Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2019/1, p. 36
Beatificazione di 19 martiri. Continente ostile a sacerdoti e religiosi?

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Testimoni
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ALGERIA
Beatificazione di 19 martiri
L’8 dicembre scorso, solennità dell’Immacolata sono stati beatificati 19 martiri cristiani, uccisi in Algeria in odio alla fede, per aver testimoniato l’amore di Cristo e scelto di rimanere nel Paese tra la gente che amavano, negli anni bui del terrorismo. È la prima volta che dei martiri cristiani vengono proclamati “beati” in un Paese musulmano. La celebrazione è stata presieduta dal card. Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il papa ha inviato un messaggio ai cattolici dell’Algeria auspicando che la celebrazione possa aiutare a sanare le ferite del passato e creare una nuova dinamica di incontro e di convivenza.
I più noti di questi martiri sono senza dubbio i sette monaci trappisti di Tibhirine. Erano stati rapiti dal loro monastero nel marzo 1996. Alla fine di maggio furono rivenute le loro teste tagliate, mentre dei loro corpi, almeno fino ad oggi, non si è saputo più nulla. A far conoscere la loro vicenda al gran pubblico ha cooperato molto anche il film Des hommes et des dieux (Uomini di Dio) di Xavier Beauvois. Degli altri invece, tranne il vescovo Clavérie, di Orano, si conosce molto meno. Sono tutti religiosi, sacerdoti e suore che hanno voluto rimanere sul posto nonostante il pericolo a cui erano esposti.
Riassumiamo qui in breve le loro vicende.
Nel mese di maggio del 1994, furono assassinati nella biblioteca dell’arcidiocesi di Algeri il fratello marista Henri Vergès e la suora Paul-Hélène Saint-Raymond. Un terrorista, travestito da poliziotto, è penetrato nella struttura che dirigeva e uccise l’insegnante francese e bibliotecario che viveva in Algeria già da 25 anni. Suor Paul-Hélène corse in suo soccorso in biblioteca quando avvenne l’attentato. Anche lei era originaria della Francia e aveva lavorato in Algeria da 30 anni dedicandosi come infermiera alla cura dei malati e disabili. Quando il vescovo di Algeri l’avvertì del pericolo che correva in Algeria, lei rispose semplicemente: “La nostra vita è già stata donata”.
Dopo l’attentato, il vescovo della capitale avvisò tutti i missionari stranieri a riflettere bene se di fronte al pericolo a cui erano esposti volevano rimanere realmente in Algeria. Esther Paniagua Alonso e Caridad Álvarez Martín, due religiose spagnole vivevano in una piccola comunità della loro Congregazione a Bab El Oued, nei pressi di Algeri e decisero, nonostante la violenza della guerra civile di rimanere. Si prendevano cura dei bambini musulmani che non volevano lasciare. Nell’ottobre del 1994 le due missionarie agostiniane furono assassinate, mentre stavano recandosi in chiesa per la messa domenicale. Una terza consorella, che era partita alcuni minuti dopo, trovò i corpi a un centinaio di metri dalla chiesa delle due suore uccise.
Poco dopo la festa di Natale del 1994, ad essere uccisi furono quattro sacerdoti dei Padri bianchi nella località nord algerina di Tizi Ouzou, tre francesi e un belga. Uno di loro, p. Christian Chessel, conosceva i monaci di Tibhirine. Soltanto un mese prima della morte era stato ospite nel loro monastero. Gli islamisti uccisero lui e i suoi tre confratelli per vendicare i quattro morti del loro gruppo terroristico. Chessel aveva 36 anni quando fu ucciso ed è il più giovane dei 19 beati algerini. Al funerali dei padri prese parte anche il priore di Tibhirine, Christian de Chergé che fu anch’egli martirizzato 15 mesi dopo.
Nel settembre 1995, fu la volta di due missionari francesi a cadere vittime del terrorismo: suor Angèle-Marie Littlejohn e suor Bibiane Leclercq, uccise a pochi metri della loro abitazione, ad Algeri, mentre tornavano dalla messa. Ambedue avevano lavorato per 35 anni in Algeria insegnando maglieria e cucito a numerose ragazze svantaggiate. Sr. Bibiane era solita dire: “È la lingua del cuore che conta”. Per l’affetto che portavano alla gente del luogo avevano deciso di non lasciare il paese. Sr. Bibiane aveva così giustificato la sua decisione: “Mi sento impotente di fronte a tanta sofferenza, ma so che Dio ama questo popolo”.
Solo pochi mesi dopo, in novembre, morì anche Suor Odette Prévost, ad Algeri. Era membro di una congregazione ispirata alla testimonianza di Carlo de Foucauld. Fu uccisa mentre aspettava una conoscente con cui voleva recarsi in auto alla messa.
Nell’agosto 1996 fu ucciso il vescovo di Orano, Pierre Clavérie. Il processo di beatificazione ha messo in risalto il significato della sua testimonianza di fede. La beatificazione fu infatti intitolata a “Pierre Clavérie e ai 18 compagni”.
Clavérie era nato in Algeria, nel 1938, figlio di genitori francesi. Per lo studio si era recato in Francia, dove entrò nell’Ordine dei predicatori (domenicani). Nel 1967 ritornò in Algeria e nel 1981 divenne vescovo di Orano, la seconda maggiore città del Paese. Era considerato un grande conoscitore dell’islam e si era fortemente impegnato per il dialogo religioso. Fu ucciso da una bomba mentre stava rientrando nell’episcopio assieme al suo autista musulmano, Mohamed Bouchikhi.
Da non dimenticare inoltre che tra il 1994 e il 1996 a perdere la vita, vittime della violenza, furono anche 99 imam e con loro molti giornalisti, scrittori e intellettuali che si erano rifiutati di giustificare la violenza in nome di Dio.
Africa
Continente ostile a sacerdoti e religiosi?
Padre Donald Zagore, missionario della Società delle Missioni africane, in una dichiarazione rilasciata all’Agenzia Fides, ha espresso ad alta voce quanto ormai in molti all’interno della Chiesa cattolica africana si chiedono. Negli ultimi anni il fenomeno dei sequestri di sacerdoti e suore è in continua crescita in Africa.
La Nigeria è forse la terra più rischiosa per i sacerdoti. La minaccia arriva non solo dal fondamentalismo islamico di Boko Haram, quanto dalla povertà diffusa tanto al Nord quanto al Sud del Paese. Il 70% della popolazione vive sotto la soglia della povertà nonostante la nazione sia uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e abbia terreni fertili. «La corruzione e la bramosia di denaro che affligge la società – spiega padre Sylvester Onmoke, responsabile dell’Associazione dei preti diocesani – continua ad essere una delle cause principali dei sequestri dei sacerdoti. I politici e i funzionari corrotti che, ostentando la loro ricchezza ottenuta illecitamente, spingono altri a cercare di ottenere denaro facilmente e con tutti i mezzi. A questo si aggiunge la frustrazione diffusa tra la popolazione per la disoccupazione e per il mancato pagamento dei salari».
Sono molti i religiosi rapiti negli ultimi anni. Il caso più noto e drammatico è certamente quello di John Adey, vicario generale della diocesi di Otukpo. Rapito il 24 aprile 2016, i suoi resti sono stati trovati il 22 giugno 2016. La famiglia aveva pagato il riscatto, ma il sacerdote non era stato liberato. Stessa sorte ha subito Cyriacus Onunkwo. Rapito il 1° settembre 2017, il suo corpo è stato rinvenuto il giorno dopo. «Mentre la gente innocente è lasciata senza protezione – si è sfogato padre Hyginus Aghaulor, direttore delle Comunicazioni sociali della diocesi di Nnewi – vediamo i militari proteggere gli oleodotti nel Delta del Niger, come se il petrolio fosse più importante delle persone. Perché la gente deve essere uccisa senza motivo nella sua terra?».
«La piaga dei rapimenti a scopo di estorsione – ha dichiarato il portavoce della Conferenza episcopale nigeriana – ha raggiunto proporzioni inimmaginabili. Giorno dopo giorno, non solo sacerdoti, ma anche cittadini sono rapiti, umiliati e traumatizzati da bande pesantemente armate. Sono senza pietà, letali e senza scrupoli. Nei loro sforzi di estorcere forti somme di denaro sottopongono le loro vittime a violenze indicibili che durano settimane se non mesi».
Negli altri Paesi dell’Africa occidentale i rapimenti hanno una natura più complessa. Da anni ormai nel continente operano diverse milizie jihadiste. Il salafismo jihadista è diviso in due grandi famiglie. La prima è al Qaeda. Fondata da Osama bin Laden, oggi è diffusa in tutta l’area saheliana. Qui conta numerosi gruppi affiliati, tra i quali al Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi), al Murabitun, Movimento per l'Unicità e il Jihad in Africa Occidentale, ecc. Gruppi che nascono, si fondono, si dividono, ma appartengono tutti alla stessa galassia qaedista. Ad essa si affianca e, a volte si contrappone, il cosiddetto Stato Islamico, conosciuto anche come Isis o Daesh. In Africa, la principale formazione legata a Isis è Boko Haram. Lo jihadismo ha stretto un legame solido con le formazioni criminali. Miliziani e delinquenti comuni si spartiscono i grandi traffici illeciti che attraversano il Sahel: droga, armi, sigarette, esseri umani, ecc. Probabilmente si inserisce in questo contesto il rapimento di padre Pierluigi Maccalli della Società Missioni Africane, prelevato nella sua missione in Niger, tra il 17 e il 18 settembre. Stessa sorte potrebbe essere toccata a suor Cecilia Narvaez, religiosa di nazionalità colombiana, rapita il 7 febbraio 2017, a Koutiala, nel sud del Mali, e non ancora rilasciata.
Politica e criminalità sono alla base dei sequestri anche nella Repubblica democratica del Congo. Molti i sacerdoti finiti nelle mani dei rapitori: Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasikundi ed Edmond Bamutute, prelevati nella loro parrocchia a 22 km da Beni nell’ottobre 2012; Pierre Akilimali e Charles Kipasa, a Bunyuka, sempre della diocesi di Beni-Butembo, nel 2017; Robert Masinda, parroco di Bingo, nel Nord del Kivu (liberato); Celestin Ngango, parroco di Karambi (liberato). Questi sacerdoti sono stati rapiti per aver denunciato le dure condizioni di vita nel nord del Kivu, una regione nella quale sono presenti numerose milizie locali che si contendono le risorse locali: oro, diamanti, coltan, ecc. Chi osa puntare il dito sullo sfruttamento di uomini, donne e bambini nelle miniere rischia grosso. Così come chi denuncia le violenze sui civili.