Pacchin Lino
Speranza in un mondo che cambia
2019/12, p. 13
Il Capitolo ha voluto richiamare tutto l’Ordine a trasmettere speranza con una pastorale tipicamente missionaria. Il programma per i prossimi anni: coraggio, creatività e diversità.

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Testimoni
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I Servi di Maria a Capitolo generale
SPERANZA IN UN MONDO
CHE CAMBIA
Il Capitolo ha voluto richiamare tutto l’Ordine a trasmettere speranza con una pastorale tipicamente missionaria. Il programma per i prossimi anni: coraggio, creatività e diversità.
Ad Ariccia, presso la Casa Divin Maestro, si sono riuniti dal 6 al 27 ottobre scorso (in contemporanea con il sinodo per l’Amazzonia) 50 capitolari in rappresentanza dei quasi 800 frati dell’Ordine dei Servi di Maria sparsi in tutti i cinque continenti, per il loro 214° capitolo generale elettivo. Ogni sei anni il capitolo generale ha il compito di verificare quanto è stato fatto nel sessennio precedente, di eleggere il nuovo governo e di indicare le linee programmatiche per il sessennio seguente.
Tema di questo capitolo: Servi della speranza in un mondo che cambia.
L’introduzione al suggestivo tema è stata fatta il primo giorno con una tavola rotonda, nella quale esperti in vari settori, tra cui p. Lorenzo Prezzi, hanno illustrato punti e fenomeni del cambiamento in atto: nuove forme di vita religiosa, immigrazioni e accoglienza, stimoli all’evoluzione di un antico Ordine come quello dei Servi. Poi nella puntuale relazione del Priore generale all’inizio dei lavori capitolari si è visto che le diverse Province, in cui l’Ordine è oggi strutturato, possono venir distinte in due categorie: quelle del “mondo del nord” e quelle del “mondo del sud”, comprendendo nel primo gruppo le giurisdizioni dell’Europa e del nord America, che sono le più antiche e fino a pochi decenni fa anche le più numerose e più solide economicamente, mentre nel secondo gruppo sono comprese le giurisdizioni più nuove nel Sud America, in Asia e Africa, che sono attualmente in forte crescita numerica, ma ancora molto fragili, perché totalmente bisognose dell’aiuto, non solo economico, delle Province più vecchie e in via di diminuzione se non di estinzione.
Aiutarsi
a vicenda
Nonostante questo diverso andamento tra i due mondi, il capitolo generale ha ribadito la necessità di cercare sempre più l’unità e la collaborazione tra le diverse giurisdizioni: che il nord continui ad aiutare il sud, ma anche che il sud aiuti il nord, ciascuno in base alle proprie possibilità e facendo affidamento alle proprie ricchezze, secondo lo slogan: “Siamo tutti Servi e ci aiutiamo a vicenda”.
Le prospettive sono che, con l’aiuto dei fratelli del sud, si possono conservare e continuare alcune delle più importanti presenze del nord, compresi i conventi che conservano lo spirito delle origini, come Monte Senario e il santuario della SS. Annunziata a Firenze. Il nord, a sua volta, può sostenere e guidare, con l’aiuto economico e con l’esperienza organizzativa, l’incremento numerico e strutturale nei paesi normalmente più poveri e più inesperti, consolidandone l’organizzazione e la formazione.
Finché c’è fatica
c’è speranza
Un motivo evangelico di speranza è stato offerto ai capitolari da P. Ermes Ronchi, pure lui capitolare, che è tornato alla Casa del Divin Maestro tre anni dopo aver predicato proprio lì gli esercizi spirituali a papa Francesco e alla curia romana: “Mi ha aiutato molto – ha detto – una espressione di don Lorenzo Milani: fino a che c’è fatica c’è speranza. Come per noi, che facciamo fatica a vedere e a decidere, quando attorno sembra notte: fino a che vedi un frate capace di fatiche, lavoro, disagi, sai che quel frate è un uomo che spera, un servo della speranza. Fino a che c’è fatica c’è speranza. Il proverbio popolare aggiunge: fino a che c’è vita c’è speranza. Proverbio sbagliato, da capovolgere: fino a che c’è speranza c’è vita. Vale anche per noi, e il nostro Ordine, casa di Cristo fino a che ci sono libertà e speranza (Eb 3,6)”.
Rinnovo
delle cariche
In questa fatica capitolare è stato eletto, anzi rieletto per il secondo sessennio, il priore generale Gottfried M. Wolff, un bavarese di 61 anni, che aveva guidato l’Ordine già nel periodo precedente garantendo stabilità e unità. Sono stati rieletti anche due consiglieri generali, l’italiano Sergio M. Ziliani, 53 anni, e l’indiano Souriraj M. Arulananda di 43 anni. Nuovi consiglieri sono stati eletti il messicano David M. Mejía, 58 anni, con lunga esperienza come formatore in Messico e in Indonesia e Benito M. Isip, 53 anni, dalle Filippine. Così è stata rispettata, all’interno del governo centrale, la multiculturalità e la rappresentanza dei vari continenti nei quali vive questo piccolo Ordine oggi. I Servi di Maria, infatti, nati nel XIII secolo come i francescani, i domenicani e i carmelitani, non hanno mai avuto un numero elevato di membri (al massimo sono stati 2000 nel XVII secolo), ma hanno costantemente tenuto vivo il carisma del servizio a Dio e alla Chiesa come Maria, serva premurosa e fedele del Signore.
L’incontro
con papa Francesco
Questo servizio è stato sottolineato anche dal papa Francesco che ha ricevuto in udienza particolare i capitolari il 25 ottobre. In un bellissimo discorso tenuto parlando a braccio, dopo aver consegnato al Priore generale il testo che gli era stato preparato (“così avete due discorsi in un solo incontro” ha scherzato), ha detto: “Il vostro servizio è un servizio di speranza, sull’esempio di Maria. Se c’è una persona che non sembra avesse motivi di speranze umane è la Madonna, con quelle cose strane che succedevano nella sua vita: dalla nascita di Gesù, poi la persecuzione e la fuga, poi il ritorno, e vedere il figlio che cresceva nelle contraddizioni… Ma Lei guardava avanti: era la Signora della speranza. Oggi, siamo tutti dottori nella mancanza di speranza. Troviamo sempre scappatoie per non avere speranza, quando incominciamo a lamentarci del mondo: Ma questo…, e queste calamità, le cose che succedono. Succedono cose brutte, ma non più brutte di quelle che accadevano al tempo della Madonna. È lo stesso. Il mondo cambia le forme, ma le schiavitù, le guerre, le crudeltà di quel tempo sono quelle di oggi. Bisogna seminare speranza, guardare oltre. La Madonna ci insegna anche a seminare speranza. Pensate al Calvario; pensate alla Pentecoste, quando pregava con i discepoli. È la Madonna dei dolori, e nel dolore, nella povertà, nello spogliamento viene la speranza, e si vede chiara. Quando uno sta bene non è tanto facile esprimere la speranza, ma quando ci sono le difficoltà viene la speranza. E Lei [Maria] è una maestra, ci ha insegnato tanto”.
Coraggio, creatività
e diversità
E il Capitolo generale ha programmato la vita dei Servi di Maria per i prossimi anni come un impegno ad esser dottori della speranza secondo tre principi: il coraggio, la creatività e la diversità.
“In questo mondo che cambia – è stato decretato – una parola-guida per noi, Servi della speranza, è il coraggio, che è la virtù degli inizi, del dare avvio a processi e a percorsi, più che occupare spazi (cf. EG 223); la virtù di un primo passo da compiere, che è sempre possibile, in qualsiasi situazione e a qualsiasi età; che può scuoterci dall’indifferenza, dalla ripetitività, dalla stanchezza, dal senso di sconfitta, dal “lasciarci cadere le braccia” (cf. Sof 3, 16). Quel “coraggio” che dice no alla paura di sbagliare e di essere soli e che si oppone alla tentazione di restare immobili e chiusi, e quindi di ammalarci nello spirito. Non siamo chiamati a raccogliere, ma a seminare; non ad arrivare, ma a partire; a salpare ad ogni alba, a seminare in ogni stagione, abbracciando, come il seminatore della parabola (cf. Mt 13, 1-23), l’imperfezione del campo con i suoi rovi, i suoi sassi e le sue spine.
Un’altra parola-chiave è la creatività, di cui nessuno è privo, da impiegare per trovare nuovi segni, nuovi simboli, nuovi linguaggi che servano a dare assieme nuova carne alla Parola della speranza (cf. EG 167). Per questo siamo chiamati a svegliare la nostra “immaginazione”, cioè la capacità di ipotizzare soluzioni che non esistono, ponendoci in modo ‘sveglio’ e ‘sognante’ di fronte alla realtà. Una esortazione è rivolta a ciascuno a osare la propria unicità e originalità, a non seppellire i propri talenti nella omologazione al pensiero dominante, ad accettare anche i conflitti conseguenti (cf. EG 226), sapendo che senza conflitto non c’è passione. Ma poi superandoli con combattiva tenerezza (cf. EG 85), con il ritorno alle nostre fonti e alla prima chiamata di Dio, al primo amore della nostra giovinezza (cf. Ap 2, 4). Più ritorniamo alle fonti e più siamo creativi.
Infine – è stato scritto – osare la nostra diversità: scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono e della giustizia; in un mondo che percorre la strada della guerra, scegliere di prendere la mulattiera della pace; in un mondo che ha paura delle differenze e di chi è diverso, scegliere di sentirsi ricco e orgoglioso della diversità e della dignità di cui ognuno è portatore; in un mondo di chiusure e di muri, aprire cuore e casa all’accoglienza e alla integrazione, così che l’Ordine torni ad essere una città di rifugio (cf. Nm 35, 6). Ma non da soli, bensì facendo rete con quanti operano nel luogo per la giustizia, la pace, cieli nuovi e terra nuova (cf. Ap 21, 1)”.
Verso comunità
interculturali
La novità principale di questo capitolo 2019 dei Servi di Maria è stata certamente la presenza di giovani capitolari provenienti dalle nuove fondazioni che l’Ordine ha avviato negli ultimi 20 anni, specialmente in Asia e in Africa. Essi hanno rappresentato giurisdizioni in crescita vertiginosa, portatrici di nuovi candidati desiderosi di vivere secondo lo spirito di questo antico Ordine, disponibili anche a rivitalizzare le antiche fondazioni e comunità. Perfino la comunità originaria di Monte Senario (presso Firenze) ha bisogno di diventare multiculturale per avere ancora vitalità e la forza di proporre servizi derivati dalla tradizione. Ma tutte le giurisdizioni del nord, possono sperare di rimanere vive e di portare avanti le loro presenze più significative solo con l’apporto di queste giurisdizioni del sud. Perciò particolare attenzione è stata dedicata alla formazione di comunità interculturali, cioè costituite da frati di giurisdizioni antiche insieme a quelli che provengono dalle nuove giurisdizioni.
Al fine di arrivare a questo, il capitolo generale ha raccomandato: “Si abbia cura di formare i candidati all'Ordine alla interculturalità, tenendo sempre come guida le Costituzioni e i testi della tradizione dei Servi, con la capacità di accogliere le novità suscitate dallo Spirito. Nei programmi di formazione si includa: la conoscenza delle diverse culture e l'apprendimento di altre lingue; dare la possibilità di vivere delle esperienze o tappe di formazione in altri contesti culturali; favorire scambi interculturali anche dopo la professione solenne (anno interculturale), tenendo sempre presenti l'indole e le sensibilità di ciascuno. Ed infine preparare i formatori ad essere idonei a seguire tale processo formativo”.
In un mondo che cambia, il capitolo generale ha voluto richiamare tutto l’Ordine a trasmettere speranza soprattutto con una pastorale tipicamente missionaria. È stato detto: “Ogni comunità viva la conversione pastorale in chiave missionaria come richiesto da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (25). Nella consapevolezza delle mutate condizioni socio culturali, ogni comunità ricerchi attraverso il discernimento pastorale le modalità più opportune per vivere la missione come esperienza comunitaria (EG 33) e non del singolo frate. Nel mondo che cambia, il valore e la testimonianza della fraternità vissuta sia all'interno della comunità come all'esterno, rimane come punto fermo e segno profetico di speranza”.
In conclusione si può dire che il capitolo di Ariccia è stato un capitolo giovane: 53 anni era l’età media. La dimensione della speranza ha mantenuto tutti i partecipanti in una tensione unitaria e aperta verso il futuro. A dispetto delle molte delusioni e rassegnazioni che serpeggiano frequentemente in molte comunità e giurisdizioni del mondo del nord, questa assemblea ha dimostrato che nella Chiesa ci sono ancora movimenti che riescono a dimostrare dinamismo e vitalità missionaria. Anche un Ordine antico di quasi 800 anni, come questo dei Servi, ha mostrato di esser ancora capace di speranza e di adeguamento al mondo che cambia.
Lino Pacchin