Arrighini Angelo
Giovani, fede, discernimento
2019/1, p. 1
Discernimento e accompagnamento dei giovani nella testimonianza dei superiori generali che hanno partecipato, nell’ottobre 2018, ai lavori sinodali. Un discorso importante, problematico e urgente non solo per la Chiesa in generale, ma anche per gli istituti di vita consacrata in particolare.

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Testimoni
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Assemblea semestrale dei superiori generali
GIOVANI, FEDE,
DISCERNIMENTO
Discernimento e accompagnamento dei giovani nella testimonianza dei superiori generali che hanno partecipato, nell’ottobre 2018, ai lavori sinodali. Un discorso importante, problematico e urgente non solo per la Chiesa in generale, ma anche per gli istituti di vita consacrata in particolare.
Giovani, fede e discernimento. Ne hanno discusso i superiori generali nella loro assemblea semestrale, dal 21 al 23 novembre, presso la Casa Divin Maestro ad Ariccia. Alla luce del documento finale del sinodo, hanno ripreso il discorso avviato già nella loro precedente assemblea del maggio scorso (Testimoni n.6, giugno 2018). Si sono avvalsi soprattutto dell’esperienza diretta vissuta dai loro dieci rappresentanti inviati al sinodo. In quattro tavole rotonde, moderate direttamente, anche questa volta come già nel maggio scorso, dai due segretari speciali del sinodo, il gesuita p. Giacomo Costa e il salesiano don Rossano Sala, hanno preso la parola il gesuita Arturo Sosa, il cistercense Mauro Lepori, lo scolopio Pedro Aguado, il fratello marista Ernesto Sánchez, il domenicano Bruno Cadoré, il conventuale Marco Tasca, il salesiano Angel Artime e il redentorista Michael Brhel.
Quattro i temi all’ordine del giorno: il discernimento come stile di chiesa, l’accompagnamento educativo e l’annuncio del vangelo, la vita come vocazione e le diverse vocazioni, una chiesa per e con i giovani. Avvalendosi non solo degli interventi dei singoli relatori, ma anche delle accentuazioni emerse dai lavori di gruppo, i due moderatori hanno provato a raccogliere il tutto in una loro sintesi conclusiva. Il punto di partenza e di riferimento di questa sintesi, non poteva che essere il documento finale del sinodo, questo “primo e principale strumento di lavoro nelle mani di tutta la chiesa”.
Discernimento
e stile ecclesiale
L'ascolto reciproco è un atteggiamento fondamentale per "camminare insieme". Più che una tecnica, è una vera e propria esperienza spirituale con cui rapportarsi anche a quanti vivono ai margini delle nostre comunità. Un ascolto empatico e non paternalistico, soprattutto se illuminato dalla Parola di Dio, può trasformare sia la vita comunitaria che l'impegno apostolico, in particolare ogniqualvolta sono direttamente coinvolti dei giovani.
Anche nella vita religiosa lo stile sinodale può aiutare a combattere il clericalismo e gli abusi di potere, stimola i più anziani ad incontrare i giovani là dove si trovano, soprattutto insegna che cosa dobbiamo essere e non solo che cosa dobbiamo fare. Più che una pratica "autoreferenziale", la sinodalità dovrebbe diventare realmente un “camminare insieme”sia all’interno della chiesa che nei rapporti col mondo.
Ma quanto tempo sappiamo dedicare all’ascolto dei giovani, soprattutto di quelli più “marginali”, senza lasciarci prendere dalle (immancabili) urgenze amministrative e gestionali? Il riconoscimento del “segno dei tempi” passa anche attraverso uno sguardo di fede e di speranza soprattutto in un contesto sociale contrassegnato dalla carenza di vocazioni, dalla lontananza dei giovani dalla chiesa, dalla problematica realtà degli abusi sessuali e non.
Per dei superiori generali è fondamentale la comunicazione e la condivisione anche dei processi più difficili e complessi. Non si dovrebbe lasciar nulla di intentato per favorire la partecipazione e promuovere una cultura di corresponsabilità all'interno sia delle proprie congregazioni che della chiesa. L’interculturalità e il dialogo intergenerazionale sono obiettivi da perseguire con sempre maggior convinzione.
Parlare di giovani significa oggi sempre più spesso parlare di mondo digitale, un mondo che bene o male rischia di compromettere una seria sinodalità. Quello digitale, infatti, non è semplicemente un “mezzo”, uno “strumento”, ma un "ambiente" di vita che modifica le modalità con cui si interagisce, si entra in relazione, aprendo a volte anche dinamiche autoreferenziali e di chiusura. In questo mondo contrassegnato anche dall’incontro tra culture diverse, da una positiva inclusione, i giovani possono sicuramente aiutare ed essere in qualche modo dei protagonisti.
È un fatto che la sinodalità può mettere in seria discussione le modalità con cui vengono prese le decisioni in una realtà di vita consacrata. Basti pensare a come spesso viene ancora gestito il mondo dei capitoli. Non è possibile spesso articolare responsabilità, partecipazione e obbedienza senza una radicale revisione di tante abitudini decisamente superate consolidatesi all’ombra di tanti nostri carismi di fondazione.
La sola buona volontà a volte può anche non bastare per favorire una vera sinodalità. Potrebbe essere necessario farsi aiutare da chi ha esperienze formative nel campo del discernimento comunitario, magari rileggendo e riproponendo il documento finale del sinodo a partire dal proprio carisma e, soprattutto, favorendo la partecipazione dei giovani a tutti i processi decisionali all’interno delle strutture della nostra vita consacrata.
Accompagnamento
e vangelo
L'accompagnamento è un elemento chiave della spiritualità, un chiaro segno della spiritualità che i religiosi vivono in stretta relazione con la missione di annunciare il vangelo. Non è una tecnica, ma un atteggiamento di vita spirituale che spinge ad uscire, ad andare verso le periferie, anche a costo, a volte, di sbagliare. La vicenda dei discepoli di Emmaus, in questo senso, è particolarmente significativa. Gesù si accompagna a loro nella direzione opposta a Gerusalemme. Li ascolta aprendoli alla libertà e stimolandoli a tornare a Gerusalemme come testimoni del risorto. Lo "spezzare insieme il pane" non è solo premessa all'annuncio, ma è lo stile dell'annuncio in quanto tale. È facile individuarvi un nuovo modo di essere chiesa e di camminare come comunità.Quante volte, però, nella vita religiosa, l’individualismo e l’autosufficienza indeboliscono la testimonianza! Lo conferma il fatto che si è più disponibili ad accompagnare che ad essere accompagnati. Nel documento finale del sinodo si parla della comunità come “primo soggetto dell’accompagnamento”, in netta contrapposizione alla risaputa incapacità delle nostre comunità ad accompagnare. Sappiamo tutti quanto la preghiera, la fraternità e il servizio ai poveri facilitino il discernimento vocazionale. Ma quante nostre comunità sanno offrire oggi ad un giovane autentiche esperienze in tal senso? Un accompagnamento finalizzato al “reclutamento” non è evangelico. Gesù chiama alla libertà e alla responsabilità. È un atteggiamento fondamentale nell’accompagnamento dei giovani seriamente intenzionati a vivere la loro “vocazione profetica” nella società, nel mondo dell’impegno sociale, politico, lavorativo, educativo.Molte nostre congregazioni sono ancora oggi impegnate nel campo educativo. Ma con quale fecondità dei nostri itinerari formativi? Gli stessi percorsi catechistici in vista della recezione dei sacramenti, preparano realmente ad una vita cristiana adulta? Non ci si può accontentare del numero più o meno elevato di quanti frequentano ancora le nostre chiese, le nostre scuole. Ci si dovrebbe chiedere piuttosto se le nostre istituzioni educative sono veramente scuole di discepolato e comunità formative. Ci si dovrebbe, inoltre, interrogare sul perché dalle varie istituzioni educative vengono così poche vocazioni nelle nostre congregazioni.
Può succedere a volte di concentrare i programmi pastorali su giovani anche disponibili, ma incapaci poi, a loro volta, di interagire significativamente con i loro coetanei. Ma soprattutto, ai “nostri” giovani, che formazione all’accompagnamento viene assicurata per aiutarli ad interagire efficacemente nei confronti di quei tanti altri loro coetanei che vivono ai margini della Chiesa?
L’accompagnamento è un’arte vera e propria. Volendo seriamente cambiare certi atteggiamenti, ci si dovrebbe onestamente chiedere anche quanti giovani laici e laiche sono presenti normalmente in un’équipe formativa. Ci si dovrebbe interrogare su quale tipo di formazione permanente all’accompagnamento prevedere e assicurare non solo ai formatori, ai direttori spirituali, agli stessi superiori maggiori, ma anche alle singole comunità formative. La formazione all’accompagnamento è un’arte, ben sapendo di avere a che fare con la coscienza, l’interiorità più profonda, la libertà e la responsabilità di una persona. Senza una seria “conversione” personale e comunitaria, qualsiasi forma di accompagnamento è compromessa in partenza.
Vocazione
e vocazioni
Il tema della vocazione, è stato detto in assemblea, è intricato ma non complicato; è un poliedro dalle tante sfaccettature: da quella creativa (la vita stessa come vocazione), a quella battesimale, cristologica, ecclesiale, pastorale, pedagogica, spirituale. Tutte le vocazioni specifiche prendono forma nella vocazione della Chiesa. I giovani che hanno partecipato al sinodo, ad esempio, hanno aiutato la Chiesa a prendere coscienza della sua vocazione materna. Così un bambino potrebbe insegnare ai genitori a diventare genitori anche solo attraverso la sua presenza, la sua parola e le sue fragilità.
Una chiesa sinodale, mistica e profetica, non può non essere solidale con il mondo lasciandosi ferire da una parte da ciò che ferisce il mondo e rallegrandosi dall’altra da ciò che lo rallegra. Proprio in questo contesto anche la vita consacrata, in particolare la vita contemplativa, come si legge nel documento finale, può diventare una "testimonianza gioiosa della gratuità dell'amore", facendo leva sul valore del silenzio, sulla bellezza della liturgia, sulla potenza della preghiera fino ad affascinare i giovani immersi nel mondo rumoroso e mediatico di oggi.
Purtroppo la parola vocazione, oggi, gode di cattiva fama tra i giovani; ma proprio per questo va riscattata aiutandoli a coglierne la dimensione fondamentale, quella di “sentirsi amati da Dio”. Senza questa percezione, senza questa esperienza, tutto diventa un problema.
Certo, ci sono diversità ecclesiali molto grandi, dalle chiese aperte e missionarie, a quelle ripiegate su se stesse, conservative, manageriali, burocratiche, segnate dagli scandali. Al sinodo, per la verità, sono risuonate molto di più le diversità culturali che non quelle ecclesiali. Sono emersi rischi reali sulla comprensione stessa della sinodalità; basti pensare, ad esempio, ai diversi modi di sinodalità esistenti nelle diverse tradizioni dei vari istituti religiosi. La non sempre chiara comprensione della reciprocità delle vocazioni nella Chiesa o la percezione della sinodalità come una deriva democratica possono costituire realmente un problema.
La sfida della trasmissione della fede oggi, soprattutto nelle società secolarizzate, è forte. I giovani del nord del mondo vivono l'indifferenza e la lontananza da un Dio che per loro diventa sempre più insignificante. A volte viene proposto un deismo etico, terapeutico, incolore e insapore, una specie di benessere psicofisico e di felicità mondana.
Ci vuole una pedagogia profetica, una proposta graffiante e provocatoria fino al punto di trasformare la secolarizzazione in un'opportunità per risvegliare la fede e la libertà, offrendo in tal modo una vita e una proposta convincente ai giovani. In fondo, la dinamica vocazionale risponde alla domanda sul come nutrire la libertà.
Per la vita consacrata, in particolare, il rapporto tra carisma e funzione è decisivo: è importante saper distinguere e integrare le due dinamiche. Solo in tal modo la vita consacrata può diventare il segno della gratuità dell'amore. Nasce da qui la domanda: come liberarsi da un "funzionalismo" che impedisce di tornare alla fonte della generosità e della gratuità? A volte sorge il dubbio se abbiamo ancora fiducia nella potenza trasformante del vangelo.
Nella discussione è emerso anche il fenomeno dei religiosi che abbandonano la vita religiosa per la vita diocesana. È legittimo chiedersi in tal caso quale formazione possono aver avuto e se si possa essere religiosi in forma gratuita e disinteressata e non solo in vista dell’esercizio di una “funzione”.
Sono domande legittime e importanti, ben sapendo che in alcuni casi è in atto una certa "diocesanizzazione" della vita consacrata maschile, dove la carriera, il potere, la ricerca di prestigio a volte possono giocare un ruolo decisivo.
Per ovviare a rischi del genere non rimane che presentare la propria vocazione come pienezza di vita nell'amore, ponendo al centro di questo percorso il forte legame tra accompagnamento comunitario e personale.
Non ci potrà essere una pastorale vocazionale significativa se non prendendo sul serio la ricerca della verità dei giovani. In tal senso dovrebbe essere orientato il primo annuncio forte e chiaro, anche tramite esperienze di tipo catecumenale. Ma abbiamo veramente il coraggio di tentare qualcosa di nuovo e di diverso o non ci si trova molto spesso, invece, di fronte a muri invalicabili? Detto più chiaramente: che cosa abbiamo da perdere? Perché non sentirsi chiamati, sull’esempio dei fondatori, a tentare l’impossibile?
Per sentirsi anche meno soli in momenti delicati e difficili come quelli attuali, quanto potrebbe essere preziosa non solo una maggiore vicinanza tra l’Unione dei superiori generali e la Congregazione vaticana per i religiosi, ma anche una maggior collaborazione con la vita consacrata femminile, ben sapendo che le consacrate, nonostante tutto, sono sempre molto più numerose dei consacrati.
Una chiesa
“per” e “con”i giovani
Dal documento finale del sinodo traspare con molta evidenza più che la volontà di protagonismo, il desiderio di sentirsi parte viva della chiesa. L'immagine di Giovanni e Pietro, ad esempio, come presentata al n. 66 del testo, è molto forte e significativa di come e di quanto i giovani sappiano anticipare i pastori aprendo vie nuove.
Alcuni paragrafi, ad esempio, del primo capitolo della terza parte sono determinanti nel chiarire il protagonismo e la presenza dei giovani all'interno di una Chiesa sempre più concretamente orientata e incamminata verso la sinodalità. Almeno teoricamente si dovrebbe essere sempre più convinti di un urgente passaggio dal "fare per i giovani" al "fare con i giovani". I giovani sono qui e adesso, sono il presente del mondo e della chiesa, “sono nel cuore della chiesa e nel cuore di Dio".
Il sinodo, in fondo, è stato un continuo appello a guardare, a contemplare e a trovarsi tra i giovani in modo diverso, fino a vederli come un "luogo teologico" vero e proprio, vale a dire una realtà da cui partono autentici appelli di Dio per la sua chiesa. Grazie a quel clima di comunione e di simpatia che si è respirato durante il sinodo, si è incominciato anche a guardare in modo diverso le nuove generazioni. L’ansia di un loro ostinato indottrinamento perseguito nel passato della chiesa, ha lasciato lo spazio ad un camminare insieme, ad una condivisione di gioie e fatiche.
A detta di molti sinodali, tra giovani e adulti si è notato un radicale cambio di atteggiamento, un cambio che, invece, fatica e non poco, spesso, a trovare spazio all’interno ad esempio negli istituti di vita consacrata. Ancora oggi le "alleanze intergenerazionali" sono più auspicate che concretizzate. Che l’accompagnamento, ad esempio, sia della comunità e nella comunità, fatica a volte ad affermarsi.
Una criticità emersa con evidenza nelle riflessioni dei superiori generali sinodali, è stata quella del legame tra formazione e missione. È fuori discussione che la formazione per i giovani di oggi e di domani è decisiva. Ma su quale profilo di consacrato puntare, ben conoscendo le criticità di fronte alle quali si vengono a trovare le giovani generazioni che si affacciano alla vita consacrata? Più che in passato, forse, oggi si è esposti ai rischi del clericalismo pericoloso, della ricerca del potere, della incapacità a condividere la missione, della difficoltà di una reale prossimità, del vagabondaggio spirituale, del carrierismo.
Mai come oggi la vita consacrata è chiamata ad esercitare un ruolo profetico in un mondo sempre più pervaso da ogni tipo di abuso e di vulnerabilità. Nel sinodo è risuonato con frequenza e autorevolezza l’invito a farsi carico di quanti hanno ricevuto meno dalla vita, di coloro che sono segnati dalla sofferenza, dei giovani migranti, dei più poveri e degli ultimi. In un mondo tendenzialmente dominato da una "cultura dello scarto" nella gestione delle cose e del pianeta e di fronte a tante persone sulle quali si esercita e si sviluppa la "cultura dell'abuso", non si può girare lo sguardo da un’altra parte.
Il documento finale del sinodo interpella anche i consacrati ad offrire un'esperienza di qualità nella fraternità, nel servizio, nella spiritualità. Anzi, dalla vita consacrata ci si dovrebbe legittimamente attendere una serie di “proposte pilota” della formazione degli adulti nella fede. Se i consacrati non si muovono per primi, non fanno nulla, è stato detto nel sinodo, anche la Chiesa nel suo insieme faticherà a mettersi in movimento. Mai come oggi ci si attende dai consacrati un contributo profetico e creativo. Sia in preparazione che durante il sinodo è stato ripetutamente affermato il legame tra servizio e discernimento. Come si inseriscono i consacrati, ad esempio, nelle tante forme di volontariato diventato ormai parte integrante della cultura giovanile? Poche istituzioni come le congregazioni religiose possono vantare una reale esperienza di internazionalità. Ma, appunto, anche in ordine alla formazione dei giovani, che cosa fanno? Se, come è stato detto più volte nel sinodo, i giovani sono i più efficaci evangelizzatori di altri giovani, ci si potrebbe legittimamente attendere da parte dei consacrati/e una risposta creativa e innovativa anche a questo riguardo.
Angelo Arrighini