Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2019/10, p. 37
India Rajasthan: Le suore dello Spirito Santo ‘rivoluzionano’ la vita di 10mila tribali Gerusalemme: Trovata l’Emmaus biblica? Padri Bianchi e Suore Bianche: 150 anni di fondazione

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Testimoni
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India Rajasthan
Le suore dello Spirito Santo ‘rivoluzionano’ la vita di 10mila tribali
Una nuova scuola, un dispensario, 85 pozzi, tecnologie all’avanguardia per l’irrigazione dei campi, nozioni sulla rotazione delle colture, gruppi di auto-aiuto per le donne “che prima non conoscevano nemmeno il volto delle altre signore”, promozione dell’igiene personale, riduzione della mortalità infantile: sono i frutti dell’opera pastorale di un gruppo di suore indiane, che hanno “rivoluzionato la vita” di alcuni villaggi tribali abitati dall’etnia Bhil, nello Stato del Rajasthan.
Le suore sono le Missionarie serve dello Spirito Santo e appartengono alla diocesi di Udaipur. Nel 2011 hanno avviato il Child Focused Community Development Project nella missione di Goeka Baria, per un totale di otto villaggi nel blocco di Sajjangarh, distretto di Banswara. Qui la popolazione è composta per il 95% da indù e musulmani. In tutto, circa 10mila tribali sono stati aiutati dalle religiose: esse hanno incentivato progetti idrici e di micro-credito; dato sostegno alla diversità biologica, insegnando come programmare il raccolto e introducendo vegetali e nuove sementi; contrastato il fenomeno della migrazione, in particolare verso il Gujarat più industrializzato, e i “mali sociali” che tenevano soggiogate le donne, come i matrimoni infantili.
Sr. Jaisa Antony racconta: “Quando siamo arrivate, la popolazione viveva in estreme condizioni igieniche e in modo inumano e non poteva mandare i propri figli a scuola”. Uno dei problemi principali era la carenza di acqua: le suore hanno riparato le dighe e insegnato a immagazzinare l’acqua piovana. Poi, insieme al Krishi Vigyan Kendra [centro per la scienza dell’agricoltura] di Banswara, hanno sperimentato nuove coltivazioni come mais, ceci, ortaggi e riso, mentre in precedenza veniva coltivato solo il grano.
Un altro problema era la discriminazione delle donne, considerate inferiori, costrette a coprire il volto, a non guardare mai in faccia i propri interlocutori, a partorire in casa. Le suore hanno convinto 900 donne a unirsi a 72 gruppi di auto-aiuto e avviato corsi di cucito, di lavorazione del bambù, d’allevamento di ovini e caprini. Kamala Devi, 32 anni, è una di quelle che oggi guadagna 4mila rupie (60 euro) al mese come sarta e riesce anche a mettere da parte qualcosa per l’istruzione dei figli. “Prima dell’arrivo delle suore – dice – ci riconoscevamo tra di noi solo guardando i piedi, il bordo del sari, o il tono della voce. Oggi sorridiamo”.
Krishna Chandra, insegnante in pensione che vive a Goeka Pargi, ricorda che il lavoro delle suore ha incontrato diversi ostacoli: “Alcuni leader locali hanno cercato di opporsi, dicendo che l’opera delle suore era solo una facciata per le conversioni religiose”. Poi però, “quando la gente ha iniziato a sperimentare i benefici del loro lavoro, gli avversari hanno perso”. (AsiaNews, 19.09.2019).
Gerusalemme
Trovata l’Emmaus biblica?
Recenti scavi in una fortezza ellenistica di 2.200 anni fa a Kirjat Jearim vicino ad Abu Gosch, offrono probabilmente dei chiarimenti sulla localizzazione biblica di Emmaus. Come riferisce il quotidiano Haaretz, del 1° settembre scorso, secondo gli archeologi, i reperti convaliderebbero la teoria secondo cui il baluardo potrebbe essere il luogo indicato come Emmaus nel primo libro dei Maccabei e dall’antico scrittore giudeo Giuseppe Flavio. I risultati della ricerca saranno presentati il 24 ottobre prossimo a Gerusalemme. Gli archeologi dell’università di Tel Aviv e del College de France hanno scoperto le mura di una antica fortezza di 2.200 anni fa. Questa, secondo i ricercatori, potrebbe essere ricondotta al generale seleucida Bacchide che durante la rivolta giudaica contro i seleucidi nel 160 a. C. uccise il condottiero Giuda Maccabeo. Le mura della fortezza risalgono perciò alla prima metà del II° secolo prima di Cristo, e sono costruite sopra o accanto a una fortificazione più antica. La costruzione fu rinnovata sotto i Romani nel I° secolo d. C. La datazione si basa su reperti in ceramica, su altri reperti archeologici e sulla cosiddetta luminescenza otticamente stimolata (OSL), un metodo in cui l’ultima luce del sole viene misurata su determinati materiali.
Bacchide, secondo i resoconti biblici, e anche secondo Flavio Giuseppe, riconquistò Gerusalemme ed eresse una cinta fortificata agli ingressi della capitale. Secondo i ricercatori, la costruzione di Bacchide è l’unica fortezza conosciuta di queste proporzioni nella Giudea di quel tempo. Sebbene Kirjat Jearim non compaia nella lista di queste fonti, ci sono molte cose che identificano la fortezza con la località di Emmaus ad ovest di Gerusalemme. A favore della tesi parla il fatto che l’Emmaus neotestamentaria, secondo il Vangelo di Luca, si trovava a 60 stadi da Gerusalemme, ciò che a sua volta corrisponde alla distanza di 11 chilometri tra Gerusalemme e Kirjat Jearim, Abu Gosch e Gerusalemme.
Il Vangelo che parla dei cosiddetti discepoli di Emmaus (Lc 24,13-25) viene tradizionalmente letto nella liturgia del lunedì di Pasqua. Luca racconta come due discepoli incontrano Gesù risorto, senza tuttavia riconoscerlo. Solo dopo che egli spiegò loro le Scritture e spezzò il pane, si aprirono loro gli occhi. Attualmente tre località pretendono di essere l’Emmaus biblica: oltre ad Abu Gosch favorita in particolare dai crociati, competono "Emmaus-Nikopolis" (Amwas) vicino a Latrun ed Emmaus-Qubeibeh in Giordania occidentale. Kirjat Jearim ha un ruolo nella Bibbia in quanto secondo luogo di temporanea permanenza dell’Arca dell’alleanza prima di essere trasferita a Gerusalemme dal re David. Tra le altre cose, gli archeologi hanno trovato negli scavi effettuati dal 2017 dei residui di un culto o centro amministrativo dell’8° secolo avanti Cristo.
Padri Bianchi e Suore Bianche
150 anni di fondazione
Le Suore Missionarie di Nostra Signora d’Africa, conosciute come Suore bianche, celebrano in questo 2019 i 150 anni della loro fondazione, avvenuta ad un anno di distanza da quella dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi –1868), ad opera dell’arc. Charles-Martial A. Lavigerie. La fondazione avvenne in seguito a un’epidemia di colera che nel 1866 aveva imperversato in Algeria provocando la morte di 50.000 persone. L’arcivescovo si adoperò per cercare una congregazione femminile che potesse venire incontro a questa drammatica situazione. Inviò un giovane sacerdote francese da Algeri in Bretagna per trovare delle donne disposte a servire il prossimo sofferente dicendo però loro: «Non prometto né oro né prestigio umano, ma solo povertà, indigenza e abnegazione di sé e anche un possibile martirio». Conoscendo bene le difficoltà che avrebbero incontrato le avvertì: «Tra i musulmani, nessuno può avvicinare una donna se non è donna… Vi aspetta perciò un compito che non è ancora stato affidato a nessuno nella Chiesa».
Otto giovani donne accolsero l’invito e decisero di recarsi ad Algeri. La maggior parte di esse non avevano mai lasciato la Bretagna. Giunsero il 9 settembre del 1869, esattamente 150 anni fa. Fu un viaggio avventuroso. Qualche giorno prima erano state sorprese in mare da una tempesta che diede poi l’occasione di scegliersi il nome di “Suore missionarie di nostra Signora dell’Africa”. Non molto dopo, a queste donne della Bretagna ne seguirono altre dalla Francia e dal Belgio: alla fine di settembre 1869 si contavano già 22 postulanti. Il primo noviziato fu aperto nel mese di novembre e nell’aprile del 1871 le prime suore emisero i voti religiosi. Lavigerie inviò un gruppo a Laghouat nel Sahara e nello stesso tempo aprì un postulantato in Francia. Le prime suore, in gran parte robuste contadine, vivevano in semplici alloggi, esposte al caldo e al tormento dei parassiti. Lavoravano la terra in piccole comunità, pregavano e si occupavano degli orfani. La formazione e l’educazione religiosa dei bambini e il contatto con le donne del luogo divenne il loro principale compito, a cui si aggiunse anche la cura dei malati.
La congregazione fu approvata da Pio X nel 1909. Nel 1903 era stata fondata la prima comunità nel Quebec (Canada). Negli anni ’30 nel Nord Africa si contavano 34 case con circa 300 suore, mentre sul piano mondiale erano circa 1.000 e nel 1966, 2.163. Tuttavia anche la loro congregazione risentì della successiva comune crisi di vocazioni, tanto che nel 2003 il loro numero si era ridotto a 1.050 suore e, più di recente, nel 2018, a 600. Attualmente l’istituto è presente in 15 Paesi africani, dall’Algeria all’Uganda. La casa generalizia ha sede a Roma.
In occasione dei 150 anni di fondazione, Papa Francesco ricevendo in udienza, lo scorso 8 febbraio, un gruppo di Padri e Suore, li ha esortati a diventare dei “nomadi per il Vangelo”, cioè “uomini e donne che non hanno paura di andare nei deserti di questo mondo e di cercare insieme i mezzi per accompagnare i fratelli fino all’oasi che è il Signore, perché l’acqua viva del suo amore spenga ogni loro sete”. E ha aggiunto: “Con la forza dello Spirito Santo, siate testimoni della speranza che non delude, malgrado le difficoltà. Nella fedeltà alle vostre radici, non abbiate paura di arrischiarvi sulle strade della missione, per testimoniare che Dio è sempre novità, che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere”. “Lo Spirito faccia di voi dei costruttori di ponti tra gli uomini” … “là dove il Signore vi ha mandati, possiate contribuire a far crescere una cultura dell’incontro, essere al servizio di un dialogo che, nel rispetto delle differenze, sa trarre ricchezza dalle diversità degli altri”. Ha lasciato loro la consegna di “seminare la speranza nei cuori di quanti sono feriti, provati, scoraggiati, e si sentono tante volte abbandonati”.
“Nel corso degli ultimi tre anni, – ha detto loro – vi siete preparati a celebrare questo giubileo. Come membri della grande ‘famiglia Lavigerie’, siete ritornati alle vostre radici, avete guardato alla vostra storia con riconoscenza, per mettervi in grado di vivere il vostro impegno presente con una rinnovata passione per il Vangelo ed essere seminatori di speranza. Insieme a voi rendo grazie a Dio, non solo per i doni che ha fatto alla Chiesa attraverso i vostri Istituti, ma anche e soprattutto per la fedeltà del suo amore, che voi celebrate in questo giubileo”.
a cura di Antonio Dall’Osto