Mastrofini Fabrizio
Una cultura dell'incontro
2019/10, p. 1
Mozambico, Madagascar, Mauritius sono state le tappe del viaggio in Africa di Papa Francesco, dal 4 al 10 settembre 2019. La sua insistenza sulla giustizia sociale, il rispetto dei popoli e gli effetti della globalizzazione.

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Viaggio di Papa Francesco in Africa
UNA CULTURA
DELL’INCONTRO
Mozambico, Madagascar, Mauritius sono state le tappe del viaggio in Africa di Papa Francesco, dal 4 al 10 settembre 2019. La sua insistenza sulla giustizia sociale, il rispetto dei popoli e gli effetti della globalizzazione.
Rispetto dei popoli per cacciare le colonizzazioni. In Mozambico Papa Francesco ha portato un messaggio di pace, «inculturato» nella specificità locale, dopo una lacerante guerra civile i cui strascichi non sono del tutto spenti. In Madagascar apprezza la bellezza di luoghi minacciati dalla corruzione e dall’inquinamento ambientale. La tappa africana del viaggio apostolico evidenzia lo sforzo della Santa Sede di portare un annuncio strettamente aderente alle problematiche dei paesi visitati.
Mozambico
il futuro è valori condivisi
«Favorire la cultura dell’incontro», ha chiesto il Papa in Mozambico incontrando la presidenza della repubblica, le autorità, il corpo diplomatico. «La pace ci invita anche a curare la nostra casa comune. Da questo punto di vista, il Mozambico è una nazione benedetta, e voi in modo speciale siete invitati a prendervi cura di questa benedizione. La difesa della terra è anche la difesa della vita, che richiede speciale attenzione quando si constata una tendenza a saccheggiare e depredare, spinta da una bramosia di accumulare che, in genere, non è neppure coltivata da persone che abitano queste terre, né viene motivata dal bene comune del vostro popolo. Una cultura di pace implica uno sviluppo produttivo, sostenibile e inclusivo, in cui ogni mozambicano possa sentire che questo Paese è suo, e in cui possa stabilire rapporti di fraternità ed equità con il proprio vicino e con tutto ciò che lo circonda».
Ai giovani Papa Francesco ha affidato il compito di seminare speranza e si è sforzato di inculturarlo raccontando esempi di giovani mozambicani riusciti ad emergere nonostante le difficoltà: il calciatore Eusebio da Silva e l’olimpionica Maria Mutola.
Alla Chiesa locale è arrivato il segnale forte di un impegno radicato nel Vangelo: siate «Chiesa della Visitazione», ispirati alla dinamica dell’incarnazione dell’episodio evangelico di Maria in visita ad Elisabetta. «La Chiesa del Mozambico è invitata a essere la Chiesa della Visitazione; non può far parte del problema delle competenze, del disprezzo e delle divisioni degli uni contro gli altri, ma porta di soluzione, spazio in cui siano possibili il rispetto, l’interscambio e il dialogo. La domanda posta su come comportarci rispetto a un matrimonio interreligioso ci sfida riguardo a questa persistente tendenza che abbiamo alla frammentazione, a separare piuttosto che unire. E lo stesso succede per il rapporto tra nazionalità, tra etnie, tra quelli del nord e quelli del sud, tra comunità, sacerdoti e vescovi». È una sfida perché, finché non si sviluppa «una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia», si richiede «un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento, è un lavoro arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo». (…) Come Maria è andata fino alla casa di Elisabetta, così anche noi nella Chiesa dobbiamo imparare la strada da seguire in mezzo a nuove problematiche, cercando di non restare paralizzati da una logica che contrappone, divide, condanna. Mettetevi in cammino e cercate una risposta a queste sfide chiedendo la sicura assistenza dello Spirito Santo. È Lui il Maestro, in grado di mostrare le nuove strade da percorrere».
Ai fedeli, nella Messa prima di partire – venerdì 6 settembre – la richiesta di una riconciliazione collegata fortemente al quotidiano. «Superare i tempi di divisione e violenza implica non solo un atto di riconciliazione o la pace intesa come assenza di conflitto, implica l’impegno quotidiano di ognuno di noi ad avere uno sguardo attento e attivo che ci porta a trattare gli altri con quella misericordia e bontà con cui vogliamo essere trattati; misericordia e bontà soprattutto verso coloro che, per la loro condizione, vengono facilmente respinti ed esclusi. Si tratta di un atteggiamento non da deboli, ma da forti, un atteggiamento da uomini e donne che scoprono che non è necessario maltrattare, denigrare o schiacciare per sentirsi importanti; anzi, al contrario». Ma soprattutto il messaggio di vigilare per non disperdere la ricchezza naturale che è patrimonio di tutti. «Il Mozambico possiede un territorio pieno di ricchezze naturali e culturali, ma paradossalmente con un’enorme quantità di popolazione al di sotto del livello di povertà. E a volte sembra che coloro che si avvicinano con il presunto desiderio di aiutare, abbiano altri interessi. Ed è triste quando ciò accade tra fratelli della stessa terra, che si lasciano corrompere; è molto pericoloso accettare che la corruzione sia il prezzo che dobbiamo pagare per gli aiuti esterni».
La tappa
in Madagascar
I temi economici e politici sono risuonati in Madagascar, seconda tappa. «La vostra bella isola del Madagascar è ricca di biodiversità vegetale e animale, e questa ricchezza è particolarmente minacciata dalla deforestazione eccessiva a vantaggio di pochi; il suo degrado compromette il futuro del Paese e della nostra casa comune. Come sapete, le foreste rimaste sono minacciate dagli incendi, dal bracconaggio, dal taglio incontrollato di legname prezioso. La biodiversità vegetale e animale è a rischio a causa del contrabbando e delle esportazioni illegali. È vero che, per le popolazioni interessate, molte di queste attività che danneggiano l’ambiente sono quelle che assicurano per il momento la loro sopravvivenza. È dunque importante creare occupazioni e attività generatrici di reddito che siano rispettose dell’ambiente e aiutino le persone ad uscire dalla povertà. In altri termini, non può esserci un vero approccio ecologico né una concreta azione di tutela dell’ambiente senza una giustizia sociale che garantisca il diritto alla destinazione comune dei beni della terra alle generazioni attuali, ma anche a quelle future». La globalizzazione economica, ha insistito il Papa, «non dovrebbe portare ad una omogeneizzazione culturale. Se prendiamo parte a un processo in cui rispettiamo le priorità e gli stili di vita originari e in cui le aspettative dei cittadini sono onorate, faremo in modo che l’aiuto fornito dalla comunità internazionale non sia l’unica garanzia dello sviluppo del Paese; sarà il popolo stesso che progressivamente si farà carico di sé, diventando l’artefice del proprio destino».
Il Vangelo
della solidarietà
Ai vescovi e ai sacerdoti ha chiesto vicinanza alla gente, abbandonare ogni atteggiamento di rigidità: «Oggi è alla moda, non so qui, ma in altre parti è alla moda, trovare persone rigide. Sacerdoti giovani, rigidi, che vogliono salvare con la rigidità, forse, non so, ma prendono un atteggiamento di rigidità e alle volte – scusatemi – da museo. Hanno paura di tutto, sono rigidi. State attenti, e sappiate che sotto ogni rigidità ci sono dei gravi problemi».
E domenica 8 settembre, nella messa davanti ad una folla di fedeli valutata un milione di persone, Papa Francesco ha ribadito il Vangelo della solidarietà e della vicinanza. «Guardiamoci intorno: quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi ​​di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio. Quanto è urgente questo invito di Gesù a morire alle nostre chiusure, ai nostri orgogliosi individualismi per lasciare che lo spirito di fraternità – che promana dal costato aperto di Cristo, da dove nasciamo come famiglia di Dio – trionfi, e ciascuno possa sentirsi amato, perché compreso, accettato e apprezzato nella sua dignità. «Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui». Sempre domenica 8 Papa Francesco ha incontrato i rappresentanti del mondo del lavoro ed ha consegnato loro una toccante preghiera. «Sappiano le nostre famiglie che la gioia di guadagnare il pane è perfetta quando questo pane è condiviso. Che i nostri bambini non siano costretti a lavorare, possano andare a scuola e proseguire i loro studi, e i loro professori consacrino tempo a questo compito, senza aver bisogno di altre attività per la sussistenza quotidiana. Dio di giustizia, tocca il cuore di imprenditori e dirigenti: provvedano a tutto ciò che è necessario per assicurare a quanti lavorano un salario dignitoso e condizioni rispettose della loro dignità di persone umane». (cf. testo integrale).
Nell’isola
Mauritius
A Mauritius Papa Francesco ha avuto l’occasione di riprendere e sintetizzare diversi temi di fondo del suo pontificato. Si è trovato in una realtà dove migrazioni, sviluppo, globalizzazione, si fondono e si sfidano. Come ha sottolineato nel discorso al Presidente della Repubblica, alle autorità e al Corpo diplomatico «il DNA del vostro popolo conserva la memoria di quei movimenti migratori che hanno portato i vostri antenati su questa isola e che li hanno anche condotti ad aprirsi alle differenze per integrarle e promuoverle in vista del bene di tutti. Ecco perché vi incoraggio, nella fedeltà alle vostre radici, ad accettare la sfida dell’accoglienza e della protezione dei migranti che oggi vengono qui per trovare lavoro e, per molti di loro, migliori condizioni di vita per le loro famiglie. Abbiate a cuore di accoglierli come i vostri antenati hanno saputo accogliersi a vicenda, quali protagonisti e difensori di una vera cultura dell’incontro che consente ai migranti (e a tutti) di essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti. Nella storia recente del vostro popolo, merita apprezzamento la tradizione democratica instaurata a partire dall’indipendenza e che contribuisce a fare dell’Isola Mauritius un’oasi di pace».
Nell’omelia della Messa, guardando alla realtà del mondo cattolico locale, ha invitato ad approfondire lo «slancio missionario» e soprattutto a non dimenticare i giovani, in un contesto di vera testimonianza cristiana. «Sono i giovani a soffrire di più, sono loro a risentire maggiormente della disoccupazione che non solo provoca un futuro incerto, ma inoltre toglie ad essi la possibilità di sentirsi protagonisti della loro storia comune. Futuro incerto che li spinge fuori strada e li costringe a scrivere la loro vita tante volte ai margini, lasciandoli vulnerabili e quasi senza punti di riferimento davanti alle nuove forme di schiavitù di questo secolo XXI. Loro, i nostri giovani, sono la prima missione! Dobbiamo invitarli a trovare la loro felicità in Gesù, non in maniera asettica o a distanza, ma imparando a dare loro un posto, conoscendo il loro linguaggio, ascoltando le loro storie, vivendo al loro fianco, facendo loro sentire che sono benedetti da Dio».
Parlando con i giornalisti in aereo, nel viaggio di ritorno, Papa Francesco è tornato sul perché dei suoi ripetuti interventi a favore della giustizia sociale, del rispetto dei popoli, degli effetti della globalizzazione. Ed ha sottolineato con estrema chiarezza il suo punto di vista: «Oggi non ci sono colonizzazioni geografiche – almeno non tante… – ma ci sono colonizzazioni ideologiche, che vogliono entrare nella cultura dei popoli e cambiare quella cultura e omogeneizzare l’umanità. È l’immagine della globalizzazione come una sfera: tutti uguali, ogni punto equidistante dal centro. Invece la vera globalizzazione non è una sfera, è un poliedro dove ogni popolo, ogni nazione conserva la propria identità ma si unisce a tutta l’umanità. Invece la colonizzazione ideologica cerca di cancellare l’identità degli altri per renderli uguali; e vengono con proposte ideologiche che vanno contro la natura di quel popolo, contro la storia di quel popolo, contro i valori di quel popolo. Dobbiamo rispettare l’identità dei popoli. Questa è una premessa da difendere sempre. Va rispettata l’identità dei popoli, e così cacciamo via tutte le colonizzazioni».
Fabrizio Mastrofini