Umili e grandi nel servizio e nella fede
2018/9, p. 13
Il prossimo 14 ottobre la Chiesa universale potrà
camminare in compagnia di sei nuovi santi: papa Paolo VI,
mons. Oscar Arnulfo Romero, i sacerdoti Francesco Spinelli
e Vincenzo Romano, sr. Maria Caterina Kasper
e sr. Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù.
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Testimoni
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Papa Paolo VI e mons. Oscar Romero, santi
umili e grandi
nel servizio e nella fede
Il prossimo 14 ottobre la Chiesa universale potrà camminare in compagnia di sei nuovi santi: papa Paolo VI, mons.Oscar Arnulfo Romero, i sacerdoti Francesco Spinelli e Vincenzo Romano, sr. Maria Caterina Kasper e sr. Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù.
Il 14 ottobre, in Piazza San Pietro, durante il Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani, papa Francesco proclamerà santi papa Paolo VI, l’arcivescovo martire Oscar Arnulfo Romero e altri quattro santi della carità: il lombardo don Francesco Spinelli (1853–1913), fondatore dell’Istituto delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento; il campano don Vincenzo Romano (1751-1831), il “prete degli operai”, parroco di Torre del Greco; la tedesca sr. Maria Caterina Kasper (1820-1898), fondatrice dell’Istituto delle Povere Ancelle di Gesù Cristo; la spagnola sr. Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù (1889-1943), fondatrice della Congregazione delle Suore Misioneras Cruzadas de la Iglesia.
Paolo VI: instancabile
e umile apostolo
Giovanni Battista Montini, Paolo VI, 262esimo successore di Pietro, nasce a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897. Ordinato sacerdote il 29 maggio 1920, nel 1924 è già aiutante nella Segreteria di Stato e riceve l’incarico di assistente sociale della F.U.C.I. fino al 1933. Nel 1944 diventa collaboratore di Pio XII che ne apprezzò la fedeltà e l’impegno, tanto da nominarlo nel 1952 pro-segretario di Stato e, in seguito alla morte del card. Schuster, nel 1954, arcivescovo di Milano; nel 1958 lo nominò cardinale.
Alla morte di Giovanni XXIII, sarà proprio Giovanni Battista Montini l’autorevole guida della Chiesa universale dal 1963 al 1978, divenendo anche il grande timoniere del Concilio Vaticano II.
I primi anni di pontificato di Paolo VI vedono il confronto con l'immagine ancora assai popolare di papa Giovanni XXIII, iniziatore del Concilio. Grande interesse suscita il suo primo viaggio in Terra Santa, (1964) e lo storico incontro con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Athenagoras, così come l'accorato messaggio rivolto all'Assemblea delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965: «… non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell'intera umanità!»
Dal 1968 al 1978 Paolo VI affronta il problema della riforma liturgica, le contestazioni provenienti sia da parte progressista sia da parte tradizionalista, il confronto tra Chiesa e mondo contemporaneo. A questo ambito appartengono le questioni sul celibato del clero e la contraccezione.
Sono gli anni del terrorismo delle Brigate Rosse; del sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, della svolta mondiale dalla "guerra fredda" e dal successivo "disgelo". Non indifferenti sono pure la questione ecumenica, il fenomeno della secolarizzazione e del dissenso cattolico, le numerose defezioni di sacerdoti e religiosi, i rapporti a livello politico tra la Santa Sede e i Paesi dell’Est europeo.
Paolo VI muore il 6 agosto 1978, lontano dai riflettori e dalle veglie di popolo – così come aveva desiderato – e in un giorno particolare, quello della Trasfigurazione: una festa che lui amava tanto da averla scelta, nel 1964, per pubblicare la sua prima enciclica, Ecclesiam Suam.
Quando il 19 ottobre 2014 fu proclamato beato, papa Francesco sottolineò nell’omelia quanto Paolo VI «abbia scrutato con coraggio cristiano i segni dei tempi», «instancabile apostolo», espressione di una «umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla Chiesa. In questa umiltà risplende la grandezza del beato Paolo VI che, mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante e talvolta in solitudine, il timone della barca di Pietro», guidando la Chiesa perché fosse «nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza».
«La Chiesa delle sue lacrime! Per molti anni questa fu spesso la sua Chiesa cattolica. Essa fu la sua felicità e il suo tormento. Egli ha sofferto con la Chiesa. Ha sofferto per la Chiesa. Ha sofferto a causa della Chiesa. Come nessun altro. Con la Chiesa egli costituiva un corpo. Come nessun altro! In verità «tutte le piaghe della Chiesa si ripercuotevano in lui». Nessuno saprà mai quanto quest'uomo sia stato ferito da coloro stessi, per i quali aveva offerto la vita».
Autorevole Magistero
per tempi nuovi
Paolo VI, fin dall’ inizio del suo pontificato, comunica con la Chiesa e col mondo anche mediante numerose esortazioni apostoliche e lettere encicliche. Nel 1971 indirizza a tutti i consacrati l’esortazione apostolica Evangelica Testificatio; per l’Anno Santo 1975 si rivolge a tutto il mondo con la Gaudete in Domino, cui seguirà nel dicembre 1975 l’Evangelii Nuntiandi perché la Chiesa sia capace di uscire verso il mondo, come chiesa “samaritana”, “ancella dell’umanità”.
Nel 1974 Paolo VI consegna alla Chiesa e al popolo cristiano l’esortazione Marialis Cultus già preceduta da due encicliche: Mense Maio (1965) e Christi Matri (1966) in cui sono indicate suppliche alla Beata Vergine Maria per i mesi di maggio e di ottobre. Nel 1965 esce anche l’enciclica Mysterium Fidei sulla dottrina e il culto della ss. Eucaristia.
Paolo VI si dimostra, da una parte, prudente in alcune aperture d’ordine disciplinare o ecumenico e, dall’altra, sensibile ai problemi del Terzo Mondo e della pace mondiale con richiami autorevoli alla responsabilità dei cristiani e della società civile. La lettera apostolica Octogesima Adveniens (1971) rivela la sua condanna dell’ideologia marxista e del liberalismo capitalistico, ma anche la sua sensibilità sociale. Con particolare coraggio e spirito pastorale affronta il problema della fede e dell’obbedienza alla gerarchia, del celibato e della formazione sacerdotale con l’enciclica Sacerdotalis Caelibatus (1967) e la questione della regolamentazione delle nascite con l’enciclica Humanae vitae (1968).
Coraggio e determinazione sono manifestate anche con la Populorum Progressio del 26 marzo 1967 che ben si colloca accanto al documento conciliare Gaudium et Spes (1965). Paolo VI scrive con grande libertà intellettuale, denuncia «lo scandalo di disuguaglianze clamorose» senza usare mezzi termini: «La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto».
Le sue parole sono vibranti e commosse: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia». Non intervenire, significherà affrontare «la collera dei poveri». Paolo VI scrive in un mondo segnato da profonde disuguaglianze e trasformazioni. L’Europa aveva compiuto la ricostruzione dopo la guerra, dividendosi lungo la cortina di ferro, e il processo di integrazione a Ovest si sviluppava in parallelo al superamento del sistema coloniale.
I Paesi africani, da poco indipendenti, affrontavano la sfida della povertà, ricevendo aiuti dagli ex colonizzatori, ma dovendo competere commercialmente con loro nel mercato internazionale, scontando il prezzo del ritardo tecnologico e della debolezza politica negli accordi commerciali.
Il tema dello sviluppo entrava nel dibattito internazionale e Paolo VI lo pone al centro dell’impegno della Chiesa e della dottrina sociale; nata nel 1891 con la Rerum novarum di Leone XIII, sulla questione operaia, questa si era sviluppata anche sul tema della pace con i Radiomessaggi di Pio XII e la Pacem in Terris del 1963 di Giovanni XXIII.
Mons. Romero: la voce
dei senza voce
Oscar Arnulfo Romero Galdamez nasce a Ciudad Barrios (El Salvador), il 15 agosto 1917 in una famiglia povera e numerosa. Avviato, appena dodicenne, come apprendista presso un falegname, a 13 anni entra nel seminario minore di S. Miguel e poi, nel 1937, nel seminario maggiore di San Salvador retto dai Gesuiti. All'età di 20 anni fa il suo ingresso all'Università Gregoriana a Roma dove si licenzierà in teologia nel 1943, un anno dopo essere stato ordinato sacerdote. Rientrato in patria si dedica con passione all'attività pastorale come parroco.
Diventa direttore della rivista ecclesiale “Chaparrastique” (dal nome del vulcano) e, subito dopo, direttore del seminario interdiocesano di San Salvador. In seguito è segretario della Conferenza episcopale dell'America Centrale e di Panama. Sono gli anni della Teologia della liberazione, che mons. Romero non condividerà mai completamente. Liberación doveva significare nient’altro che salvación intesa come “salvezza integrale” di cui parlava anche Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi, la teologia della salvezza di Cristo venuto a redimere dal peccato. Per lui, i poveri – sempre al centro della sua attenzione pastorale – non dovevano essere collocati in categorie ideologiche. I poveri avevano un posto d’onore nel cristianesimo, perché così sta scritto nel Vangelo.
Nel 1970 è nominato da papa Paolo VI vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di San Salvador e nel 1977 arcivescovo, proprio quando nel Paese infierisce la repressione sociale e politica. Sono ormai quotidiani gli omicidi di contadini e oppositori del regime politico, i massacri compiuti da organizzazioni paramilitari, protette e sostenute dai vari regimi che si alternano al governo del Paese dal 1977 al 1980.
Il prezzo dell’amore
per i poveri
Il 12 marzo 1977 è assassinato Rutilio Grande García, gesuita e collaboratore di mons. Romero, difensore delle fasce sociali più povere e sfruttate. La morte di Rutilio colpì profondamente Romero, che tempo dopo disse: «Quando guardai Rutilio che giaceva morto davanti a me pensai: “Se lo hanno ucciso per ciò che faceva, allora io devo seguire il suo stesso sentiero”». Mons. Romero da allora sceglie la strada della denuncia contro le violenze e le ingiustizie in difesa dei diritti umani, condanna gli assassinii e le torture nei confronti degli oppositori politici, rivolge le sue accuse contro il clima di intimidazione creato dal Governo e si schiera apertamente a favore dei più poveri.
La cattedrale della capitale salvadoregna diventa il luogo in cui al commento della Parola di Dio segue l’elenco puntuale, dettagliato, dei desaparecidos, degli assassinati della settimana e, quando possibile, anche dei loro assassini o mandanti. Mons.Romero invita anche i militari alla disobbedienza: «Vorrei rivolgere un invito particolare agli uomini dell’esercito. Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini; ma davanti ad un ordine di uccidere che viene da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine che sia contro la legge di Dio. Una legge immorale nessuno deve adempierla. È ora, ormai, che recuperiate la vostra coscienza e obbediate anzitutto ad essa, piuttosto che all’ordine del peccatore. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, della legge di Dio, della dignità umana, della persona, non può rimanere in silenzio di fronte a così grande abominazione. Vogliamo che il governo si renda conto sul serio che non servono a niente le riforme se sono macchiate con tanto sangue. In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: Basta con la repressione!».
Il martirio
in “odium fidei”
Nonostante le continue minacce alla sua sicurezza, Romero continua a tenere i suoi discorsi. Le chiese dove parla sono spesso così piene che bisogna tenere le porte aperte mentre i fedeli si affollano all’esterno. E così è anche il 24 marzo 1980, nella piccola chiesa della Divina Provvidenza: durante la consacrazione eucaristica, un’automobile arriva davanti alla chiesa e viene parcheggiata proprio davanti all’ingresso. L’entrata della chiesa è spalancata. Dall’auto esce un uomo solo che prende la mira e spara un solo colpo. Oscar Romero, proprio nel momento in cui sta elevando il calice nell'Eucaristia, cade assassinato. Le sue ultime parole erano state ancora per la giustizia: «In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo e il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza».
Romero sapeva che la sua attività gli aveva procurato numerosi nemici e che la sua vita era a rischio. Nei suoi ultimi discorsi ricorreva spesso il tema del martirio e del suo sacrificio per la causa dei poveri e degli oppressi. «Come cristiano – diceva – non credo nella morte senza risurrezione. Se mi uccideranno, risorgerò nel popolo salvadoregno».
Nessun individuo né alcuna organizzazione vennero mai condannati o rivendicarono l’assassinio. I responsabili, però, sono ritenuti quasi all’unanimità le squadre della morte paramilitari che all’epoca erano comandate dall’ex maggiore dell’esercito Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore.
Nel 1983 papa Giovanni Paolo II, nella sua prima visita a El Salvador, pregò sulla tomba di Romero nonostante l’opposizione del governo e della chiesa locale. D’altra parte anche dal Vaticano l'attività di mons. Romero era vista con una certa diffidenza: pur apprezzando le sue capacità, si temeva che la sua attività fosse falsata da motivazioni ideologiche, tanto che da alcuni era accusato di essere un marxista comunista e da altri un conservatore reazionario.
La causa di beatificazione, proposta da Giovanni Paolo II nel 1997, fu però avviata solo nel 2012 da Benedetto XVI e conclusa da papa Francesco nel 2015, con la proclamazione avvenuta a El Salvador.
E il 14 ottobre Romero si ritroverà riconosciuto “santo” insieme a Paolo VI, del quale c’è un ricordo particolare nel diario dell’arcivescovo salvadoregno, dopo la sua ultima udienza con papa Montini: «Paolo VI mi ha stretto la mano destra e l’ha trattenuta a lungo fra le sue mani…. Comprendo il suo difficile lavoro (gli disse il Papa ndr), è un lavoro che può essere incompreso e ha bisogno di molta pazienza e fortezza… ma vada avanti con coraggio, con pazienza, con forza, con speranza».
Anna Maria Gellini