavarsi la coscienza con il nostro lavoro sporco.
Ma il nostro lavoro è nobile, come ogni altro lavoro, ogni altro servizio rimunerato o volontario che prende in mano la vita di persone. Da cappellano ho la presunzione di credere che sia anzi un servizio sacro, perché sacre sono sempre le persone, non perché non abbiano mai sbagliato (e chi di noi?), ma perché custodiscono l’immagine divina che portiamo in noi anche quando per colpe nostre è stata offuscata.
Il nostro lavoro è un sacramento, perché vuole essere un segno efficace della tua misericordia, nella quale ci raggiungi non perché giusti, ma proprio perché peccatori.
Non butteremo mai via quelle chiavi, anche se scottano. Anzi ci ripromettiamo, ti promettiamo, che per ogni volta le abbiamo usate per chiudere, le useremo presto per aprire.
Per ogni volta qualcuno le abbia usate per recludere, noi le useremo per includere.
Per ogni volta siano state usate per dare qualcuno per perso, noi le useremo perché nessuno si senta mai perso e possa riaprire le proprie porte a Cristo e alla speranza che sempre egli dona a tutti.
Per ogni volta qualcuno le abbia usate per chiudere la bocca, noi cercheremo di usarle per aprire i cuori e la bocca al perdono chiesto alle vittime.
Caro papa Francesco, confidiamo di aver fatto buon uso delle chiavi che per qualche momento ci hai affidato e chiediamo la tua benedizione; non tanto per noi, ma soprattutto per le persone che vogliamo servire.
Marcello Matté