Antoniazzi Elsa
Il diaconato femminile
2019/11, p. 27
Il 2 agosto 2016 il Papa ha costituito la commissione per studiare il tema. Non era però compito della commissione stabilire «se l’apertura del diaconato alle donne oggi è un fatto positivo o negativo». Ora il Papa può servirsene come meglio crede.

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Un interrogativo tornato di attualità
IL DIACONATO
FEMMINILE
Il 2 agosto 2016 il Papa ha costituito la commissione per studiare il tema. Non era però compito della commissione stabilire «se l’apertura del diaconato alle donne oggi è un fatto positivo o negativo». Ora il Papa può servirsene come meglio crede.
Il 12 maggio 2016 durante l’assemblea plenaria dell’Unione superiore maggiori generali sono state poste al Papa alcune domande circa la partecipazione delle donne nella Chiesa; una di queste riguardava la questione specifica del diaconato femminile.
Ad esse papa Francesco ha risposto ricordando l’importanza della specificità femminile e raccomandando di non cadere però nella trappola del clericalismo, cioè del cercare ruoli e potere. Sul diaconato, invece, ha aperto la possibilità di una riflessione, a partire dal fatto che nelle comunità dei primi secoli esisteva la figura della “diacona”.
Il 2 agosto 2016 il papa ha costituito la commissione per studiare il tema con particolare attenzione ai primi secoli della Chiesa.
Sin qui i fatti interessanti per due aspetti: la questione del diaconato e il fatto che il tema sia stato posto dalle madri generali.
Le conclusioni della commissione non sono decisive, ma era nella logica delle cose, come si legge in un articolo di Settimanaws ( 22 dicembre 2018) «Il documento finale è solo uno studio per il Papa – ha affermato un membro della commissione –. Ora il Papa può servirsene come meglio crede: leggerlo, pubblicarlo oppure utilizzarlo per scrivere un altro documento». Non era infatti compito della commissione stabilire «se l’apertura del diaconato alle donne oggi è un fatto positivo o negativo».
Senza poter ripercorrere puntualmente i dati è importante sottolineare che il tema si pone perché ci sono le sue tracce nella vita della Chiesa.
La figura
di Febe nel NT
Per il Nuovo testamento il rimando più famoso è in Romani 16, 1-2 dove Paolo cita Febe: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso».
Il termine in greco (diakonon) è al maschile, tradotto dalla CEI nel 2008 con «a servizio della chiesa», mentre nella precedente traduzione si leggeva «diaconessa». Al capitolo 12, 6 – 8 nell’elenco dei carismi appare la diaconia, così si può dire che Paolo non si riferisce solo all’atteggiamento fondamentale del discepolo, ma che il termine si riferisce a un ruolo esercitato. Gli esegeti però non concordano, le posizioni sono evidentemente molto variegate legate alla ricostruzione del senso dato da Paolo. C’è anche chi pensa a un eccesso di cortesia.
Tre possibili
letture
Nel complesso possiamo delineare tre letture: a) chi riconosce il ruolo istituzionale del termine (e non sono solo autrici femministe; b) chi comprende il vocabolo nel suo senso più generico; c) chi pensa che Febe svolgesse un ruolo significativo all’interno della comunità, ma senza che questo fosse in qualche modo ufficializzato. Come sempre la traduzione apre a molte possibilità, ma va anche sottolineato che spesso chi interpreta in modo debole il termine si appoggia a criteri d’interpretazione successivi, per esempio con l’argomento per cui sarebbe anacronistico pensare che nel periodo della lettera ai Romani, 57 d.C., la Chiesa conoscesse già un gruppo di diacone e diaconi. Se la maggior parte dei commentatori propende per un’interpretazione forte del termine, riconoscendone la dimensione istituzionale, è vero che questo ruolo non è determinato e specificato, come però non avviene neppure per il diaconato maschile.
Nell’interpretazione è necessario anche essere consapevoli delle pre comprensioni che ci guidano. Così come ricorda A. Lohfink indicando il classico esempio della traduzione del nome Giunia. Nel testo è al femminile, ma poi improvvisamente il nome è stato trasformato in nome maschile. L’autore spiega che la sparizione dei ministeri femminili ha reso impossibile pensare a un titolo ufficiale riconosciuto a una donna.
Un ulteriore motivo di dibattito è il ruolo delle diacone (o diaconesse, come vengono nominate ). La resa femminile con il suffisso segnala maggiormente la differenza e infatti la sua immagine più comune è quella di accompagnare le battezzande nell’immersione e eseguire materialmente le unzioni battesimali. In realtà in diversi luoghi cristiani dei primi secoli ( sino al IV) offrono testimonianze diverse, senza traccia della presenza durante i battesimi.
E tuttavia è importante ricordare che il Concilio di Calcedonia del 415 fa esplicito riferimento all’ordinazione diaconale delle donne, oltre i quarant’anni.
Man mano questa figura è andata indebolendosi, ma è comunque restata presente. Ancora nel 1600 si possono rintracciare rituali di consacrazione monastica che riprendono il rituale dell’ordinazione diaconale.
Per la determinazione del significato del diaconato femminile, il dibattito si incentra sulle modalità del rito: con l’imposizione delle mani, in questo caso sarebbe una vera e propria ordinazione o solo con l’elevazione delle mani, e allora sarebbe una benedizione.
Le diverse testimonianze e le diverse interpretazioni non possono condurre conclusioni obbligate.
Dal passato
ci giunge un cammino
Tuttavia dal passato ci giunge comunque un cammino, una presenza diversificata per tipologia e consistenza, che ci permette di non considerare il tema del diaconato femminile come questione sollevata dal nostro tempo.
Del resto delle mutazioni del tempo la Chiesa non ha paura, come notano molti studiosi, ma come possiamo riscontrare con un minimo di consapevolezza della vita della Chiesa. Sappiamo bene che i diversi ruoli ecclesiali che hanno mantenuto il medesimo nome, presbitero, episcopo, hanno avuto una loro diversissima attuazione. E non c’è dubbio che nel primo secolo della comunità cristiana le due figure fossero molto lontane da come noi oggi le definiamo e soprattutto da come pensiamo debbano svolgere il loro ruolo all’interno della comunità cristiana. Figure in mutamento, dunque, ma sempre alla ricerca di risposte adeguate alle esigenze del proprio tempo. È la medesima attenzione che ha condotto al Concilio Vaticano II e lo ha guidato.
Di fronte alla possibilità di pensare al diaconato femminile i testi biblici, patristici e la storia offrono lo sfondo per adottare una decisione. In quest’ultima indubbiamente gioca un ruolo anche la situazione contemporanea. Tra le confessioni cristiane quella Vetero-cattolica riconosce chiaramente che il tema dibattuto dal 1800, trova negli anni ’60 del ’900 la determinazione, proprio alla luce del nuovo ruolo che le donne andavano acquisendo nella società. Per cui fu concepito non solo come servizio di aiuto al servizio degli uomini, ma come servizio di soggetti autonomi nel quadro della funzione o del ministero.
Resta dunque la decisione con l’attenzione ai tempi e ai luoghi, all’inculturazione, obbediente alla vita della Chiesa e al Vaticano II.
La riflessione avviata dall’Instrumentum laboris del Sinodo dell’Amazzonia esprime lo stesso atteggiamento. Nel cap IV si afferma come nell’organizzazione delle comunità sia importante passare da una «Chiesa della visita» a una «Chiesa della presenza». Stile importante ma pure difficile per le grandi distanze. Gli strumenti tecnologici aiutano, ma non risolvano il problema, perché esse comportano anche grandi differenze culturali. Il Sinodo propone suggerimenti ispirati alla vita della Chiesa primitiva, per avviare un discernimento che porti a prendere decisioni in ordine a «identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica» (129.3). E cita come riferimento biblico anche 1Tm 3, 1- 13 che è uno dei passi in cui si può riconoscere un riferimento al diaconato femminile.
E forse è utile anche ricordare come nella Regione Amazzonica esistano già donne, spesso suore, che svolgono un ruolo ufficiale. È il caso di Hermana Círia Catarina Mees, 54 anni, religiosa brasiliana della congregazione delle suore della Divina Provvidenza: oltre a importanti incarichi nel suo vicariato, segue e coordina la vita di 160 comunità rurali dove non sono presenti né presbitero né diacono, e per questo a lei è affidato il compito di visita delle comunità, di predicazione della Parola, guidando le celebrazioni domenicali.
Per questo forse quando la domanda sul diaconato è sorta tra le religiose non è nata solo da uno sguardo verso il futuro, ma anche dalla coscienza di un presente che chiede attenzione.
Per esempio deve evitare che lo spazio dato alla religiosa sia a discapito di quello dato alla laica. Per il futuro, quando ci saranno decisioni in ordine ai ministeri per le donne, resta la domanda di come questi si intreccino con la vita delle consacrate, in particolare con la sua dimensione profetica.
Elsa Antoniazzi