Guerini Nico
Il Rosario preghiera del cuore
2019/11, p. 21
Papa Francesco ha concesso il Giubileo Lauretano in occasione dei cento anni dalla proclamazione della Madonna di Loreto patrona dei viaggiatori in aereo. L’anno giubilare si svolgerà a partire da domenica 8 dicembre 2019 (solennità dell’Immacolata Concezione) e si concluderà il 10 dicembre del 2020, ricorrenza della Traslazione della Santa Casa di Loreto.

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Giubileo Lauretano (1° parte)
IL ROSARIO
PREGHIERA DEL CUORE
Papa Francesco ha concesso il Giubileo Lauretano in occasione dei cento anni dalla proclamazione della Madonna di Loreto patrona dei viaggiatori in aereo.
L’anno giubilare si svolgerà a partire da domenica 8 dicembre 2019 (solennità dell’Immacolata Concezione) e si concluderà il 10 dicembre del 2020, ricorrenza della Traslazione della Santa Casa di Loreto.
La Vergine Lauretana fu proclamata da Papa Benedetto XV «La principale patrona presso Dio di tutti i viaggiatori in aereo» il 24 marzo 1920, accogliendo i desideri di molti piloti d’aereo reduci della prima guerra mondiale.
Il Giubileo Lauretano non riguarderà solo gli appartenenti all’Aeronautica Militare, ma anche tutti i viaggiatori civili in aereo e coloro che, come pellegrini, visiteranno la Santa Casa di Loreto. Ad aprire la Porta Santa l’8 dicembre 2019 sarà il Segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin. Durante l’anno giubilare «i pellegrini potranno ottenere l’indulgenza plenaria varcando la Porta Santa per chiedere il dono della conversione a Dio e ravvivare la propria filiale devozione a Colei che ci protegge nei viaggi in aereo.» (mons. Fabio Dal Cin, Arcivescovo di Loreto).
«Tutti abbiamo bisogno di pregare. Abbiamo bisogno di coltivare un legame solido con la vita di grazia, di santificare il tempo del nostro quotidiano. Abbiamo bisogno di riscoprire ogni giorno la ricchezza di quella tradizione di fede che ci è stata consegnata dalle nostre mamme e dalle nostre nonne e che non possiamo rischiare di smarrire in nome di una modernità malamente intesa. Ben venga, perciò, lo sgranare il Rosario, ben venga nella misura in cui lo si vive come «preghiera del cuore», respiro di una vita spirituale che si nutre della Parola di Dio e della partecipazione ai sacramenti. Ben venga perché fa crescere la santità dei singoli e della comunità e ci permette di camminare lungo le strade della vita con il passo e lo sguardo di Maria.» (mons. Stefano Russo, segretario generale della CEI)
La gioia si irradia
dall’Incarnazione
«Il primo ciclo dei misteri del Rosario, quello dei ‘misteri gaudiosi’, è caratterizzato dalla gioia che irradia dall’evento dell’Incarnazione.» (Rosarium Virginis Mariae)
1. L’Annunciazione dell’Angelo a Maria
“Rallegrati, piena di grazia” (Lc 1,28). Stridente il contrasto quando questo saluto che annuncia gioia e “grazia” rintocca in un luogo di “disgrazia”! È comunque un inizio, un raggio di luce nella notte, che prefigura un altro annuncio ancora più gioioso che segnerà l’inizio dei misteri della luce: “Tu sei il figlio mio, l’amato!” (Mc 1,11). Sono parole che riguardano Gesù, ma anche noi, in lui. È nell’irradiazione di questo annuncio che si deve trovare la forza di respirare. “Il Signore è con te”, ci viene detto, anche a noi: ecco la “grazia”. Attaccarsi a questa promessa che rassicura, con la speranza che sia più solida di un ciuffo d’erba sulla riva, a cui si aggrappa chi sta per annegare. E meditare il mistero rivivendo i sentimenti di Maria, che reagisce alle parole dell’angelo passando per lo stupore, il timore, la domanda, la fiducia, per giungere all’abbandono generoso di chi si riconosce “serva del Signore”. È l’intero cammino della fede.
2. La visita di Maria a Elisabetta
“Beata colei che ha creduto” (Lc 1,45). Ripetere a se stessi questo saluto, ricordarsi di queste due donne che hanno creduto all’incredibile: da qui la loro gioia, che condividono cantandola. La stessa gratitudine visita pure noi, soprattutto quando, in momenti di desolazione, un gesto di accoglienza (un sorriso, una lettera, un incontro) ci fa dono della vicinanza del Signore, e ci aiuta a “credere” alla sua bontà. Sapere che è il nostro “vuoto” che “magnifica” il Signore perché rivela che lui solo è grande, ma anche ricordarsi che egli vuole servirsi della nostra miseria per compiere la sua opera nel mondo. Quale opera? Abbattere l’orgoglio, non confidare in ricchezze e potere; aiutare i deboli, soccorrere i poveri, saziare gli affamati: vivere il Magnificat.
3. La nascita di Gesù in una grotta a Betlemme
Gesù “avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia” (Lc 2,12): immagini di “poesia”? Piuttosto di morte e di squallore, che evocano il sudario e la tomba (Lc 23,53), come mostra l’iconografia bizantina della Natività. E tuttavia credere che in questi “segni” è venuto a nascondersi il Salvatore del mondo, Gesù, il Dio con noi, Emmanuele. Ci possono essere dei Natali che assomigliano più al Calvario. È l’occasione per contemplare il Signore come nostro compagno di strada, lui che si è “ridotto” nelle ristrettezze di una stalla, nell’impotenza di una croce, per farci comprendere che non siamo mai soli, dato che egli ci raggiunge nel fondo della nostra miseria. Rimaniamo dunque a “vegliare” da sentinelle, come i pastori e i Magi, in attesa di ascoltare un canto di angeli nel cuore della notte (cf. Lc 2,13-14), e che “la stella del mattino si alzi nei nostri cuori” (2Pt 1,19).
4. Gesù viene presentato al Tempio da Maria e Giuseppe
Strana storia: un vecchio che “abbraccia” un piccolo bambino nel quale vede “la salvezza preparata davanti a tutti i popoli” (Lc 2,30-31), e che è nello stesso tempo “segno di contraddizione” (2,34), fino a diventare per sua madre una “spada” (2,35)! Che salvezza è dunque questa che mischia gioia e dolore? È nell’atto stesso di “offrire” un bambino che, da adulto, “offrirà” lui la sua vita (cf. Gv 10,15). Questa offerta rivela una logica nuova nel modo di vivere, e ci fa scoprire che davvero “il sacrificio è il linguaggio fisico dell’amore”. In un mondo dove trionfano spesso la rapacità e la morte che ne discende, il “dono”, piccolo o grande che sia, è in ogni caso ciò che “salva”, ciò che ci garantisce la vera libertà del cuore. In effetti “condividere” è la maniera più efficace di vivere in pienezza, perché “chi semina largamente, largamente mieterà” (2Cor 9,6), e “chi perde/dona la sua vita, costui la troverà” (Mc 16,24).
5. Gesù perduto, è ritrovato nel Tempio
Questo è un “mistero di gioia” che è attraversato dall’angoscia di una “perdita”. Si è detto che in quei tre giorni Gesù si sarebbe rifugiato presso “suo” Padre: cercava forse un sollievo alla sensazione di essere stato abbandonato nella tristezza del mondo? Ma se questa “fuga” poteva consolare lui, la sua assenza getta i suoi genitori nella desolazione. Che resta, comunque, nel “perché?” di Maria, che non comprende, ma che attende, conservando la domanda nel suo cuore. Peraltro, dopo una sparizione temporanea, Gesù riappare, “scende” di nuovo con loro, per essere loro “sottomesso”: è l’ordinario del quotidiano che riparte. Abbiamo bisogno di Gesù, e non cessiamo di cercarlo. E però sappiamo di poterlo trovare là dove lui ci dà appuntamento: “in alto”, nel conforto che viene dalla preghiera (cf. Rom 15,4), e anche “in basso”, in incontri in cui la condivisione del dolore e della gioia (cf. Rom 12,15), o il dono generoso ai più “piccoli” (cf. Mt 25,31-40), crea un senso di comunione che ripara qualsiasi “perdita”, e ci guarisce.
Gesù
luce del mondo
«Passando dall’infanzia e dalla vita di Nazareth alla vita pubblica di Gesù, la contemplazione ci porta su quei misteri che si possono chiamare, a titolo speciale, ‘misteri della luce’. In realtà, è tutto il mistero di Gesù che è luce. Egli è "la luce del mondo" (Gv 8, 12).» (Rosarium Virginis Mariae)
1. Il Battesimo di Gesù nel Giordano
Il cielo che si apre, la colomba della pace e dell’amore che scende su di lui, e la voce del Padre che lo proclama il suo “Figlio amato” dicono chiaramente che il battesimo di Gesù è un’esplosione di luce. E tuttavia… Quando Gesù annuncia un altro battesimo che deve ricevere, ne parla in termini di “calice” della sofferenza (Mc 10,38), o di “fuoco” e di “angoscia” (Lc 12,50). Nessuna sorpresa. Marco ci dice che Gesù ebbe la visione nel momento in cui “risaliva” (ed è già il preludio della sua Ascensione!) dall’acqua (Mc 1,10) dopo che vi era “disceso” come nell’abisso della morte. Essere battezzato significa entrare nella stessa dinamica morte/vita che sta al centro della vita cristiana. Quando si è come sepolti nell’oscurità, ci si ricordi che il battesimo ci “radica” nel Cristo (Ef 3,17), e che la vocazione di queste “radici” è di scavare nel “buio” per trarne “di che / offrire del lavoro / alla luce” (Guillevic). Come fare? Luca annota che Gesù ebbe la “rivelazione” nel momento in cui “si trovava in preghiera” (Lc 3,21). È questo lo spazio in cui possiamo “battezzare” la nostra notte, e intravedere quelle piccole luci che arrivano a trapassare il nostro buio.
2. Le Nozze di Cana
La “luce” di Cana appare anzitutto nel fatto che in questo evento abbiamo il “primo (o l’inizio) dei segni” fatti da Gesù, un gesto che diventa epifania della sua “gloria”, o manifestazione della sua potenza e della sua anima. Il segno è almeno duplice. Anzitutto la festa di nozze e il banchetto ci ricordano il sogno di Dio: fare dell’umanità la sua “sposa” e celebrare questa alleanza nella gioia. Inoltre, l’intervento di Gesù ci dice che egli non accetta che la festa sia bloccata da una mancanza: la ripara con il dono del “vino” (ma per fare questo egli chiede, comunque, la “nostra” acqua!), che diventerà il dono del suo “sangue” sulla croce, dove si compirà la sua “ora” che inizia a Cana. Credere in lui, come hanno fatto i discepoli alla vista di questo “segno”, implica l’essere disposti a seguire lo stesso cammino: il dono di ciò che si ha, sia esso un “bicchiere di acqua fresca” offerto a “uno di questi piccoli”, o l’accoglienza a chiunque ne abbia bisogno (Mt 10,42).
3. L’annuncio del Regno di Dio (Mc 1,14)
È un grido di gioia, la fine di una lunga attesa: il Regno è a portata di mano, può essere visto e toccato. L’annuncio è rivolto in primo luogo ai “poveri” di ogni specie. Matteo lo fa proclamare nella regione “marginale” della Galilea (4,12-17), Marco lo circonda con molte “guarigioni” (1,21-2,12), Luca afferma che esso si materializza nella persona di Gesù, che viene “oggi a rendere la libertà ai prigionieri” (4,16-22). Si può pure aggiungere che “il regno di Dio è giustizia, gioia e pace nello Spirito Santo (Rom 14,17). All’annuncio di un Regno che è sempre “vicino” segue l’invito a crederci e darsi da fare per realizzarlo: è questa la “conversione”. Non tutti se ne rallegrano, o sono d’accordo: Marco ci segnala una serie di reazioni ostili all’annuncio, fino alla decisione di far morire Gesù (2,1-3,4). Ma la “luce” è ora nel mondo: le tenebre, anche le “nostre” (Mt 6,23), possono non accoglierla (Gv 1,5), ma non potranno mai spegnerla (Gv 8,12).
4. La Trasfigurazione sul Monte Tabor
Lo splendore che irradia dalle vesti e dal volto di Gesù sulla cima del Tabor fa di questo mistero l’apoteosi della luce, che impregna persino la “nube” che avvolge i tre personaggi di questa gloriosa epifania. Ma si sa che l’evento si situa tra due annunci della passione, che è una “pausa” su una strada che porterà Gesù sino al Calvario. E dunque, questo “sole” non dura che un istante: la nostra visione più normale è quella della “lampada che brilla in un luogo oscuro” (1Pt 1,19), giusto quanto basta a “camminare nella luce” (1Gv 1,7).
Questa lampada è comunque ben visibile: è nella voce del cielo che ordina: “Ascoltate lui!”. Essa è dunque la Parola che Gesù dice, che Gesù fa, che Gesù è! Parola che ora si può “vedere, udire, contemplare, toccare” (cf. 1Gv 1,1). E questo è ciò che comunque rimane, anche dopo che la “visione” si è dissolta.
5. L’Eucaristia
Questo mistero fa passare dalla luce del Tabor alle tenebre della Passione. Normalmente i pittori ce ne danno un’immagine calma e serena, ma se si leggono bene i testi si vede come il quadro si costruisce attorno a due poli opposti: Giuda, il traditore, e il “discepolo amato”. Da una parte c’è l’incomprensione, la discussione sulle precedenze, la fuga dei discepoli; dall’altra essi sono gli amici di Gesù, quelli che perseverano con lui, ai quali egli confida i suoi sentimenti più intimi. Ma soprattutto, al di sopra di tutto ciò, risuonano le parole di Gesù che annunciano il tradimento e l’abbandono, e nel contempo dichiarano la sua volontà di “consegnare” il suo corpo per loro e per la moltitudine. Le nostre eucaristie riprendono tutti questi motivi: non sono mai la “cena” ideale che sogniamo, ma una mistura piuttosto confusa. In effetti, ogni liturgia è allo stesso tempo una celebrazione e una provocazione: ti si mostra ciò che “sei” come discepolo, ti si dice: “diventalo”!
Nico Guerini