La Mela Maria Cecilia
Le antifone "O" al cuore dell'Avvento
2019/12, p. 16
Contengono tutto il midollo della liturgia dell’Avvento e nel loro insieme abbracciano, in tutta la sua ampiezza, il mistero della venuta di Cristo, dalla più remota preparazione al perfetto compimento.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
In cammino verso il Natale
LE ANTIFONE “O”
AL CUORE DELL’AVVENTO
Contengono tutto il midollo della liturgia dell’Avvento e nel loro insieme abbracciano, in tutta la sua ampiezza, il mistero della venuta di Cristo, dalla più remota preparazione al perfetto compimento.
Quando mi è stato suggerito un ventaglio di temi lasciando a me la scelta di quello da trattare, ho subito optato per le antifone maggiori che la liturgia ci fa pregare al Magnificat dei vespri dal 17 al 23 dicembre. Mi si chiedeva una condivisione che potesse essere una sorta di guida al periodo dell’Avvento, eppure qui si fa riferimento ai giorni conclusivi di questo tempo forte. Ciò non vuol dire che tocchiamo l’argomento in finale, piuttosto arriviamo al cuore proprio dell’Avvento in quanto le antifone maggiori sapientemente armonizzano e compendiano la teologia, i sentimenti, i contenuti, le invocazioni e l’anelito che sono tipici delle quattro settimane che precedono la celebrazione del Natale. Le antifone maggiori – dette comunemente anche antifone “O” in quanto tutte e sette iniziano con questa esclamazione vocativa - «contengono tutto il midollo della liturgia dell’Avvento», secondo la definizione di dom Guéranger il quale ne evidenzia la peculiarità di esprimere in pieno la sostanza del mistero cui si riferiscono. «È chiaro che nel loro insieme abbracciano, e in tutta la sua ampiezza, il mistero della venuta di Cristo, dalla più remota preparazione al perfetto compimento». Per diversi motivi, oltre alla preziosità letteraria e stilistica, e soprattutto per l’intensa espressività e carica emotiva/orante, esse possono a buon diritto essere annoverate tra le perle dell’antifonario romano.
Il tempo di Avvento ha un duplice orientamento: è preparazione al Natale come annuale celebrazione liturgica in memoria della prima venuta del Figlio di Dio, ed è contemporaneamente attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Possiamo ben dire che questa doppia tensione è ben espressa dalle nostre sette antifone. In esse il tema dell’attesa è non solo evocato, desiderato, ma quasi affrettato, come se una pressante impazienza volesse rendere eterno il già e non ancora che invece si sperimenta in quanto creature tuttora protese verso la meta finale. Un’attesa che si carica di gioia nella certezza che la promessa divina, già compiuta storicamente duemila anni fa, porta in germe quello che ci attende e che ci sarà dato nel pieno ricapitolarsi di tutte le cose in Cristo Gesù.
L’insistente invito
“Vieni”
Le sette antifone portano incastonato a metà del testo l’imperativo esortativo «vieni»: la caratteristica escatologica dell’Avvento è poeticamente espressa in esse insieme alla meraviglia comunicata proprio con l’esclamazione “O” che congiunge gli eventi passati quali preludio e adempimento delle promesse future raccordate dall’accorato invito“vieni”: una venuta che non si è conclusa, ma già accaduta si compirà mentre già al presente se ne è in buona parte coinvolti e resi partecipi. Così meditava una nostra consorella: «La nostra vita è sempre attesa, desiderio, speranza. L’Avvento è un po’ lo specchio del cuore umano, ansia di un incontro del nostro vuoto interiore con il dono di una vita senza fine, di una gioia senza ombre. Dio stesso viene tra noi: il nostro desiderio che sale incontra il nostro amore che discende».
Un atto di fede
nel Messia
Le antifone maggiori sono un atto di fede nel Messia quale perfezionamento ultimo e definitivo di tutta la Scrittura. Le immagini tratte da attributi messianici, infatti, fanno da ponte tra il primo e il secondo Testamento, ne sono l’antifona di congiunzione, l’espressione tradotta in preghiera del compiersi delle profezie: un annuncio diventato carne, Dio fatto Uomo, mistero di stupore e tenerezza. Ecco che gli atteggiamenti tipici dell’Avvento – attesa vigilante, speranza, conversione – sono gli ingredienti di queste antifone che, nei monasteri, sono ancora attenzionate con grande solennità di cerimoniali che intendono metterne in risalto la grandiosità. E laddove vengono cantate in gregoriano, nella loro melodia inconfondibile, spalancano un varco tra orecchie e cuore nel battito della voce che si fa contemplazione d’amore e di gratitudine. Ancora un benedettino esprime bene tutto ciò: «Le metafore aprono una finestra attraverso cui possiamo vedere ciò che finora era nascosto. E vogliono fissarsi nella nostra anima per cambiarci dall’interno».
Il richiamo e il rimando alla storia della salvezza, che le nostre antifone evocano, attualizzano nella nostra vita la presenza benevola del Signore che non viene mai meno. Se la costruzione tematica intorno all’aforisma della venuta sembra proiettare al futuro, la celebrazione liturgica riporta nell’oggi il mistero compiuto e da compiersi nella dimensione di una perenne attualità. Prego e canto una sorta di profezia, celebro e vivo quella storia universale che diventa evento personale inscritto in un circuito di comunione più grande. La Chiesa celebra e io, singolo orante, sono inglobato, assorbito, portato quale nota irrinunciabile e irripetibile, insieme alla voce di tutti i miei fratelli e sorelle nella fede, in questa sinfonia che attraversando i secoli mi raggiunge qui e adesso, irresistibilmente attratto e trasformato dalla potenza della preghiera, dall’aderenza alla Parola, dall’opera dello Spirito Santo.
Commento
alle antifone
Non sarebbe mai esaustiva nessuna meditazione su queste antifone, tuttavia mi soffermerò brevemente su ciascuna di esse evidenziandone solo una parola, quella che nel testo gregoriano è sottolineata dalla maggiore fioritura neumatica, laddove la notazione quadrata forma un crescendo che segna l’apice musicale dell’antifona stessa.
«O Sapienza,che esci dalla bocca dell'Altissimo,ti estendi fino ai confini della terrae tutto disponi con soavità e forza:vieni ad insegnarci la via della prudenza».
Nell’antifona del 17 dicembre il riflettore musicale è puntato sul termine forza. Il termine latino fortiter è davvero pregnante: fortemente dà il senso della solidità, della robustezza, di un qualcosa di invincibile. Nell’antifona successiva si parla del braccio di Dio che viene con potenza tuttavia non disgiunta dalla soavità come accennato in questa. Il Dio che viene è conciliatore degli opposti: in Lui vi sono fermezza e tenerezza,determinazione e comprensione, soprattutto amore, tantissimo amore. La forza è addolcita da quella sapienza che armonizza, compendia, raccorda, che è appunto prudenza.
«O Signore,e condottiero della casa di Israele,che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto,e sul monte Sinai gli donasti la legge:vieni a liberarci con braccio potente».
Nell’antifona del 18 dicembre la voce del cantore si concentra sul verbo sei apparso. Quando Dio si era manifestato a Mosè nel roveto ardente si era presentato come il Salvatore del suo popolo schiavo in Egitto, ora in Cristo Gesù continua a venire per redimere noi dalla schiavitù della morte e del peccato. La manifestazione divina nel mistero del Natale è apportatrice di questa possibilità di rinascere continuamente alla grazia. Il Signore è apparso e continua ad apparire dono di salvezza e vita sempre nuova, una fiamma che arde ma non si consuma.
«O Radice di Jesse,che ti innalzi come segno per i popoli,innanzi a te i re della terra chiudono la loro boccae le nazioni ti invocano:vieni a liberarci, non tardare».
Nell’antifona del 19 dicembre la fioritura neumatica poggia sul possessivo loro inscindibile da bocca. Davanti al Messia, al vero Re promesso, tacciono i re della terra, ammutoliscono quelli che si credono i veri potenti; c’è ancora uno sconvolgimento, lo stesso esaltato da Maria nel suo cantico di lode. La bocca si chiude se si apre il cuore, la bocca chiusa è la bocca che rinuncia ad ogni altra parola per accogliere l’unica e vera Parola, come Giobbe che chiudendo la bocca proclama la perfezione dell’agire divino. Non mi zittisco perché risentito o sconfitto, ma perché è il mio intimo che umilmente si inchina gioioso e riconoscente.
«O Chiave di David,e scettro della casa di Israele,che apri e nessuno può chiudere,chiudi e nessuno può aprire:vieni, libera lo schiavo dal carcere,che giace nelle tenebre e nell’ombra della morte».
Nell’antifona del 20 dicembre ci si ferma sul verbo chiude.
E così ci riallacciamo all’antifona precedente. Qui è una chiave che apre e chiude, la chiave di David, ossia la pienezza della messianicità regale, la chiave che sarà poi data a Pietro, alla Chiesa, che lega e scioglie. Un ragazzo si rende conto di essere cresciuto quando i genitori gli danno le chiavi di casa. È il segno che la fiducia viene riposta in noi. Le chiavi del cuore, le chiavi dell’intelligenza, le chiavi della vita, le chiavi di lettura della storia universale e del proprio vissuto: queste ci sono state consegnate da Dio perché non siamo più schiavi ma, in Cristo Risorto, siamo passati dalle tenebre e dall’ombra di morte – chiusura, alla luce eterna – apertura.
«O Astro che sorgi,splendore di luce eterna, sole di giustizia:vieni, illumina chi è nelle tenebree nell’ombra della morte.
Nell’antifona del 21 dicembre sostiamo sul sostantivo giustizia. Nel corpo di questa antifona è ripresa esplicitamente la contrapposizione tra luce e tenebre. Nel primo Testamento ricorrente è il rimando al sole di giustizia. Nel secondo, Zaccaria profetizza la visita di un sole che sorge dall’alto e Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, ne dispiega la realizzazione. La giustizia divina, ben diversa da quella umana, è proprio questo far luce nel buio, questo rischiarare le ombre e diradare le nebbie che ci imbrigliano e ci fanno paura. E questa luce è eterna!
«O Re delle genti,da loro bramato e pietra angolare,che riunisci tutti in uno:vieni, e salva l'uomoche hai formato dal fango».
L’antifona del 22 dicembre ci consegna l’immagine della pietra angolare. Gesù è la pietra d’angolo che sorregge l’edificio, è il cardine, il puntello, colui che cementa le pietre vive dell’edificio del suo Corpo che è la Chiesa, che siamo noi. «Tutti in uno» dovrebbe essere la formula vincente del vivere in famiglia, nelle nostre comunità religiose, nella realtà ecclesiale. Solo se siamo ben strutturati e raccordati all’unica pietra angolare saremo dono l’uno per gli altri, mattone indispensabile nel grande cantiere nel tempo e nello spazio che attende di essere definitivamente ricomposto nella Gerusalemme celeste.
«O Emanuel,nostro re e legislatore,speranza delle genti e loro Salvatore:vieni a salvarci,Signore nostro Dio».
Infine l’antifona del 23 dicembre con lo slancio vocale verso le genti. L’Emmanuele è il Dio-con-noi, non il Dio per me o il mio Dio: è il Padre nostro. Le genti siamo noi, tutti i figli del Creatore, fratelli e sorelle in cordata, compagni di viaggio e amici solidali. Non può esserci celebrazione della nascita di Cristo senza essere e sentirci in comunione. Le genti indica la moltitudine, la totalità delle persone senza esclusione, senza selezioni. Non una massa indistinta, ma l’insieme di ogni singolo individuo che non è mai entità individualistica, ma quel mio prossimo che, come me e come tutti gli altri, è salvato, riscattato, redento dal Signore nostro Dio.
Buon Avvento e buon Natale: auguriamocelo di cuore in una fioritura melodiosa di sentimenti, attese e desideri condivisi.
suor Maria Cecilia La Mela osbap