Quando la bellezza conduce ...
2019/10, p. 25
La “spiritualità di una chiesa”– come San Benedetto in
Catania – gioiello di arte e misticismo, può diventare via
privilegiata di catechesi, raffigurazione di un mistero
d’amore e di santità che si compie nella vita dei cristiani.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Dalla chiesa edificio alla Chiesa comunità
QUANDO LA BELLEZZA
CONDUCE…
La “spiritualità di una chiesa”– come San Benedetto in Catania – gioiello di arte e misticismo, può diventare via privilegiata di catechesi, raffigurazione di un mistero d’amore e di santità che si compie nella vita dei cristiani.
Oggi viviamo in quella che unanimemente è considerata l’era dell’immagine: simboli e concetti standardizzati sono sempre più usati sia a livello linguistico che visivo; la comunicazione, in tutte le sue forme, ha valore ed efficacia quanto più riesce a fare presa, in modo immediato e chiaro, su chi guarda o ascolta. Tutto è velocizzato, schematizzato, quasi frantumato in una esemplificazione che rende accessibile a chiunque – o almeno dovrebbe essere così – la ricezione o la produzione di informazioni.
L’intensificarsi dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione ha favorito una certa “globalizzazione” dei rapporti comunicativi potenziando l’innato bisogno dell’uomo di comunicare, di confrontarsi, di conoscere. Eppure l’individuo sembra, oggi più che mai, disorientato e incerto: se da un lato la tecnologia offre innovativi e rapidi strumenti per favorire la comunicazione, dall’altro sempre più frequentemente si assiste ad una spersonalizzazione della capacità critica e alla banalizzazione di certi sentimenti, spesso messi sulla piazza senza eccessivo riserbo, incoraggiati da uno stile di vita che ultimamente sembra eludere forme di interiorizzazione e approfondimento.
E pur tuttavia, sebbene immersi in questa era dell’immagine, oggi è quanto mai urgente cercare delle mediazioni che rispondano, in pieno, al desiderio di varcare le soglie dell’esteriorità e dell’effimero per raggiungere il cuore di ciò di cui l’immagine stessa è veicolo e custode. È vero che «un tempo, quando la società non era ancora la società delle immagini, le decorazioni venivano meglio recepite e la gente era più attenta ai simboli e ai segnali esterni». Ma l’arte c’è proprio per questo e continua ancora ad offrici spunti di riflessione, oltre che di godimento estetico.
Il contributo dell’arte
nel cristianesimo
La spiritualità cristiana, da duemila anni, offre all’uomo la proposta vincente di un sapere che coinvolge ogni esistenza imprimendo ad essa il carattere della sacralità che, per nulla disincarnato dalla ferialità della vita, orienta e potenzia il cammino della storia e di ogni singolo individuo. Nonostante gli anacronistici tentativi di estromettere il contributo apportato dal cristianesimo all’arte e alla cultura in generale, l’intramontabile messaggio del Vangelo è tuttora capace di stare al passo con i tempi senza lasciarsi necessariamente piegare a manipolazioni o strumentalizzazioni. Esso è prima di tutto fedeltà alla propria specifica e sublime identità e, allo stesso tempo, apertura e accoglienza del progresso, delle innovazioni, delle nuove acquisizioni culturali e tecnologiche purché queste siano a servizio della vera promozione umana e del potenziamento della sfera spirituale.
Ecco che, per esempio, ricercare e rileggere anche in quest’ottica la vasta simbologia teologico-sacramentale di cui ci fanno ampio dono chiese come la nostra di “San Benedetto” in Catania – gioiello di arte e misticismo incastonato nel cuore barocco della città – è un impegno e una sfida anche per l’arte moderna. Potrebbe essere bello “navigare” in questa ampia “rete” di intrecci e simboli, prefigurazioni e raffronti, per gustare ancor più la bellezza di una varietà di immagini pregnanti per la loro immediata e sfaccettata risorsa comunicativa. Come affermano i nostri confratelli, «la simbolica – si sa – è la via maestra per andare a Dio dal momento che assume tutta la realtà umana e la conduce sul terreno dello spirituale, colpisce i sensi della persona e la riporta al Signore».
Crediamo che oggi più che mai il cristianesimo debba porsi come risposta chiara e inequivocabile alle tante sfide – anche quelle valide e costruttive – che la cultura moderna immette in circolazione “in tempo reale”, annunciando ancora, senza paure e compromessi, la buona novella della resurrezione di Cristo e della liberazione interiore di ogni uomo di buona volontà.
Il linguaggio
delle immagini
Ed ecco come la “spiritualità di una chiesa” può diventare via privilegiata di catechesi, raffigurazione di un mistero d’amore e di santità che si compie nella vita dei cristiani. Tutti dobbiamo sentirci sempre più profondamente interpellati ad accostarci alle immagini per cogliere in esse quel significato reale e totalizzante di cui esse sono foriere. E davvero l’arte sacra è chiamata a favorire tutto questo. E se dalla simbologia passano i contenuti, è vero che dalla conoscenza nasce e si sviluppa la dinamica di una maggiore tensione verso Dio. Lo esprimeva bene Sant’Agostino (Discorso 15): «Come la nostra vista corporale si diletta di fronte a edifici materiali che siano costruiti con eleganza e magnificenza, allo stesso modo, quando pietre vive ossia i cuori dei fedeli, sono cementate con il vincolo della carità si ha la bellezza della casa di Dio e il luogo dell’abitazione della sua gloria. Imparate perciò che cosa dovete amare, perché lo possiate amare. Chi ama infatti la bellezza della casa di Dio non c’è dubbio che ama la Chiesa, intesa non come muri e tetti fatti da uomo, non come marmi splendenti o soffitti dorati, ma come uomini fedeli, santi, che amano Dio con tutto il loro cuore, con tutta la loro anima, con tutta la loro mente e il prossimo come se stessi».
Questo è e dovrebbe continuare ad essere la missione dell’arte sacra: accompagnare il credente in un crescente itinerario di ri-appropriazione dei contenuti della propria fede, proponendo modelli validi anche per chi si accosta ad una chiesa, o ad altre opere sacre, sollecitato solo dal gusto artistico o dalla ricerca di emozioni immediate.
L’opera d’arte come “sacramento” della Bellezza, oltre a favorire il clima di raccoglimento e di preghiera, deve aiutare l’anima ad elevarsi a Dio tramite la seduzione estetica, l’equilibrio delle forme, la linearità degli spazi, la funzionalità delle luci, la sincronia dei colori… perché davvero non c’è bellezza che non rimandi al Creatore o, per i non credenti, ad un Artefice supremo.
Papa Benedetto XVI in una discussione a proposito di ragione e bellezza così si esprimeva: «Le bellezze create dalla fede sono semplicemente, direi, la prova vivente della fede. Se guardo questa bella cattedrale essa è un annuncio vivente! Essa stessa ci parla, e partendo dalla bellezza della cattedrale riusciamo ad annunciare visivamente Dio, Cristo e tutti i suoi misteri: qui essi hanno preso forma e ci guardano. Tutte le grandi opere d’arte – le cattedrali gotiche e le splendide chiese barocche – tutte sono un segno luminoso di Dio e quindi una manifestazione, un’epifania di Dio».
E allora il nostro cuore sarà continua accoglienza del Mistero, “trasparenza” di Dio e dell’Eterno.
Diverse sono le motivazioni che spingono numerosi visitatori ad entrare nella nostra chiesa: spesso è la curiosità, il più delle volte l’interesse artistico e in misura minore, ma in modo costante e motivato, il bisogno di raccogliersi in preghiera, avvolti dal silenzio e dalla pace che vi si trovano. A tutti, comunque, viene fatta una consegna: quella presenza di Dio che la bellezza dell’arte, l’armonia delle forme, gli equilibri architettonici e pittorici sembrano esaltare potentemente. Turisti, gruppi ecclesiali, scolaresche, passanti, intenditori d’arte, persone che partecipano alla celebrazione eucaristica o altri momenti liturgici, varcano nuovamente la porta d’ingresso per uscirne portando con sé qualcosa in più rispetto a quando vi erano entrati, non fosse altro che lo stupore e l’ammirazione uniti ad una intima gioia che, spesso, non sanno spiegarsi. A tutti è fatto dono silenzioso di una nostalgia inquieta e pacata allo stesso tempo, più o meno consapevole: il desiderio di essere più belli dentro, nel cuore, radiosi e luminosi come questo tempio che, al di là del pregio monumentale, è una testimonianza eloquente di come l’arte conduce a Dio. Così ci hanno scritto i fedeli della parrocchia “Sant’Antonio Abate” in Belpasso (CT) a seguito di una visita alla nostra chiesa e di un contatto diretto, mediante la partecipazione al canto del vespro, con la nostra comunità: «Volevamo ringraziarvi ancora per la vostra accoglienza e ospitalità, nelle nostre vite caotiche e indaffarate ci siamo sentiti abbracciati, quegli abbracci che ti scaldano il cuore e rasserenano i nostri animi stanchi e affannati. Ciò che siete e fate è essenziale anche per le nostre vite e il nostro cammino spirituale! Ci affidiamo alle vostre preghiere e ci impegniamo “a vivere ogni momento alla presenza di Dio” così come ci ha insegnato la vostra testimonianza».
Noi custodi
di un tesoro d’arte
Non è autocompiacimento il nostro. Siamo soltanto eco di un giudizio unanime che ci giunge da tutti quelli che entrano nella nostra chiesa e che la definiscono non soltanto bella, ma anche raccolta e capace di portare il cuore ed il pensiero nella sfera del Soprannaturale, dell’Assoluto. E allora il nostro è soltanto un umile servizio che rendiamo alla comunità religiosa e civile, quello di essere consapevoli e attente custodi di tanto tesoro d’arte e soprattutto di spiritualità. Anche noi che entriamo tante volte, durante il giorno, in questo magnifico tempio, non ci stanchiamo mai della sua bellezza: è una scoperta sempre nuova, un incanto che non dà assuefazione. Qui l’arte raggiunge veramente lo scopo per cui ha messo in campo tutte le sue risorse, quello cioè di aiutare il credente ad incontrarsi con Dio. La bellezza artistica non distrae, non distoglie dalla preghiera, anzi la prepara, la facilita, la porta a compimento.
Chi entra nella nostra chiesa si pone da subito in un atteggiamento di rispetto nei confronti della nostra identità claustrale e del clima di silenzio. Le visite, infatti, si svolgono con grande compostezza, senza interferire con le celebrazioni liturgiche in chiesa o con quelle che si svolgono nel coro prospiciente la navata. Se capita che in quel momento, dal coro, risuona il nostro canto, ciò diventa occasione di coinvolgimento orante che consegna, a chi lo accoglie come dono di pace, un senso di grande armonia.
L’approccio con il patrimonio artistico diventa veicolo ad un contatto con la spiritualità della comunità che vive e pulsa dentro quelle mura. La lettura artistico-spirituale della nostra chiesa diventa così una efficace presentazione dell’esperienza monastica come ricerca del primato di Dio: priorità data alla preghiera, attenzione a tutto ciò che riguarda l’esperienza umana. Qui rientra anche la valorizzazione culturale dei luoghi e delle opere, così come da secoli è nella tradizione benedettina.
In ogni visita c’è un incontro vivo, diretto o indiretto, con la comunità. E il dono di grazia fatto a noi è un qualcosa che ritorna poi a beneficio di quanti, in un modo o nell’altro, vengono a contatto con la nostra peculiarità di Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento. La nostra chiesa, anche se molto ricca architettonicamente, riesce tuttavia a far passare i valori che ci sono propri: essenzialità, impegno nel far bene le cose per la gloria di Dio – per cui anche l’arte diventa una sorta di liturgia in quanto canale privilegiato che porta il cuore e la mente alla contemplazione - attenzione e cura per le piccole cose.
A noi monache di oggi è stata consegnata questa grande eredità che le nostre consorelle e gli artisti dei secoli passati hanno eretto a gloria di Dio, per il bene dei fedeli e per il decoro della nostra amata città di Catania. A noi il dovere di continuare a riempirla della nostra povera, ma fervorosa preghiera, perché chi entra si senta ancora avvolto da quel clima di suggestiva pietà alimentato quotidianamente, per secoli, da tante monache anonime che, elevando le mani al Cielo, hanno presentato e continuano a presentare a Dio tutti i fratelli e sorelle del mondo, le loro necessità, le aspirazioni, il cammino faticoso e affascinante della vita.
Nell’offrire questa riflessione, incastonata tra le volute architettoniche e gli splendori degli affreschi, abbiamo davanti il meraviglioso spettacolo di luce e bellezza che emana dalla nostra chiesa. Nel descriverlo ci è impossibile assumere un tono distaccato, poiché sentiamo vibrare dentro di noi la commozione e l’emozione di chi abita questo tempio come la propria casa; essa è talmente parte di noi e noi di essa da farci sperimentare, ogni giorno di più, un sentimento inesprimibile: noi abitiamo in questa casa e questa casa abita in noi.
Si tratta di una giornaliera presenza affettiva oltre che effettiva nel posto, estatica oltre che estetica, perché è sempre dall’atteggiamento dell’ascolto contemplante che nasce in noi questa apertura alla rivelazione del Bello che ci parla attraverso la irresistibile e intramontabile creatività dell’arte.
Quando l’esercizio degli occhi si accompagna all’accoglienza interiore, ecco che un monumento inizia a parlarci. Ad ogni pietra, ad ogni dipinto, ad ogni decorazione chiediamo: Cosa volete dirci?
«Archi, capitelli, colonne,
voi non siete che forme dello Spirito,
la sintesi; Egli si è fatto in noi
di carne, noi ci siamo fatti in voi
di pietra, per essere tutti insieme l’Unità.
E come ogni mattone ha bevuto una goccia
del suo sangue, così ognuno canti ora
la nota della sua misurata libertà.
Perché voi siete, tutti insieme, l’Armonia.
E quando forse gli uomini non parleranno
più di Lui, continuate a parlare
voi, o pietre».
Eccoci giunti alla fine di questo sintetico viaggio all’interno della chiesa di San Benedetto, monumento quanto mai eloquente del meraviglioso squarcio di bellezza artistica, urbanistica e culturale che è la catanese Via Crociferi e dintorni, da diversi anni ormai patrimonio dell’UNESCO.
E Dio, bellezza suprema e intramontabile, continui ad accompagnarci, con la sua benedizione.
suor Maria Cecilia La Mela, osbap