L'obbedienza è ancora una virtù?
2019/1, p. 5
La domanda si impone davanti all’evidente crisi di autorità e quindi
d’obbedienza nella vita sociale, familiare, ecclesiale.
L’obbedienza non è sempre una virtù. Non lo è quando è rancorosa,
passiva, subita “obtorto collo”, come quella del figlio maggiore della parabola
evangelica.
La disobbedienza non è mai una virtù quando è rivendicazione di
autonomia assoluta nei confronti di un padre o di una autorità legittima,
come ha fatto il figlio minore, che se ne va, sbattendo la porta.
L’obbedienza è sempre una virtù quando è “in piedi”, quando non è
remissiva né presuntuosa, quando fa presenti le sue ragioni all’autorità, alla
quale spetta l’ultima parola, anche se non ha tutte le parole.
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L’OBBEDIENZA è ANCORA UNA VIRTù?
La domanda si impone davanti all’evidente crisi di autorità e quindi d’obbedienza nella vita sociale, familiare, ecclesiale.
L’obbedienza non è sempre una virtù. Non lo è quando è rancorosa, passiva, subita “obtorto collo”, come quella del figlio maggiore della parabola evangelica.
La disobbedienza non è mai una virtù quando è rivendicazione di autonomia assoluta nei confronti di un padre o di una autorità legittima, come ha fatto il figlio minore, che se ne va, sbattendo la porta.
L’obbedienza è sempre una virtù quando è “in piedi”, quando non è remissiva né presuntuosa, quando fa presenti le sue ragioni all’autorità, alla quale spetta l’ultima parola, anche se non ha tutte le parole.
Come hanno fatto i profeti obbedienti, lungimiranti nel prevedere nuove sfide, ma umili e realisti nel rallentare il passo, per aiutare gli altri ad allungarlo.
Questi pensieri vengono alla mente spontanei leggendo lo straordinario carteggio, tra don Primo Mazzolari e il suo Vescovo mons. Giovanni Cazzani (Un’obbedienza in piedi, EDB, 2017), carteggio che copre un periodo di ben 37 anni (1915 - 1952) segnato dalle due guerre mondiali, dove emergono le due differenti ma egualmente ammirevoli personalità, che non è esagerato considerare gigantesche. Se non era facile per un profeta lungimirante e proiettato verso il futuro, (come era don Primo) lasciarsi frenare da un ambiente preoccupato di gestire il presente, non era meno facile per il suo Vescovo trovare il modo più conveniente di difendere l’Arciprete di Bozzolo, nello svolgimento della sua missione di precursore e di evitargli guai. I due si stimano, si parlano (“dialogano”, come si direbbe oggi), si rispettano, sanno di non pensarla sempre alla stessa maniera, ma sono uomini di fede, che fanno onore alla loro missione perché vogliono sinceramente servire la Chiesa e il popolo povero e sofferente. Il miracolo di una intensa, anche se sofferta, comunione è stato possibile dalla paternità del Vescovo e dall’affetto filiale di don Mazzolari, il quale poteva scrivergli: “Voi decidete paternamente: io filialmente obbedirò”. E ha “obbedito in piedi”, cioè dopo aver fatto presenti le ragioni che lo muovevano, i suoi problemi di coscienza, la sua visione di Chiesa, le sue previsioni per il futuro. Due grandi intelligenze, ma soprattutto due cuori grandissimi, che volendosi bene, sapevano di poter contare sulla lealtà dell’altro, superando le amarezze o le difficoltà che venivano dai loro ruoli.
Se oggi possiamo ammirare il Profeta obbediente, dobbiamo anche ringraziare il Vescovo sapiente. Ci vuole una buona dose di umiltà sia nell’ubbidire sia nel comandare, umiltà che permette a tutti di stare in piedi per aiutarsi a camminare sulle vie spesso misteriose del Signore, vie che tendono ad avvicinarsi, man mano si avvicinano a Lui.
Piergiordano Cabra