Paganoni Antonio
Tra vuoti, crescita ed emigrazioni
2018/9, p. 24
I grandi cambiamenti che stanno avvenendo sul piano mondiale, non solo politico ed economico, ma anche demografico non risparmiano nemmeno il cristianesimo. Ciò che già si intravvede non è però facile da decifrare.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Il futuro cristianesimo
TRA VUOTI, CRESCITA
ED EMIGRAZIONI
I grandi cambiamenti che stanno avvenendo sul piano mondiale, non solo politico ed economico, ma anche demografico non risparmiano nemmeno il cristianesimo. Ciò che già si intravvede non è però facile da decifrare.
Le strade battute dalle religioni, nel mondo di oggi come nel mondo di ieri, sono caratterizzate dall’evoluzione e da rimescolamenti continui, in parte imprevisti o indesiderati, di etnie, società e interi continenti. Cambiamenti radicali si annunciano anche in campo economico. Il governo degli Stati Uniti non ha nascosto la sua preoccupazione quando il loro ascoltato centro di ricerca Goldman Sachs ha recentemente identificato le 4 nuove potenze a livello mondiale - Brasile, Russia, India e Cina – come concorrenti alla loro supremazia economica.
Lasciando da parte il concetto di concorrenza, anche in campo cristiano e cattolico abbiamo assistito, durante gli ultimi decenni, a smottamenti e ricomposizioni delle collettività di fedeli sparsi sul globo terra. Secondo Gianni Colzani (Teologia della Missione. Vivere la fede donandola, 1996) e Alberto Doneda (Chiesa in cammino. 2000 anni di storia della missione, 1993) il concetto stesso di missione è sottoposto a tensioni, successi altalenanti, speranze e programmazioni riviste.
L’esempio del Belgio
Olanda e Quebec
Solo alcuni decenni or sono, il Belgio e il Quebec in Canada venivano additati come modelli da imitare anche per la loro sensibilità missionaria, sia per il numero molto alto di missionari inviati nelle cosiddette terre di missione per portare il Vangelo di Cristo, sia per le risorse finanziarie messe a disposizione per una visione globale della fede cristiana. Inutile aggiungere che il dispiegamento di forze e risorse non sarebbe stato possibile senza una convinta partecipazione delle collettività cristiane di questi due paesi.
Che sia avvenuta una rapida battuta d’arresto in queste due nazioni, come sta avvenendo in altre, compresa l’Italia, a ritmi diversi, è sotto gli occhi di tutti. Le spiegazioni sono molteplici, ma alcuni fatti sono incontrovertibili. Il cattolicesimo in Belgio, così come in Olanda, sta letteralmente morendo. Nell'anno scolastico 2014-2015 si contavano in tutto il Belgio circa 100 seminaristi, di cui solo 20 al primo anno di cammino (ad Anversa, diocesi di mons. Bonny, con oltre 1 milione di abitanti, in tutto vi sono 4 seminaristi di cui 1 al primo anno); la partecipazione alla messa domenicale è ai minimi termini (sotto il 5%), il numero dei battesimi è intorno al 50% dei nati vivi registrati (era oltre il 90% nel 1967), quello dei matrimoni religiosi sotto il 25% (era intorno all’85% nel 1967). Interessante l’ affermazione del card. Godfried Dannels: la mal-aimée – Pauvrette Eglise (omelia di Natale del 2002).
Simile è la situazione in Quebec: era la regione più cattolica del Nordamerica, oggi è la più secolarizzata, con esiti gravi a tutti i livelli. Da qui lo smarrimento dei giovani, la caduta vertiginosa dei matrimoni, l'infimo tasso di natalità e il numero spaventoso di aborti e suicidi, per non parlare di alcune delle conseguenze che si aggiungono alle condizioni precarie degli anziani e della salute pubblica. Per finire, questo vuoto spirituale e culturale è mantenuto da una retorica anticattolica infarcita di cliché, che sfortunatamente si ritrova troppo spesso nei media.
Il fenomeno è stato commentato da papa Benedetto XVI, quando ha ricordato, all’apertura del sinodo dei vescovi (2008), che fin dagli albori dell’avventura cristiana "scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia". Vedi comunità del Medio Oriente.
Verso nuove geografie
del mondo cristiano
Solo un secolo fa l’ 80% circa dei cristiani viveva in Europa e in Nord America. Lo storico e sociologo americano, Philip Jenkins, suggerisce che il baricentro si sposterà nel 2050 in Africa, Sud America e Asia, con l’Africa che avrà circa un terzo dei credenti cristiani. Gli studiosi parlano e scrivono di Cristianesimo Globale. E a ragione. Per sua natura il cristianesimo non ha vincoli molto stretti con il territorio, qualsiasi territorio. Senz’altro tali legami sono meno vincolanti di quanto lo siano per l’Islam, per esempio, dove la Mecca in Sud Arabia rimane il suo centro focale e perno propulsivo.
Dopo la riforma protestante siamo stati abituati a pensare all’ Europa come al centro o organo direttivo da cui dipendono organismi periferici. La presenza di Roma, con il successore di Pietro, il sommo Pontefice, ha fissato, nella coscienza comune, Roma come “caput mundi”, con 3000 anni di storia all’attivo, fondata, secondo la leggenda, da due bambini abbandonati e sfamati da una lupa. Questa romanizzazione del mondo e la stessa visione cristiana stanno subendo movimenti tellurici. Non si prevede una loro crescita nè in intensità e neppure in frequenza.
Non sarebbe la prima volta nella storia del Cristianesimo. La sua nascita e diffusione nei primi e successivi secoli è avvenuta all’ interno di cornici, quali la Siria, la Palestina, l’Egitto e la Mesopotamia, con la creazione di centinaia di diocesi e arcidiocesi, ora completamente scomparse. Secondo Philip Jenkins (La storia perduta del Cristianesimo. Il millennio d’oro della Chiesa in Medio Oriente, Africa e Asia (V-XV secolo). Com’ è finita una civiltà, 2016):
«Gran parte di quello che oggi chiamiamo il mondo islamico era una volta cristiano. In queste aree ha continuato ad avere comunità importanti per molto tempo dopo le conquiste arabe. In pieno secolo XI almeno un terzo dei cristiani di tutto il mondo dimorava in Asia, mentre forse un decimo viveva in Africa: una cifra che quest’ultimo continente non avrebbe più raggiunto fino al 1960».
Il Cristianesimo divenne “europeo” intorno al 1450, un millennio dopo di quanto si crede normalmente, per essere messo sotto pressione, quasi un secolo più tardi, in seguito alla riforma protestante.
Oltre a non avere una fissa dimora, una volta per sempre, la fede cristiana manifesta uno spirito di adattamento notevole a nuovi climi e a nuove stagioni. Previsioni attendibili lasciano ipotizzare un inesorabile, ma massiccio spostamento demografico: se nel 1900 la popolazione europea rappresentava circa il 25% della popolazione mondiale, ora è scesa al 12% ed è prevista una ulteriore diminuzione al 7% nel 2050. Nel 1900 due terzi dei cristiani vivevano in Europa, seguita a distanza dal Nord America, con l’Africa quasi inesistente.
Nel 1900 vivevano in Africa circa 100 milioni di persone (6% della popolazione globale), nel 2005 gli africani hanno raggiunto il miliardo (15% della pop. globale) e, secondo stime attendibili, raggiungeranno i 2 miliardi nel 2040 (25% della popolazione mondiale). Delle dieci nazioni che manifestano un’accelerata crescita demografica, nove si trovano in Africa; le più “stanche e restie” si trovano in Europa, affiancate dal Giappone.
Flussi migratori
Oltre alle nazioni che registrano, a livello demografico, una accelerazione e/o decelerazione sostenuta, occorre menzionare le comunità nazionali a rischio. E cioè il club delle nazioni con economie fallimentari, guerre fratricide, governi fatiscenti e corrotti; nazioni incapaci appunto di far fronte a guerriglie ben organizzate, appoggiate anche da governi confinanti. Ogni anno il “Fondo per la Pace” ne pubblica una classifica: nelle prime 20 nazioni 11 sono nell’ Africa tropicale, a rischio di una paurosa quanto dannosa desertificazione. Tra le nazioni pericolanti in Africa vi sono la Nigeria, l’Etiopia, l’ Uganda e la Repubblica democratica del Congo.
Il “Corriere della Sera” (23 giugno 2018, pag. 6) ha presentato un “primo piano” quanto mai accurato dei flussi migratori, dal titolo: “Il divario che spinge a muoversi non si colmerà neanche tra 50 anni. In Europa redditi 11 volte maggiori che in Africa. Dove la popolazione cresce ancora”. E dunque, dietro le migrazioni, come una molla invisibile che scarica la sua forza inarrestabile sulle coste sud del Mediterraneo o seguendo la rotta balcanica, c’è il divario tra i redditi. Per coloro che sono in attesa sulle coste sud del Mediterraneo è la fame, o la prospettiva di un reddito dignitoso, il motivo determinante per fuggire dai loro paesi; per altri, nel Medio Oriente, sono soprattutto la persecuzione religiosa e i continui massacri di cristiani o di minoranze etniche e razziali. Vengono in mente alcuni fatti storici riguardanti la prima emigrazione di italiani (1870-1914). Allora lo sfruttamento iniziava in patria, ad opera degli scafisti del tempo (“mercanti di carne umana” li chiamava GB. Scalabrini), di autorità governative facilmente ricattabili e di compagnie di bandiera senza ritegno per le pericolose e indegne condizioni igieniche esistenti nelle stive dei grandi bastimenti. Ad alcune di queste fu ingiunto dalle autorità portuali di New Orleans, New York, Santos e Rio de Janeiro di ritornare al porto di partenza senza indugi di sorta. Gli storici del tempo hanno evidenziato che con molta probabilità il 20/25% dei passeggeri, nostri non lontani antenati, sono finiti in mare! Per non parlare delle condizioni lavorative e abitative, narrate con dovizia di particolari soprattutto da scrittori nord-americani, una volta che gli emigranti sbarcavano nelle enormi metropoli del Nord America o venivano assunti come braccianti nelle fazendas del Brasile o dell’Argentina.
Leopold Ranke (1795-1886), storico tedesco celeberrimo, perché fondatore del metodo scientifico, basato su documenti d’archivio, ha affermato più volte: tutti i periodi storici sono equidistanti dall’eternità e accessibili in modo immediato alla presenza di Dio.
Antonio Paganoni, Scalabriniano