Vangelo vocazione e destino
2019/10, p. 8
40 dehoniani hanno partecipato alla settimana di
formazione «Vocazione e destino dell’Europa». Si è svolta
ad Albino (Bergamo) dal 25 al 30 agosto 2019. Papi,
vescovi e religiosi di fronte all’Unione Europea.
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Testimoni
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Religiosi ed Europa
VANGELO
VOCAZIONE E DESTINO
40 dehoniani hanno partecipato alla settimana di formazione «Vocazione e destino dell’Europa». Si è svolta ad Albino (Bergamo) dal 25 al 30 agosto 2019. Papi, vescovi e religiosi di fronte all’Unione Europea.
Per parlare di «Vocazione e destino dell’Europa» sono risuonati due riferimenti inconsueti: il testo di Novalis Cristianità o Europa (1826) e una lettera di san Colombano a papa Gregorio Magno nel 600. Richiami lontani eppure utili alla riflessione che i padri dehoniani hanno dedicato al tema europeo, a pochi mesi dalle elezioni per il parlamento dell’Unione del 26 maggio scorso (Albino/Bergamo, 26-30 agosto).1 Colombano, ancora prima di san Benedetto, richiama nella lettera citata la crisi di un continente con una propria identità, seppur ferita («totius Europae flaccentis»). Novalis diventa col suo saggio – dove l’o del titolo non è avversativo, ma esplicativo – il punto di riconoscimento del tradizionalismo e dell’intransigentismo cattolico. Visione spirituale e politica costituiscono le premesse della narrazione cristiana del recente processo di unificazione del continente, partito all’indomani della seconda guerra mondiale.
Sostenuti dalla dimensione storica della fede propria del carisma e dal guadagno conciliare del dialogo con la modernità, i 40 confratelli hanno attraversato le cinque relazioni, i dibattiti e le testimonianze video alla ricerca dei nuovi compiti della fede cristiana nel continente. Lasciando a parte la dimensione politica, istituzionale, confessionale e sociale, queste note si concentrano sul ruolo dei papi nei decenni di formazione delle istituzioni europee (Daniele Menozzi), sul confronto in merito dei vescovi (mons. Celestino Migliore e mons. Gianni Ambrosio) e sulle ipotesi di lavoro per la testimonianza futura dei religiosi e dei dehoniani in particolare (p. Carlos Suarez Codorniù, superiore generale dei dehoniani).
I papi
e le radici
I papi che dagli anni ’50 del ‘900 hanno accompagnato il progressivo crescere delle istituzioni europee, hanno concordemente sostenuto e talora anticipato lo sforzo delle forze politiche e sociali del continente. Ma con tonalità e approcci assai diversi. Pio XII spinge con decisione verso l’unificazione per evitare altre guerre, ispirandosi a una cristianità sacra e lasciando aperto un secondo possibile esito, quello autoritario allora praticato in Portogallo e Spagna. Giovanni XXIII innova radicalmente il rapporto con la modernità, guarda alla storia con fiducia, invita i politici credenti all’autonomia e chiede a tutti l’apertura al dialogo. Con Paolo VI, sulla scorta del Vaticano II, si passa da una cristianità sacra a una cristianità profana, si proclama san Benedetto patrono d’Europa, si aprono canali diplomatici non solo con le istituzioni europee, ma anche con tutto l’Est Europa (processo di Helsinki). Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI l’Europa diventa centrale anche per il futuro della Chiesa. Cade il muro di Berlino e l’Europa si allarga all’Est. Ma qualcosa si rompe nella sintonia quando nelle istituzioni europee prevale la dimensione economica e amministrativa sulla visione dei padri fondatori, quando l’approccio laicista ignora il richiamo alle radici cristiane, quando le istituzioni si sottraggono al sostegno verso i «valori non negoziabili».
Una sterzata intransigente che papa Francesco eredita con la disinvolta leggerezza di chi viene «dall’altra parte del mondo». Da un atteggiamento critico, si passa ad un’attenzione simpatetica espressa nei cinque discorsi dedicati all’Europa. Grande libertà critica, ma in un pieno rasserenamento dei rapporti con le istituzioni europee. Francesco avverte chiaramente la crisi interna dell’Europa (assolutizzazione della tecnica e dell’economia) e quella esterna (immigrazioni). Tramonta l’idea novalisiana, il rapporto con le istituzioni è all’insegna del dialogo continuo, anche se permane una ferita in Europa rispetto alla visione dell’uomo, da affrontare non con la denuncia ma la misericordia. Nel frattempo si espandono nel continente le spinte centrifughe: dalla scelta del Regno Unito di uscire dall’UE (23 giugno 2016) alla formalizzazione di un polo di paesi dell’Europa centrale in senso anti-Bruxelles (Visegrad), alla crescita significativa di spinte sovraniste e populiste anche nei paesi fondatori come Francia, Italia e Germania.
I vescovi
e il continente
Praticamente tutti gli episcopati europei (dentro e oltre l’Unione) hanno seguito il formarsi del sentire europeo in questi decenni, talora coinvolgendo le altre chiese cristiane. Due sono le istituzioni ecclesiali finalizzate espressamente all’Europa: il CCEE (Consiglio delle conferenze episcopali europee) e la Comece (Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea). Ne hanno parlato sia mons. Ambrosio, vescovo di Piacenza e ex-vicepresidente della Comece (2012-2014), che il nunzio a Mosca, mons. Celestino Migliore. Il CCEE nasce informalmente nel 1971 come primo luogo di confronto fra i vescovi. Il suo rilievo cresce rapidamente in parallelo all’azione europea della diplomazia vaticana. Personaggi come i card. Roger Etchegaray, Basil Hume e Carlo M. Martini lo impongono all’attenzione ecclesiale sia rafforzando il cammino ecumenico (da Basilea a Sibiu) sia affrontando temi pastorali di frontiera con grande apertura (dai giovani alla secolarizzazione, al nascere e morire). La sua autorevolezza è formalmente cresciuta con gli statuti del 1995 che introducono i presidenti delle conferenze episcopali, ma si è appannata la spinta inventiva e di ricerca anche quando affronta temi importanti come il terrorismo e la libertà religiosa (2017). Oggi è composto da 39 membri in rappresentanza di 45 paesi del continente.
La Comece si avvia nel 1980 ed è composta da vescovi delegati dalle Conferenze episcopali dei 28 membri dell’Unione. Il suo compito è riassumibile in cinque verbi: accompagnare le iniziative dell’Unione, comunicare alle istituzioni europee il parere degli episcopati, dialogare con le forze politiche continentali, informare i vescovi e le comunità cristiane, assistere le conferenze episcopali nei rapporti con l’Unione. L’attenzione sistematica ai lavori di Bruxelles trasmette alla Comece una singolare consapevolezza dei compiti, limiti e contraddizioni delle istituzioni europee, ma anche della loro rilevanza e centralità per il futuro.
Avventura
incompiuta
C’è un deficit di memoria nei popoli europei delle tragedie del ‘900 e una scarsa consapevolezza dell’incomparabile patrimonio culturale e spirituale che da Atene, Roma e Gerusalemme giunge alle cattedrali e università medievali, attraversa la fiducia umanistica fino al «sápere aude» dell’Illuminismo. Un’avventura millenaria e inconclusa che si scontra sempre con la sua negazione, alimentata dalle diverse crisi e, ultimamente, dalla crisi economica dopo il 2008. Torna l’affermazione che l’Europa sia più un’ idea che non un continente, un’unione di egoismi e non di scopi, un grande equivoco che copre gli interessi del polo franco-tedesco e l’egocentrismo dei 50.000 funzionari dell’Unione. Eppure, ha detto mons. Ambrosio, «lo spirito europeo è presente e vivo più di quanto si creda». Se è vero che la dimensione economico-burocratica ha oscurato lo slancio di visione politica dei padri fondatori, che gli interessi nazionali non hanno alimentato un racconto europeo all’altezza del presente e che il disegno puramente economico e giuridico non ha retto all’affievolirsi dei riferimenti valoriali, è altrettanto vero che le sfide del futuro chiedono più Europa e non meno. «L’Europa era flaccentis (fiacca) al tempo di Colombano, come lo è oggi: dobbiamo avere oggi lo stesso loro coraggio. Come ci ricorda papa Francesco, noi cristiani che viviamo in questo continente siamo chiamati a ricuperare la memoria per aiutare la nostra Europa a diventare una comunità che vince la paura e guarda con speranza al futuro».
Sovranismo?
Sulla dimensione critica verso la deriva laicista e tecnocratica dell’Unione e sulla pertinenza contenuta nei termini spregiativi di populismo e sovranismo ha insistito mons. Migliore. Un atteggiamento critico che riemerge nelle posizioni attuali. «Nei paesi dell’Europa centro-orientale il sovranismo si alimenta nella reazione al volontarismo (laicista) della democrazia liberale, pluralista, multiculturale, attuata con assolutezza dall’Occidente, nella fattispecie dall’Unione Europea. Pur tra le sue varie innegabili derive, nel sovranismo del centro-Est Europa si coglie la giusta aspirazione ad una democrazia libera dalle costruzioni del modello unico occidentale per potersi declinare in modo originale nei diversi contesti». Le visioni creative dei padri fondatori hanno ceduto lo spazio al volontarismo laicista della burocrazia generando una resistenza «basata su un diritto e a una cultura che spesso sacrifica i valori del tempo, della tradizione, delle identità culturali e religiose all’idea del progresso, del mercato e di una democrazia procedurale».
Il timore del sovranismo centro-europeo sarebbe quello di un nuovo livellamento culturale, simile ai passati regimi. Si vuole invece «potersi sentire un membro a pari dignità nel club europeo, senza doversi adeguare a nuove egemonie». È indicativo che nel 2013 venne firmata a Varsavia una dichiarazione comune dei vescovi e del patriarca Cirillo di Mosca per la difesa dei valori tradizionali. Un consenso tra episcopati e patriarcato avvertito da quest’ultimo non soltanto come momento ecumenico, ma propriamente come alleanza strategica per contrastare la deriva dei valori tradizionali in Europa.
Vecchiaia
feconda
Il compito dei credenti verso l’Europa viene così indicato da Francesco nel discorso del 28 ottobre 2017: «L’autore della Lettera a Diogneto afferma che “come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani”. In questo tempo essi sono chiamati a ridare anima all’Europa a ridestarne la coscienza, non per occupare degli spazi – questo sarebbe proselitismo –, ma per animare processi che generino nuovi dinamismi nella società». La missione dei religiosi in Europa non può che partire da qui e dal Vangelo, come ha ricordato il superiore generale dei dehoniani p. Carlos Luis Suarez Codorniù. Rifarsi all’approccio di Gesù verso gli uomini dell’impero, alla duplice modalità di Paolo (il discorso dell’Areopago di Atene e l’ospitalità in casa di Lidia a Efeso), al coraggio di rischiare di Benedetto, Cirillo, Metodio, Caterina, Brigida, Teresa Benedetta della Croce: sono indicazioni sempre valide. Anche per chi, come i dehoniani in Europa, è segnato dalla vecchiaia con le sue fragilità e la sua evidenza di fedeltà. «C’è una vecchiaia che apre alla speranza e una che si chiude nella tristezza. Le conosciamo entrambe».
Un primo servizio è quello della contemplazione. È evidente il valore dell’adorazione eucaristica che è anche atto di protesta contro l’idolo. Un secondo è l’apertura alle generazioni europee giovani. Un terzo compito è pensare assieme, nel nostro continente, il futuro comune, il nostro modo di essere dehoniani in Europa. Superando la risorgente tentazione del nazionalismo e delle chiusure etniche. Non è buona l’idea di importare vocazioni da altri continenti per sostenere le opere che si svuotano. È invece bello lasciarsi aiutare, lasciarsi accompagnare da altri. Non “comprare” confratelli, ma scoprire compagni di viaggio».
In uno dei testi di preparazione alla «settimana» si dice: «Nelle pieghe dell’esperienza spirituale di padre Dehon possiamo trovare tre disposizioni fondamentali intorno alle quali egli articola l’immaginario della Congregazione: la capacità di prendere congedo; un’avventurosa disponibilità verso l’ignoto che avanza; l’anacronismo di custodire l’inattuale». Prendere congedo vuol dire essere in grado di salutare con riconoscenza e senza nostalgia ciò che ormai è passato. Intraprendere percorsi inediti significa spostarsi là dove si riposiziona la sfida culturale e sociale per la fede cristiana nel vissuto dei nostri contemporanei. Custodire l’anacronismo vuol dire salvaguardare l’inattuale come la devozione o l’adorazione come elemento ancora capace di fecondità.
Lorenzo Prezzi
1La settimana di formazione permanente prevedeva questi appuntamenti: D. Menozzi (storico emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa), I papi e l’Europa; mons. Celestino Migliore, nunzio apostolico nella Federazione Russa), All’Est dell’Europa; mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, Lo sguardo dei vescovi sull’Unione Europea; dott.ssa Elena Consolini (attività di internazionalizzazione, Università di Bologna), L’università, l’Europa e oltre; p. Carlo Luis Suarez Codorniù Il compito dei religiosi in Europa; video «Campane d’Europa» (C. Casas, 2012); «Vedete, sono uno di voi» (docufilm di E.Olmi su C. M. Martini, 2017). Fra i materiali di preparazione pubblicati su Settimananews.it: M. Bernardoni – M. Neri, «Spiritualità dehoniana e contemporaneo europeo»; C. Theobald, «Il futuro del cristianesimo in Europa»; L. Prezzi – M. Neri, «L’Europa delle religioni». H. Wilmer, «La vita consacrata nell’Europa che viene», Testimoni 9/2019, p. 7.