Brevi dal mondo
2018/9, p. 36
Camerun Etiopia Madagascar Colombia
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Testimoni
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Camerun
Un sacerdote ucciso nella zona anglofona
Don Alexandre Sob Nougi, 42 anni, parroco della parrocchia del Sacro Cuore a Bomaka, nella diocesi camerunese di Buea, informa l’Agenzia Fides, è stato ucciso il 20 luglio scorso per motivi non ancora chiariti. Il grave episodio è avvenuto sulla strada tra Buea e Muyuka, 25 km a nord est di Buea, capitale della regione anglofona nella zona sud occidentale del paese. Il sacerdote, che era conosciuto anche perché segretario diocesano per l’educazione cattolica, sarebbe rimasto colpito da una pallottola vagante durante uno scontro tra militari e separatisti, ma secondo altre ricostruzioni sarebbe stato ucciso intenzionalmente. In questa zona, come nell’altra regione anglofona nord occidentale, sono frequenti gli scontri tra le forze di sicurezza e i separatisti, che reclamano uno stato anglofono indipendente. Fin dall’indipendenza del paese (1960), i camerunesi di lingua inglese hanno accusato le autorità francofone di emarginarli, sostenendo che le autorità di Yaoundé impongono la lingua e le tradizioni francesi nei tribunali, negli uffici pubblici e nelle scuole. Per anni le province anglofone hanno chiesto maggiore spazio per i loro usi e i loro costumi e hanno rivendicato una sempre maggiore autonomia. A partire dal 2016 le manifestazioni di malcontento si sono fatte più frequenti. Il 1° ottobre 2017, le frange più estreme si sono spinte a dichiarare l’indipendenza delle due province anglofone dal Camerun e la nascita della Repubblica di Ambazonia. Ciò ha provocato un inasprirsi della tensione nelle due province, con scontri sempre più cruenti tra indipendentisti e forze dell’ordine, con centinaia di morti e feriti. Secondo le Nazioni Unite, 160 mila camerunesi anglofoni hanno abbandonato le loro case per cercare rifugio in altre zone del Camerun o all’estero, soprattutto in Nigeria. La Caritas nel giugno scorso ha lanciato una campagna di aiuto per le popolazioni delle zone anglofone. Si è creata una situazione “segnata da cieche, inumane, mostruose violenze e da una radicalizzazione delle posizioni che ci allarma molto” hanno affermato i vescovi in una dichiarazione della Conferenza episcopale del Camerun del 16 maggio 2018.
Etiopia
Violenze nell'Est, dell’Etiopia
“Sabato 4 agosto mi trovavo a Jijiga per la benedizione di una cappella su un terreno periferico distante dal capoluogo circa 5 km. Con me erano venuti 300 cattolici, tra questi una sessantina da Dire Dawa e Harar”, ha raccontato a Fides mons. Angelo Pagano, Vicario Apostolico di Harar trovatosi coinvolto in quello che si è trasformato in un tragico evento. “Dopo la Messa, prima della benedizione finale siamo soliti fare una processione con l’ostensorio intorno alla cappella nel terreno della missione, ma siamo rimasti bloccati da un incendio divampato in una chiesa ortodossa a 50 metri di distanza. Giovani armati di bastoni avanzavano verso di noi e hanno iniziato a lanciarci pietre. Tolti i paramenti sacri, insieme ad un anziano del villaggio, siamo andati a vedere cosa stesse accadendo. Siamo riusciti a parlare con alcuni giovani che comunque ci intimavano di andare via. Rientrando ci siamo imbattuti in un sacerdote che purtroppo era già morto e in un altro rimasto ferito che siamo riusciti a portare nel nostro compound. Siamo rimasti sotto assedio circa 6 ore, e nonostante avessimo chiamato la polizia somala, nessuno si è visto. Siamo riusciti a fare partire un po’ di gente con 4 o 5 macchine mentre una è stata attaccata e colpita con armi da fuoco senza fortunatamente feriti che poi sono scappati a piedi. Uno dei nostri cristiani, arrivato con un soldato, ci ha scortati con altre 4 macchine e siamo arrivati a Jijiga la notte.
Il giorno dopo abbiamo saputo che in 7/8 punti del nostro Vicariato di Harar (266 mila kmq) erano state bruciate 8/10 chiese ortodosse, uccisi sacerdoti, diaconi e gente che svolgeva varie mansioni nelle chiese. A noi cristiani è andata relativamente bene, sono i nostri fratelli cristiani-ortodossi che hanno sofferto davvero tanto”, commenta il Vescovo. “Abbiamo sentito il Signore molto vicino, è stato l’unico ad aiutarci. Non avevamo niente da poter offrire alle 500 persone che abbiamo accolto nei nostri compound della missione cattolica. Grazie alla collaborazione di tutti e dei 5 sacerdoti del nostro Vicariato insieme agli ortodossi siamo riusciti a sfamare tutti sentendoci una famiglia”, continua padre Angelo che come tutti i presenti ha vissuto una situazione molto difficile. "Il giorno dopo l’attacco abbiamo saputo che anche la nostra nuova cappella era stata distrutta. Non hanno potuto darle fuoco in quanto fatta di mattoni, ma hanno distrutto tutto quanto non siamo riusciti a portare via, immagini sacre, Crocifisso, generatori, ecc.”, ha commentato il Vescovo. “Il lunedì successivo il Presidente della Regione Somali, Abdi Illey ”, aggiunge padre Angelo, “ha convocato i leader religiosi e ci sono andato anch’io. Ha detto che lui vuole la pace e ci ha pregati di dire ai nostri cristiani di non vendicarsi perché lui sa che chi ha perpetrato quegli atti vandalici non sono altro che ladri. Io sono intervenuto facendo presente che secondo me non si è trattato di semplici ladri quanto di guerra di religione e che avrebbe dovuto vedere come si sono comportati i ribelli somali, come hanno attaccato solo luoghi di culto e come abbiano ucciso solo cristiani. Gli ho anche detto che, come lui ci ha invitati a diffondere la pace, altrettanto dovrebbero fare i leader musulmani dai loro minareti. Poi si è dovuto concludere l’incontro ed andare via in tutta fretta.”
Madagascar
Un nuovo cardinale per un paese che soffre
Mons. Désiré Tzarahazana, arcivescovo della diocesi di Toamasina e presidente della Conferenza episcopale del Madagascar è stato creato cardinale, assieme ad altri 13, nel concistoro del 29 giugno. La Fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” ha colto l’occasione per intervistarlo sulla situazione della Chiesa malgascia e su quella del suo paese.
Qual è la sfida principale per la chiesa nel suo paese?
L’evangelizzazione in profondità. Io mi pongo infatti questa domanda: perché ci troviamo in questa situazione così critica mentre c’è un aumento del numero dei cristiani (56%, secondo il recente “Rapporto mondiale sulla libertà religiosa”, ndr) e i nostri capi politici sono in maggioranza dei cristiani? Se fossimo veramente cristiani, non ci troveremmo in questa situazione. Di qui la domanda: qual è la profondità della nostra fede? Il numero va bene, ma non è l’essenziale. Se uno professa la sua fede e il giorno dopo defrauda il suo vicino o non si interessa affatto degli altri, allora si tratta di una fede che non è pienamente vissuta.
Vi siete anche confrontati con l’avanzata dell’islamismo?
Sì, la crescita dell’islamismo è tangibile! È visibile! È un’invasione. Col denaro dei paesi del Golfo e del Pakistan, comperano la gente: vediamo dei giovani partire per andare a studiare in Arabia saudita e quando ritornano in Madagascar sono degli imam. Abbiamo organizzato un incontro con gli imam per condividere le nostre preoccupazioni e uno di loro ha parlato. Era un ex seminarista. Ovviamente non si può dire che sia stato attirato dal denaro ma è ciò che avviene qui a causa della povertà. Esiste una vera pressione. Per esempio, nel Nord viene dato del denaro alle donne perché indossino il velo integrale, il burka, per la strada per far vedere l’espansione dell’islam nel Paese. E la sera rimettono i loro abiti normali.
Nella mia diocesi si costruiscono moschee dappertutto anche se non ci sono sufficienti musulmani. C’è un progetto per costruire 2.600 moschee nel Madagascar! Fanno anche venire dei musulmani in massa dalla Turchia, ed è un fenomeno che ci inquieta molto: una o due volte la settimana la compagnia aerea Turkish Airlines sbarca dei gruppi di musulmani che si installano nel Paese. In piena campagna, non si sa bene cosa facciano lì, ma si installano e non se ne partono più! La popolazione è povera ma il paese è ricco ed è enorme per 22 milioni di abitanti, quindi c’è dello spazio per loro.
Lo scorso anno ci sono stati numerosi attacchi contro conventi cattolici. Com’è la situazione oggi?
Questi attacchi un momento si calmano, poi riprendono. Purtroppo questo fenomeno di insicurezza continua ed è doloroso, sia nelle città come nelle campagne. La gente ha paura di andare a lavorare per l’insicurezza. E a causa dell’ingiustizia, la gente si fa giustizia da sé: oggi regna la giustizia popolare… Come vede, ci sono molte sfide da assumere per mettere ordine nel nostro paese.
Ci sono sufficienti preti per svolgere quell’evangelizzazione in profondità di cui lei parlava all’inizio?
Nella mia diocesi (Toamasina) io non ho sufficienti preti, per cui chiedo aiuto ai missionari e cerco di dare una buona formazione a tutti, cominciando dai seminaristi. Il numero dei seminaristi aumenta, ma a causa dell’estrema povertà che prevale dobbiamo sempre chiederci se si tratta di vere vocazioni o se c’è sotto un desiderio di sicurezza materiale. Perciò dobbiamo discernere bene. Inoltre, sempre a causa della povertà, non ci sono strade o mezzi di comunicazione per accedere alla popolazione di ciascun villaggio, è tutto molto difficile. La nostra sfida è di avere una stazione radio che trasmetta in tutti gli angoli della diocesi in modo che la parola della Chiesa possa essere ascoltata in ogni famiglia. E perché no, in seguito, anche una catena televisiva?
Pensa che papa Francesco verrà in Madagascar, come è stato proposto lo scorso mese di marzo? Quale messaggio attendete dal Papa?
Non posso prometterlo al 100%, ma ho questa speranza. Egli sa molto bene che noi lo vogliamo e c’è una grande probabilità che venga a visitarci l’anno prossimo. Ci sono molti messaggi che noi vorremmo ricevere, ma soprattutto che egli possa sottolineare l’importanza di essere giusti, di fermare la corruzione, e guidare bene il paese … perché tutti cerchino di essere dei buoni cittadini e buoni cristiani.
Colombia
Ancora un sacerdote assassinato a Medellín
Mercoledì 25 luglio, nelle ore serali, il sacerdote John Freddy Garcia Jaramillo, 50 anni, è stato trovato morto nella sua casa nel quartiere di Betlemme Los Almendros, nella zona sud-ovest di Medellín. Il corpo del sacerdote presentava ferite da arma da taglio.
Secondo le notizie pervenute all’Agenzia Fides una prima ipotesi della polizia ritiene che la sua morte sia il risultato di un tentativo di rapina. "Finora quello che dicono è che è stato un furto" ha commentato una parente del sacerdote, "perché hanno frugato nell'appartamento e la cassaforte era aperta". Don García Jaramillo apparteneva alla diocesi di Apartadó, ma lavorava come insegnante presso la scuola “San Ignacio de Loyola” di Medellín. Il sacerdote era conosciuto per il suo lavoro sociale nella comunità, dove stava portando avanti diversi progetti sociali nella regione delle banane. Non si conoscono altri dettagli dell’omicidio, ma si registra che la violenza nella zona è aumentata in modo considerevole, solo la settimana scorsa sono stati uccisi per rapina anche degli autisti di autobus.
a cura di Antonio Dall’Osto