Giani Francesca
Il peso dei troppi immobili
2019/10, p. 32
Come “ordinare” l’uso degli immobili in relazione al piano carismatico, e capire se gli immobili sono dei mezzi da tenere per raggiungere i fini dell’istituto oppure sono pesi di cui liberarsi con un opportuno discernimento? Abbiamo molti immobili che rischiano di diventare dei falsi fini, delle zattere che si trasformano in zavorre.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
La forza del discernimento
IL PESO DEI TROPPI
IMMOBILI
Come “ordinare” l’uso degli immobili in relazione al piano carismatico, e capire se gli immobili sono dei mezzi da tenere per raggiungere i fini dell’istituto oppure sono pesi di cui liberarsi con un opportuno discernimento? Abbiamo molti immobili che rischiano di diventare dei falsi fini, delle zattere che si trasformano in zavorre.
Nelle Fiandre, se tutto procede come negli ultimi anni, l’ultimo monastero chiuderà nel 2030. In Italia nel 2016 sono stati chiusi 241 conventi femminili – più di 20 ogni mese – (dati ricavati dal confronto dell’Annuarium statisticum Ecclesiae ed. 2018 e 2019) nel caso la progressione si mantenesse costante si arriverebbe alla chiusura dei conventi femminili verso il 2046. Immaginiamo bene che non sarà così! Lo Spirito Santo sosterrà i religiosi nella loro testimonianza e si avranno nuovi e vitali carismi capaci di attrarre giovani per continuare a raccontare la bellezza del Regno che è venuto, che viene e che verrà. Ma intanto cosa fare? Come aiutare lo Spirito in questa ardua impresa?
L’importanza
della testimonianza
Le suore diminuiscono e i conventi diventano in sovrannumero con il rischio di avere come fine la sopravvivenza dell’istituto più che la docilità allo Spirito Santo. La sovrabbondanza degli immobili ci potrebbe ricordare una frase del capitolo 203 dell’enciclica Laudato si’: “Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini”, espressione che chiama in causa la povertà, cifra costitutiva della vita religiosa. Sempre su questo tema Papa Francesco in occasione dell’incontro con il clero e i religiosi di Bologna, avvenuto il 1 ottobre 2017, ammonì: “Si sente a volte: nel nostro istituto siamo vecchie – ho sentito da alcune suore, questo – siamo vecchie e non ci sono le vocazioni, ma abbiamo dei beni, per assicurarci la fine”. E questa è la strada più adatta per portarci alla morte. (…) Il problema non è tanto nella castità o nell’obbedienza, no. È nella povertà. Aggiunse poi “Ma Dio è tanto buono, è tanto buono, perché quando un istituto di vita consacrata incomincia a incassare e incassare, il Signore è tanto buono che gli invia un economo o un’economa cattivo/a che fa crollare tutto, e questa è una grazia!”.
Abbiamo molti immobili che rischiano di diventare dei falsi fini, delle zattere che si trasformano in zavorre. Non di rado sorge la domanda: come facciamo a mantenere tutti gli immobili di nostra proprietà? La questione dalla quale partire però è un’altra: come si incarna oggi il nostro carisma? Cosa chiede Dio oggi al nostro istituto? Rispondendo a queste domande si arriverà a “ordinare” l’uso degli immobili in relazione al piano carismatico, a capire se gli immobili sono dei mezzi da tenere per raggiungere i fini dell’istituto oppure sono pesi di cui liberarsi con un opportuno discernimento magari donandoli a qualcuno che possa continuare la missione iniziata. Gli Orientamenti economici a servizio del carisma e della missione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica al paragrafo 23 ricordano che “le opere possono cambiare mentre la missione resta fedele all’intuizione carismatica iniziale, incarnandosi nell’oggi”.
Da secoli esistono fondazioni che grazie al patrimonio immobiliare sostengono attività caritative. Oggi queste proprietà sono esposte a maggiori rischi che nel passato e richiedono una gestione non solo trasparente e rispettosa delle leggi canoniche e civili ma anche significative e coerenti con il Vangelo. Qualche anno fa ad un campo biblico a Selva di Val Gardena il biblista Stefano Bittasi s.j. ricordava che “il Vangelo non è efficace solo dentro i nostri cuori, ma lo è anche nel resto della vita concreta”, ad esempio nell’economia. Al riguardo si leggano i capitoli dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco dedicati alla tentazione dello gnosticismo § 36-46 che prova ad allontanare la vita concreta e materiale dalla storia della Salvezza.
Tornano in mente le deliberazioni di s. Ignazio sulla povertà nelle quali il santo prevede la povertà più rigida per i membri della Compagnia di Gesù. Situazione diversa per le case che divide in due categorie: le case di formazione spirituale e culturale e le case ove i religiosi svolgono l’apostolato. “Le case del primo gruppo non solo possono, ma per quanto possibile devono avere rendite fisse, ed amministrarsi economicamente sulla base di stabili fondazioni.” (Armando Guidetti s.j. (2007) Deliberazione sulla povertà in sant’Ignazio di Loyola Gli scritti, edizioni ADP, Roma). Mentre per le seconde non si ammetteranno rendite stabili neppure per le sacrestie. Ci conforta sapere che le scelte sulla povertà sono “costate” a sant’Ignazio talmente tanto impegno che sono le uniche di cui parla nell’autobiografia. La cosa suggerisce che il tema necessita di un serio discernimento e che necessita di tempo, competenze e azione.
Sappiamo bene che negli ultimi decenni anche nei conventi il costo della vita è aumentato: servizi per i religiosi anziani, personale laico in ausilio, e così via. E oltre che dalle pensioni dei religiosi in alcuni casi qualche entrata può essere garantita solo dagli affitti. E fin qui il diritto canonico, da confrontare con il diritto proprio di ogni Istituto, garantisce la possibilità della messa a reddito dei beni immobili per il sostentamento dei ministri e il sostegno delle attività dell’Istituto, ma questo non basta. È opportuno che i mezzi siano coerenti con i fini tema già trattato in precedenti articoli.
La condivisione
come via da percorrere
Le parole di Papa Francesco ai partecipanti al secondo simposio sul tema “nella fedeltà al carisma ripensare l’economia degli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica” del novembre 2016 offrono delle nuove strade da percorrere: “Può darsi che il discernimento suggerisca di ripensare un’opera, che forse è diventata troppo grande e complessa, ma possiamo allora trovare forme di collaborazione con altri istituti o forse trasformare l’opera stessa in modo che questa continui, seppure con altre modalità, come opera della Chiesa. Anche per questo è importante la comunicazione e la collaborazione all’interno degli istituti, con gli altri istituti e con la Chiesa locale”. Una sfida di oggi è quella di continuare ad usare gli immobili come mezzi per la propria missione carismatica collaborando con altri enti come indicato dal Papa.
L’opportunità
di sostegni
Grazie ai dati riportati dall’annuario USMI del 1959 e ai successivi Annuarium Statisticum Ecclesiae abbiamo studiato l’andamento del numero delle religiose in Italia (fig. 1) da cui risulta evidente come nei primi anni del ‘900 la vita religiosa femminile in Italia abbia avuto un incremento rapido. Le religiose sono aumentate del 541% in 76 anni, con un forte incremento tra il 1921 e il 1957 dove sono passate da 71.679 a 152.312, con una crescita superiore al doppio del loro numero in soli 36 anni. La decrescita inizia con l’ingresso negli anni ’60, anni ricchi di fermento e cambiamento sociale. Ne consegue che dalla fine del 1800 gli istituti religiosi in Italia hanno provveduto ad ampliare i conventi esistenti, acquistare immobili oppure erigerne di nuovi per permettere ai nuovi ingressi di essere accolti nelle case religiose. Tale informazione suggerisce un forte incremento dei conventi femminili in Italia tra il 1920 e il 1960 che ipotizziamo essere proseguito anche negli anni immediatamente successivi all’inizio della decrescita, momento in cui il fenomeno non era immediatamente comprensibile.
Il grafico conferma una realtà già nota a tutti gli economi: una parte delle proprietà degli istituti religiosi risale al periodo del dopo guerra ed ha spesso una qualità architettonica e tecnica discutibile che rende onerosa la gestione e difficile il riuso.
L’esperienza di docente di gestione del patrimonio immobiliare ecclesiastico evidenzia che questi problemi comuni alla maggior parte degli istituti religiosi non sono condivisi. Ogni istituto va avanti con le proprie risorse, sia chi riesce a gestire con capacità il fenomeno sia chi invece può incorrere in avvoltoi, capaci o meno, attirati da una nicchia di mercato molto ghiotta perché sempre solvente. Oggi non ci sono luoghi di condivisione di buone pratiche della gestione del patrimonio immobiliare dei religiosi soprattutto in relazione al riuso e valorizzazione di quei beni ormai privi di contenuto.
I corsi di formazione auspicati dagli Orientamenti stentano a partire o ripetono format dedicati esclusivamente alla tutela dei beni culturali, tema rilevante ma che non include insegnamenti di gestione del patrimonio immobiliare e trascura i tanti immobili costruiti negli anni ‘60. Questa carenza lascia spazio libero al mercato immobiliare che in Italia si svolge quasi esclusivamente su un unico binario: la massimizzazione del profitto. Come cristiani non possiamo pensare che il “come” questi beni vengano gestiti possa essere indifferente. È opportuno invece che i nuovi strumenti gestionali propri dell’asset management siano coniugati con le finalità immateriali proprie della testimonianza cristiana.
E allora che fare?
La risposta ci è suggerita da organismi come il Centrum voor Religieuze Kunst en Cultuur CRKC delle Fiandre, la Fondazione des Monastères e la Fondazione Summa Humanitate.
Il Dr. Jonas Danckers del CRKC così risponde alla nostra domanda posta in occasione dell’European academy of religion lo scorso 5 marzo a Bologna: in Italia il patrimonio immobiliare ecclesiastico eccede le dirette necessità degli enti ecclesiastici proprietari. Si parla di valorizzazione immobiliare di tali beni ma si ritiene che non si possa applicare indistintamente il concetto di valorizzazione immobiliare come usualmente impiegato nel mercato immobiliare che ricerca la massima redditività.
“Esiste una differenza tra il real estate tradizionale e il social real estate management. Non possiamo trascurare la conoscenza dei processi e delle attività della valorizzazione immobiliare ordinaria che può comunque offrire degli strumenti efficaci per raggiungere gli obiettivi propri della Chiesa. Il patrimonio immobiliare ecclesiastico comprende beni che spesso hanno un valore culturale alto, interessante per gli investitori del settore del lusso e pertanto ci dovranno essere chiari gli obiettivi da raggiungere con il riuso di un monastero.
Dobbiamo considerare che gli immobili ecclesiastici non hanno solo un particolare valore sociale ma anche un valore spirituale. Per arrivare alla loro opportuna valorizzazione dobbiamo domandarci quali sono le motivazioni che hanno portato alla loro costruzione e cercare di continuare a supportare tali indicazioni aggiornandole in relazione ai bisogni contemporanei.
(…) Credo che il punto di partenza potrebbe essere un censimento dei beni immobili ecclesiastici ancora assente in Italia. L’Italia è avvantaggiata rispetto alle Fiandre. Se l’andamento di chiusura dei conventi si manterrà costante, nelle Fiandre tutti i conventi chiuderanno nel 2030 mentre in Italia ciò accadrebbe 20 anni più tardi. Un tempo prezioso in cui è possibile mettere in atto delle strategie per governare il fenomeno. C’è bisogno di tempo per organizzare valorizzazioni sociali a lungo termine. Per provvedere ad una corretta gestione immobiliare è necessario avere una visione d’insieme del proprio portafoglio immobiliare. Si dovranno operare scelte gestionali all’interno di un quadro complessivo e non solo pensando al singolo immobile. È necessario interrelare i vari dati contribuendo ad una gestione integrata e programmata. Si dovrà poi provvedere alla manutenzione dei beni immobili altrimenti il patrimonio si deteriorerà diminuendo gravemente il suo valore”.
Nasce quindi un appello: i singoli istituti spesso non hanno strumenti per comprendere e gestire adeguatamente il fenomeno del sovradimensionamento degli immobili ecclesiastici, diventa opportuno istituire luoghi dove acquisire la conoscenza di buone pratiche e elaborare politiche di indirizzo a sostegno dei singoli istituti e nel rispetto della loro autonomia ed anche implementare la formazione con corsi dedicati alla gestione immobiliare con finalità immateriali. Molto è stato fatto in questi ultimi anni ma c’è ancora molto da fare e non c’è tempo da perdere. Cosa ne pensano di questo USMI, CISM, USG, UISG, la Congregazione dei religiosi e le università pontificie?
Francesca Giani