Montanari Antonio
Toccare la Parola
2019/10, p. 39
Ogni lettore avverte la fatica di avanzare verso il senso profondo della pagina biblica e talvolta si sente come un cieco che brancola nel buio. Tale condizione lo costringe a cercare lungamente, a riprendere con pazienza le singole parole e a ruminarle, fino a che il cuore arderà nel petto, come era accaduto ai discepoli di Emmaus, quando il Risorto aveva aperto loro la mente e la Scrittura. Anche Origene, nella pratica della sua esegesi, conosceva questa esperienza. Perciò amava paragonarsi alla donna del vangelo che aveva osato toccare il mantello di Gesù ed era stata guarita dalla forza che era uscita da lui (Lc 8,44-46).

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VOCE DELLO SPIRITO
Toccare la Parola
Ogni lettore avverte la fatica di avanzare verso il senso profondo della pagina biblica e talvolta si sente come un cieco che brancola nel buio. Tale condizione lo costringe a cercare lungamente, a riprendere con pazienza le singole parole e a ruminarle, fino a che il cuore arderà nel petto, come era accaduto ai discepoli di Emmaus, quando il Risorto aveva aperto loro la mente e la Scrittura. Anche Origene, nella pratica della sua esegesi, conosceva questa esperienza. Perciò amava paragonarsi alla donna del vangelo che aveva osato tocca-
re il mantello di Gesù ed era stata guarita dalla forza che era uscita da lui (Lc 8,44-46).
Il nostro cuore non è puro e i nostri occhi non sono come dovrebbero essere gli occhi della bella sposa di Cristo, alla quale lo sposo dice: «I tuoi occhi sono colombe» (Ct 1,15). [...] Tuttavia, nonostante la consapevolezza di questa condizione, non rinunceremo, trattando le parole di vita che ci sono riferite, al tentativo di appropriarci della forza che da esse sgorga per chi le tocca con fede. In questo contesto, il mantello di Gesù diventa metafora del testo biblico e in presenza di passi difficili il didaskalos esorta il lettore ad accostarsi alle sue pagine e a «toccarle» con fede, al fine di essere illuminato dalla potenza che da esse si sprigiona. La metafora del «toccare» gli consente allora di esprimere il contatto trasformante con la realtà divina, presente nel testo sacro. È interessante tuttavia notare che egli cambia il verbo greco del racconto evangelico con un sinonimo piuttosto ricercato, che significa sempre toccare, ma al modo di un cieco, che procede tastando il terreno con i piedi o la parete con le mani (cf. 1Gv 1,1; Is 59,10). Come a voler riconoscere che, davanti al mistero dischiuso dal testo biblico, qualcosa sfugge sempre alle possibilità dell'uomo. Questi allora non può che ravvivare l'umile consapevolezza di procedere come a tastoni di fronte alle parole di vita della Scrittura, che lo spronano a un continuo cammino di conversione, aperto perciò al dono della grazia, che lo raggiunge quando il testo manifesta in pienezza il suo contenuto.
Per parlare della conversione Origene utilizza l'immagine suggestiva del velo che Mosè, scendendo dal monte dopo il suo incontro con Dio, poneva sul proprio volto a causa dello splendore che da esso irradiava (cf. Es 34,29-35). Nella rilettura che ne fa Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi, quel velo invece permane non rimosso per i figli di Israele alla lettura dell'Antico Testamento (2Cor 3,14), fino a oscurare il loro cuore quando leggono le parole di Mosè (v. 15). Quel velo sarà tolto solo quando avverrà la conversione al Signore (v. 16). Di questi versetti Origene trae in modo coerente la conseguenza: finché alla lettura delle Scritture ci sfugge la loro intelligenza, fino a quando cioè il testo scritto rimane per noi oscuro e chiuso, significa che non ci siamo ancora convertiti al Signore. […]
L'incontro con la Parola, quando accade, si rivela come l'esperienza di un'iniziazione avvolta dall'intimità del silenzio: quello di un cuore che ascolta.
Antonio Montanari
da Accostarsi alla Parola
Fonti e prospettive della lectio divina
EDB, Bologna 2019