Un sogno da portare avanti!
2019/1, p. 18
Eravamo una banda, per dirla al modo degli storici
medioevali, ma consapevoli del fine che ci era stato messo
davanti. Nessuna esitazione sulla forma monastica che non
è mutata in nulla di sostanziale in tutti questi anni.
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Testimoni
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Bose … cinquant’anni
UN SOGNO
DA PORTARE AVANTI!
Eravamo una banda, per dirla al modo degli storici medioevali, ma consapevoli del fine che ci era stato messo davanti. Nessuna esitazione sulla forma monastica che non è mutata in nulla di sostanziale in tutti questi anni.
“Nel 1965 venni a Bose, in questo piccolo villaggio abbandonato … Vissi allora da solo a Bose … Sì, era una vita solitaria … una vita semplice, povera, fatta solo di preghiera e di lavoro per vivere, di cui a volte ho nostalgia … Ci furono momenti difficili, oscuri, ma ho perseverato pensando che il Signore voleva veramente una comunità, l’avrebbe prima o poi fatta nascere … E infatti quasi improvvisamente nell’autunno del ’68 arrivarono i primi tre: Maritè, Domenico, Daniel, e questo significò l’inizio vero e proprio della vita comunitaria … Certo potrei raccontare molte cose di quell’inizio, ma questo è l’essenziale. E poi la vocazione è sempre inenarrabile … Tutto è opera di Dio, e chi può narrare ciò che Lui compie?” (da “Ricominciare”, Enzo Bianchi, ed. Marietti, p. 25).
Una storia
fatta di nomi
E così l’11 novembre di quest’anno ci siamo ritrovati con amici e ospiti per vivere insieme una giornata di rendimento di grazie per ciò che il Signore in questi cinquant’anni di vita comune ha fatto con noi e nonostante noi. Sì, perché spesso siamo stati noi le pietre d’inciampo all’azione della grazia. Noi non siamo i protagonisti, ma solo i primi spettatori stupiti di ciò che il Signore ha compiuto. Ci siamo riuniti per fare memoria di una storia fatta di nomi, incontri, relazioni, amicizie che hanno segnato una strada per la comunità. Fatta di volti che sono rimasti fedeli e di volti che non ci sono più, che ci hanno lasciato ognuno per una sua ragione. Una storia fatta di storie di persone che sono stati doni di Dio per tutti noi.
È stato bello ripercorrere con i primi fratelli e sorelle, amici e ospiti, con i primi testimoni il nostro andare tra grazia e peccato, fedeltà e infedeltà, giorni luminosi e giorni bui. Ricordare insieme è stato prendere coscienza di un’eredità, di un lascito e quindi di una responsabilità. Ascoltiamo gli echi dei loro racconti:
“Eravamo una banda per dirla al modo degli storici medioevali, ma consapevoli del fine che ci era stato messo davanti. Nessuna esitazione sulla nostra forma monastica che non è mutata in un nulla di sostanziale in tutti questi anni. Allora come oggi la preghiera e l’accoglienza di tutti. In questa gestazione di una futura ma incerta realtà comunitaria, ricordo la guida affettuosa del cardinale Michele Pellegrino, il pastore Paolo Ricca, la grazia dell’amicizia di fr. Roger, il priore di Taizé, come del Patriarca di Costantinopoli Athenagoras … molti nel corso di questi lunghi anni sono quelli che ci hanno sostenuto anche in modo non appariscente, a volte nascosto, ci hanno sostenuto e consolato, molti e molti …
Una banda di sognatori, accompagnavamo le nostre discese a Ivrea in “cinquecento” cantando il cantico 50 dell’Antico Testamento, al quale non temevamo di aggiungere un verso inatteso: ‘Curve pericolose benedite il Signore! A Lui la lode e la gloria per sempre!’ Una banda, o come scrisse Anna Portoghese negli anni Settanta: “Sette monaci in blue-jeans!”. La giornalista della Rocca persistette e nel 1983 firmò un nuovo articolo intitolato: “Ventisette monaci folli” … Insieme credenti in Cristo di diverse confessioni dimostrando che è possibile vivere insieme e condividere la stessa fede, nella diversità delle singole personalità (non delle varie confessioni) che componevano la comunità …
Al centro c’era
la Scrittura
Lo spirito che si respirava in quegli inizi era quello di una ricerca spirituale larga, attenta e sensibile ad ogni accento spirituale profondo, a prescindere da dove provenisse, ma allergico a ogni spiritualismo confuso, nato da una ricerca vuota di novità …
Al centro della comunità c’era la Scrittura in tutte le sue espressioni, la lectio divina, la ricchezza della liturgia, la preghiera quotidiana che davano un rigore alla vita comune senza però irrigidirla né impoverirla umanamente …
Bose non era solo un luogo di particolare bellezza, ma una scuola in cui si imparava l’arte del vivere una vita bella, buona, felice …
Cercavamo di ritrovare nella nostra vita quella luce, quel profumo anche quello stupore che si incontra nelle pagine del Vangelo. In mezzo alle difficoltà quotidiane ci consolava la grazia della carità, dell’amore reciproco, che suppliva a tanta incoerenza …
Una regola
per tutti
La comunità aveva una regola, accolta e approvata da tutti fin dal capitolo del 4 ottobre 1971 e questa regola la inseriva nella grande tradizione monastica e che subito ricevette i segni di una grande comunione da parte dei monasteri che erano da noi frequentati … non ci sentivamo più soli! Non dimentichiamo che quelli erano gli anni difficili del post concilio, epoca tanto travagliata e attraversata da contestazioni ecclesiali. Ma la comunità restò fedele alle esigenze della comunione ecclesiale e fu ancora una grazia quella di non essere sballottati dal vento che tirava … E su questa regola nell’alba di Pasqua dell’aprile del 1973 i primi fratelli e una sorella, 7 in tutto hanno emesso la loro professione monastica … a poco a poco sono venuti altri fratelli e sorelle …
In questa fecondità fu possibile fondare le fraternità a Saint-Sulpice, in Svizzera, a Gerusalemme, a Ostuni, ad Assisi, a Cellole e infine a Civitella … ”. (1)
Parole che ci richiamano ad una responsabilità in primo luogo verso la vita: la vita della comunità e delle persone che ne fanno parte. E poi, verso i doni che il Signore ha fatto alla nostra comunità, che dobbiamo accogliere oggi come allora, continuamente, giorno dopo giorno.
Un luogo
ecumenico
Innanzitutto, il grande dono di aver fatto di Bose un luogo ecumenico. Ecumenico per la composizione della comunità, ma ecumenico anche il modo di vivere in dialogo, in ascolto, in confronto, in solidarietà con le chiese cristiane d’oriente e d’occidente, con le chiese ortodosse, con le chiese della riforma e con la chiesa anglicana. Anche le parole di esortazione di papa Francesco, che inaspettatamente ci sono giunte per quest’occasione, ci esortano a continuare a custodire questo dono, oggi più di ieri: “La vostra comunità si è distinta nell’impegno per preparare la via dell’unità delle Chiese cristiane, diventando luogo di preghiera, di incontro e di dialogo tra cristiani, in vista di una comunione di fede e di amore per la quale Gesù ha pregato”.
L’altro grande dono è la vita di fratelli e sorelle insieme. Dopo cinquant’anni confessiamo che è una vita non solo possibile ma feconda e ricca di doni, che condividiamo nel quotidiano della preghiera e del lavoro. Davvero, possiamo dire: “Quanto è bello vivere insieme come fratelli e sorelle” (Sal 133,1).
Nel nostro giorno di ringraziamento hanno trovato spazio anche parole che esprimevano la consapevolezza degli errori commessi. Essi vanno ricordati per ribadire chi è l’unico e vero Signore della storia.
“Nella memoria dei doni che il Signore ci ha fatto non dimentichiamo le domande e tra esse quella del perdono prima di tutto alle nostre infedeltà al Signore ripetendo cadute e rinnegamenti e a quanti, nel corso di questi anni, abbiamo scandalizzato e ferito con i nostri comportamenti. Non sempre abbiamo saputo amare e anche noi abbiamo fatto del male …
Ricominciare è un verbo caro alla tradizione monastica. Questo incessante ricominciare riguarda la chiesa, la comunità e ciascuno di noi. Il discepolo del Signore che cerca di vivere umilmente alla sequela del suo maestro conosce lungo il suo cammino l’insidia dell’ipocrisia, della menzogna che porta a diventare cristiani apparenti. Solo in Gesù, Parola fatta carne, non vi è alcuna distanza tra il dire e il fare, tra parola e azione. Solo Gesù può dire “amatevi come io vi ho amato” (Gv 13,34). Nessun discepolo può sentirsi privo di peccato, ma dietro al Signore, forti del suo amore, ci è chiesto di non rassegnarci all’ipocrisia che sempre insidia la nostra vita …
Finché eravamo una banda o dei folli il rischio dell’ipocrisia non era troppo grande, non ci prendevamo troppo sul serio, pur credendo fermamente a ciò che facevamo. Ma ora siamo diventati una comunità riconosciuta, apprezzata e, meno male, anche talvolta criticata. E quindi il rischio è tanto più grande …”. (2)
Ci è chiesto di lottare, sorelle e fratelli, insieme contro l’ipocrisia e il raffreddamento della carità perché abbiamo tutti e ciascuno una responsabilità verso la vita dei giovani, di coloro che oggi sono con noi o che vengono per sostare tra di noi e di quelli che saranno affascinati dalla nostra vita e che entrano e entreranno in una comunità che ha mezzo secolo. Responsabilità verso gli amici e gli ospiti che accogliamo perché la nostra ospitalità resti un segno che la contraddistingue, “l’accoglienza verso tutti senza distinzione, credenti e non credenti; l’ascolto attento a quanti sono alla ricerca di confronto e consolazione; il servizio del discernimento per i giovani in cerca del loro ruolo nella società” (Papa Francesco).
È la nostra stessa regola monastica che, nel suo paragrafo finale, si preoccupa di non far sentire il passato come un peso, ricordando quell’essenziale e quella freschezza del vangelo che è ciò che ha attirato in comunità fratelli e sorelle, che parla agli ospiti e agli amici che ci frequentano, che è il senso del nostro esserci e che vorremmo non fosse mai offuscato e dimenticato da ciascuno di noi.
Dice la nostra regola
Fratello, sorella,
tu hai costruito e costruisci ogni giorno la comunità. Ma non preoccuparti di dare continuità storica all’intuizione iniziale. Cerca piuttosto che la comunità sia un segno, veglia sull’autenticità di esso, e non permettere che sia reso opaco dall’istituzionalizzazione massiccia. Non pensare alla tua vecchiaia né al domani della comunità. Vivi l’oggi di Dio.
Una sola cosa sia la tua preoccupazione: cercare il regno di Dio vivendo l’Evangelo nella comunità in cui sei stato chiamato. Il Signore ti benedica e ti protegga, faccia risplendere su di te la sua presenza e ti dia la pace: fino a quando scoprirà per te il suo volto. Amen” (RBo 48).
Antonella Casiraghi
1 Dalle testimonianze di Enzo Bianchi, Daniel Attinger, Domenico Ciardi, Clara Gennaro, Maria Luisa di Cumiana.
2 Dalle testimonianze di Enzo Bianchi, Daniel Attinger, Lisa Cremaschi