Che cosa possiamo fare insieme?
2018/9, p. 10
Il documento è un testo corposo che affronta questioni
delicate quali le strutture e i processi decisionali delle due
Chiese, ed esplora le modalità per il mantenimento della
comunione fra esse ad ogni livello. È un importante passo
in avanti nei rapporti tra le due Chiese.
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Testimoni
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Anglicani-cattolici: il documento di Erfurt
CHE COSA POSSIAMO
FARE INSIEME?
Il documento è un testo corposo che affronta questioni delicate quali le strutture e i processi decisionali delle due Chiese, ed esplora le modalità per il mantenimento della comunione fra esse ad ogni livello. È un importante passo in avanti nei rapporti tra le due Chiese.
La storia è nota. Sorta in conseguenza dell’Atto di Supremazia di re Enrico VIII (1534), preceduto dalla scomunica da parte di Roma, quasi dai suoi esordi la chiesa anglicana si è presentata, nei fatti, come una sorta di terza via tra protestantesimo e cattolicesimo, storicamente divisa fra due movimenti detti chiesa alta (filo-cattolica) e chiesa bassa (filo-protestante). Sin da pochi decenni dopo la rottura, del resto, una delle cifre principali in grado di definire l’identità della Church of England fu la comprehensiveness, la volontà di conciliare diverse tradizioni teologiche, liturgiche e culturali. Non è senza significato, dunque, che nel decreto del Vaticano II Unitatis redintegratio (1964), che spalancò finalmente le braccia dei cattolici al movimento ecumenico, vi si faccia riferimento con la seguente menzione: “Tra quelle (comunioni) nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e le strutture cattoliche, occupa un posto speciale la Comunione Anglicana” (n.13). Una cornice nella quale vanno inquadrati non solo la storica visita del 23 marzo 1966 dell’arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey a papa Paolo VI, ma anche e soprattutto il successivo lavoro della Anglican-Roman Catholic International Commission (in sigla ARCIC, avviato nel 1970) e della International Anglican-Roman Catholic Commission for Unity and Mission (IARCCUM), che hanno prodotto nel tempo una serie di dichiarazioni dottrinali, con l’intenzione di fornire basi realistiche per una sempre più piena e visibile unione. Fra le tappe condivise sul versante teologico, va segnalata almeno l’uscita nel 2005 del documento congiunto su Maria: grazia e speranza in Cristo, centrato sull’affermazione per cui, quando Maria è vista chiaramente in relazione a Cristo e alla Chiesa, non provocando una diminuzione rispetto all’unico ruolo salvifico di Cristo stesso, la devozione a lei non rappresenta un ostacolo per le relazioni anglicano-cattoliche.
I passaggi positivi
dopo il Vaticano II
Certo, dal Vaticano II a oggi non si sono dati solo passaggi positivi, per i rapporti bilaterali fra le due chiese, specialmente in conseguenza della storica decisione anglicana di aprire la strada del presbiterato alle donne (1992). Diciassette anni dopo, nel 2009, Benedetto XVI promulgherà la costituzione apostolica Anglicanorum cœtibus per regolare il passaggio al cattolicesimo di preti e fedeli provenienti da quella confessione. Lo scorso anno, poi, il 26 febbraio 2017, Francesco è stato il primo papa – una delle sue tante prime volte! – a varcare la soglia della romana chiesa anglicana di All Saints, posta in quello che un tempo era noto come il quartiere inglese della capitale, indicando nell’occasione la strada per accrescere i rapporti delle due confessioni cristiane: un passato da lasciare alle spalle e un futuro, auspicabilmente, da costruire insieme, “liberi dai rispettivi pregiudizi”, e operando con umiltà per le sfide del nostro tempo. “Non facciamo tutte le cose uguali, ma camminiamo insieme”, aveva sottolineato Bergoglio, con un’espressione che, com’è noto, gli è particolarmente congeniale. Continuando così: “Non so se storicamente si può dire, ma ci aiuterà a capire: due passi avanti e mezzo passo indietro, ma dobbiamo andare avanti. E dobbiamo continuare così. Per il momento va bene, ogni giorno la sua preoccupazione”.
Il documento
“Camminare insieme”
Ora, la commissione ufficiale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e quella anglicana- siamo dal 2011 nella fase dell’ARCIC III – ha postato online, il 2 luglio scorso, il documento dall’evocativo titolo “Camminare insieme lungo la strada: imparare a essere Chiesa – locale, regionale, universale (Walking together the way – Learning to Be the Church — Local, Regional, Universal)”, elaborato lo scorso anno a Erfurt, in Germania (storica città cara alla tradizione protestante, in quanto vi studiò e vi divenne monaco agostiniano Martin Lutero, scelta per celebrare il cinquecentenario luterano), dal 14 al 20 maggio 2017. Si badi: oltre un anno di attesa per un testo scritto, segnale, una volta ancora, del fatto che in ambito ecumenico ogni parola, ogni espressione è necessario sia accuratamente soppesata, anche per evitare spiacevoli incidenti di percorso. E finalmente, dopo sette anni di riunioni e consultazioni congiunte e altrettanti incontri ufficiali fra le due delegazioni teologiche, è sensato sostenere che l’appuntamento di Erfurt abbia prodotto un notevole avanzamento nella rispettiva reciproca comprensione ecclesiologica (come coglieranno soprattutto gli specialisti, ma i cui riflessi, nel tempo, potranno aversi anche a livello della base ecclesiale).
Si tratta di un testo corposo: sessantotto pagine che affrontano questioni delicate quali le strutture e i processi decisionali delle due chiese, esplorando le modalità per il mantenimento della comunione fra esse a ogni livello, locale e universale. Vi si ammette apertamente che le strutture di gestione presentano un urgente bisogno di riforme, analizzando le modalità di comunione con le altre chiese, ed esaminando le condivisioni dei principali aspetti teologici e le differenti modalità e strutture, basate sugli stessi principi comuni, attraverso le quali le due chiese giungono alle decisioni finali. Nonostante “diverse difficoltà” e alcuni “ardui problemi” riscontrati nel corso degli appuntamenti annuali, i teologi anglicani e cattolici impegnati nell’ARCIC III, come riferiscono le fonti ufficiali, sono riusciti a concludere la prima parte del loro mandato e a conseguire un accordo a partire – appunto – da come le due chiese sono strutturate a tutti i livelli: “Anglicani e cattolici devono vedere gli uni negli altri delle comunità in cui lo Spirito santo è vivo ed è attivo”, si legge, significativamente, nell’incipit del documento.
Imparare
gli uni dagli altri
La commissione ha adottato la metodologia dell’ecumenismo ricettivo, nel senso che nel testo ciascuna parte riconosce le difficoltà e le tensioni presenti negli strumenti di comunione che operano a vari livelli nella Chiesa e tenta di individuare ciò che può essere appreso in maniera positiva dagli altri partner ecumenici. In questo senso, il co-presidente cattolico, Bernard Longley, dal 2009 arcivescovo di Birmingham, e il co-presidente anglicano, l’arcivescovo neozelandese David Moxon, fino al giugno 2017 rappresentante di Canterbury presso la Santa Sede, nel presentare ai media “Camminare insieme lungo la strada”, hanno messo in rilievo che il documento punta a sviluppare le questioni dell’autorità e della comunione ecclesiale in un modo nuovo. In effetti, comprendere come la chiesa cattolica e la comunione anglicana strutturano l’esercizio dell’autorità a livello locale, regionale e globale appare in buona sostanza rilevante anche per capire come ogni realtà discerne il suo insegnamento e le sue pratiche persino su questioni spinose, ad esempio in materia di etica e di teologia morale (tradizionale terreno di scontro fra le diverse chiese nell’ultimo quarto di secolo). I due co-presidenti si sono soffermati particolarmente sul fatto che il testo esamina le strutture che ogni Chiesa utilizza per conservare la sua comunione globale, allo scopo di capire quanto realmente tali strumenti siano al servizio dell’unità. Un compito che, in effetti, richiede in primo luogo una valutazione spassionata e una certa dose di autocritica: il coraggio di guardare a noi stessi onestamente e di imparare dall’altro. Questa prima dichiarazione concordata da ARCIC III, pertanto,“rappresenta un importante passo avanti metodologico e sostanziale per l’ecumenismo cattolico-anglicano”, ed è altresì “al servizio della riforma ecclesiale sia nella tradizione anglicana sia nella tradizione cattolica”, ha dichiarato al Catholic News Service Paul Murray, membro cattolico della commissione e docente di Teologia presso la Durham University nel Regno Unito.
Il documento, che la commissione stessa indica come materiale destinato alla discussione all’interno delle Chiese coinvolte, è diviso in sei capitoli, tre dei quali esaminano come ogni chiesa esercita l’autorità a livello locale, regionale e mondiale. Punto centrale di tale esame è il modo in cui le due comunità ecclesiali bilanciano il loro processo decisionale tra i livelli locali e quello universale. Vi si menziona al riguardo, ad esempio, come nella comunione anglicana, a differenza che nella tradizione cattolica, le singole realtà regionali o nazionali abbiano la possibilità di assumere decisioni sulla condivisione dell’eucaristia con altre chiese: “Questa differenza tra le nostre due tradizioni – afferma il rapporto – va al cuore di una differenza di comprensione e della struttura tra la Chiesa cattolica romana e le Chiese della comunione anglicana”.
Un’analisi
fatta con franchezza
Vengono poi esaminate con franchezza anche le tensioni nella pratica della comunione all’interno di ogni chiesa, a volte presentando separatamente le due prospettive, rendendo quindi ancora più chiaro quando ogni chiesa parla specificamente della propria esperienza. Tra le considerazioni che affiorano non mancano inoltre domande su come e cosa la chiesa di Roma possa apprendere dall’esperienza ecclesiale degli anglicani, fino ad ammettere: “La pratica anglicana di attribuire un ruolo deliberativo ai sinodi e all’autorità investitrice negli strumenti regionali di comunione indica che il Sinodo dei vescovi potrebbe avere un ruolo deliberativo, e suggerisce ulteriormente la necessità per la chiesa cattolica romana di articolare più chiaramente l’autorità delle conferenze episcopali”.
In tale prospettiva, come ha evidenziato il teologo australiano Ormond Rush presentando il testo a nome del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, “vi sono molti parallelismi tra le possibilità di apprendimento recettivo per la chiesa cattolica” proposte da questo documento, e “la visione di papa Francesco per il rinnovamento e la riforma secondo il concilio Vaticano II. In altre parole, la tradizione anglicana ha molto da offrire per trasformare il concilio in realtà”.
Quasi a rilanciare la riflessione di papa Francesco nel recente evento del 21 giugno a Ginevra, in occasione delle celebrazioni per il settantesimo del Consiglio ecumenico delle Chiese: “Chiediamoci allora: che cosa possiamo fare insieme? Se un servizio è possibile, perché non progettarlo e compierlo insieme?”. Domande essenziali, per chiese che si spera si facciano finalmente consapevoli di quanto le rotture interne siano una tremenda controtestimonianza evangelica nel mondo. E un altro passo, quello racchiuso in “Camminare insieme lungo la strada”, verso l’uscita dal classico inverno ecumenico, ma soprattutto verso una necessaria, agognata e finalmente realistica primavera.
Brunetto Salvarani