Rosati Domenico
Un governo "politico" in cerca di politica
2018/7, p. 17
C’è una notizia buona: abbiamo un governo. Un governo politico, espressione delle forze che hanno primeggiato nelle elezioni del 4 marzo. Ci sono voluti tre mesi per farlo nascere e, in essi, uno straordinario esercizio di paziente iniziativa del Presidente della Repubblica.

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Testimoni
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Un governo all'Italia
Un governo “politico”
in cerca di politica
C’è una notizia buona: abbiamo un governo. Un governo politico, espressione delle forze che hanno primeggiato nelle elezioni del 4 marzo. Ci sono voluti tre mesi per farlo nascere e, in essi, uno straordinario esercizio di paziente iniziativa del Presidente della Repubblica.
Con la minaccia, direbbero i cacciatori, di quel… colpo di seconda canna che è stato rappresentato dall’incarico “neutrale” a Carlo Cottarelli, prontamente ritiratosi una volta raggiunto l’obiettivo di persuadere i due primattori ad accordarsi non solo su un copione condiviso ma anche sulla figura del “terzo” da designare come Presidente del Consiglio.
La notizia meno buona
E c’è una notizia meno buona: abbiamo “questo” governo che, soprattutto dopo l’avvenuta presentazione in Parlamento, mostra con ogni evidenza tutte le crepe, e le magagne, di un assemblaggio in cui le istanze delle componenti continuano a prevalere sulla necessità di una sintesi in grado di dare significato e senso di marcia ad una compiuta operazione politica.
Ma tant’è, tutto non si può avere. E poi, come dicono in Puglia, “questi sono i buoi e con questi devi arare”. Oppure, con espressione più nobile: “Questa è la democrazia, bellezza”.
Per cui non è consentito, per una qualsiasi buona ragione, di contestare l’esito del voto, specie da parte di chi, avendone la facoltà e i mezzi, non ha fatto tutto quel che sarebbe stato necessario per far decollare la legislatura su basi diverse da quelle con cui ci si deve misurare.
Il discorso del “garante”
Quel che precede, d’altra parte, non impedisce di dare svolgimento critico alle considerazioni che suggerisce la conoscenza, ormai ufficiale, delle intenzioni del nuovo esecutivo, così come risultano dalle dichiarazioni rese al Senato e alla Camera dal Presidente del Consiglio, il prof. Giuseppe Conte, nella sua veste di “garante” (è l’espressione che ha usato) del “contratto” tra Movimento5Stelle e Lega su cui il governo si regge.
Prima della seduta, il Presidente Conte, scherzando con i giornalisti, ha detto che il discorso glielo avevano scritto Di Maio e Salvini. Non è vero. Lo aveva steso di suo pugno. Ma solo per parafrasare, spesso in modo letterale, gli aridi paragrafi del “contratto” di cui si faceva portavoce.
L’applauso bipartito
Più delle parole, poi, valeva l’immagine del trio che continuamente lo schermo riproponeva: lui, il presidente, tra i due alfieri dell’intesa contrattuale. I quali sembravano attenti in particolare al dosaggio dei punti programmatici di pertinenza, ciascuno di quelli della sua parte.
A me è accaduto di notare (ma non so se è una perfidia) che ognuno dei due dava il via all’applauso della propria parte, un po’ come fanno a teatro i capi della claque. E gli applausi sono stati tanti e pure equamente distribuiti.
Così l’impressione era che ognuno applaudisse o facesse applaudire il “proprio” governo, come in fondo sarebbe stato… naturale in presenza dei due vincitori, come dopo il voto s’era detto e ripetuto.
Il soffio del vento nuovo
Fin qui il folclore. Ora qualche notazione di contenuto. La prima è sul “cambiamento”, come connotato essenziale del nuovo governo. Cambiamento che sarebbe l’esito del “vento nuovo” che le urne hanno rivelato e che si è materializzato nell’epifania di un “populismo” che corrisponde ad una attitudine ad “ascoltare il popolo” e a dare risposta alle sue attese.
E qui l’accento cadeva su una visione di popolo come entità univoca, capace di esprimersi con una voce sola e dunque appagabile con una sola risposta.
La democrazia diretta
I buongustai della politica hanno qui tutto lo spazio per sottolineare le assonanze tra una simile visione e quella riassunta nel concetto rousseauiano della “volontà generale”, anticamera, non solo in Francia, di soluzioni autoritarie.
La presenza di un ministro dedicato alla “democrazia diretta” non può non destare la curiosità di sapere (ma con rapidità e precisione) a che cosa ci si riferisce, se soltanto all’introduzione del “referendum propositivo” (già incluso in altre ipotesi di riforma) oppure a qualcosa che abbia parentela con il mondo degli algoritmi, della rete e delle piattaforme informatiche che sono all’origine dell’esperienza dei 5Stelle.
Domanda decisiva
È un punto da tenere sotto osservazione, fosse soltanto per non rimanere sorpresi quando, in un futuro non remoto, ci si dovesse trovare di fronte alla diffusione di massa delle indicazioni di sondaggi qualificati che certifichino non importa quale opzione economica e sociale come espressione di una (a quel punto inconfutabile) volontà popolare. Le sorprese del “Pericle elettronico” non sono state ancora tutte esplorate.
Il lettore perdonerà l’insistenza su un passaggio come quello evocato. Ma, siccome più volte e da più parti si sono sollevati interrogativi sulla natura e sulle implicazioni della democrazia diretta, non è il caso di accontentarsi di vederne rubricato il concetto nel catalogo dei ministeri senza passare a domande impegnative che esigono risposte puntuali.
In lista d’attesa
Su questo l’analisi critica merita di essere esercitata, piuttosto che sulla… lotteria dei punti programmatici che saranno attuati e di quelli che resteranno sulla carta.
Qui basterà annotare che sulle due scelte significative dei due contraenti (per la Lega la flat tax e per i 5Stelle il reddito di cittadinanza) ci sarà da aspettare alquanto. La “tassa piatta” sarà infatti adottata dapprima per le imprese e poi per le famiglie (nel giro di due anni) mentre il “reddito di cittadinanza” sarà istituito solo dopo che saranno stati adeguati, in qualità e quantità i “centri per l’impiego”, organismi senza i quali c’è il rischio di girare a vuoto o di dar luogo ad abusi che appesantiscono gli oneri.
Scalpi a buon mercato
L’elenco dei provvedimenti da adottare resta comunque nutrito e c’è da prevedere che una precedenza sarà accordata a quelli che costano meno e appagano di più l’aspettativa popolare.
Non si va lontano dal plausibile se si immagina che a giungere per primi al traguardo saranno lo “scalpo” dell’abolizione dei vitalizi per gli ex parlamentari (gradito ai 5Stelle) e l’estensione della “legittima difesa” in caso di rapina in casa (patrocinato dalla Lega).
Due vie per i migranti
Sui migranti si agirà per due vie complementari: gli accordi di contenimento (pista già aperta dal governo Gentiloni) e le modifiche della disciplina europea d’accoglienza, a partire dai richiedenti asilo.
Restano sospese in attesa di specificazioni l’intenzione di imporre uno stop al “business dei migranti” , il “daspo ai corrotti” e altre misure moralizzatrici.
Europa con omissis
Più chiari, invece, i riferimenti all’Europa, intesa come “casa nostra” e da realizzare “più forte ed equa”, agli Stati Uniti come alleato privilegiato, sia pure con un bilanciamento “pro Russia” nel senso di alleviare le sanzioni che la colpiscono.
Gli osservatori hanno infine notato che della materia che ha rischiato di far saltare il governo prima che nascesse, e cioè la questione dell’euro – a proposito della quale il Presidente Mattarella ha bocciato la nomina del prof. Paolo Savona a ministro dell’Economia – non c’è traccia nell’intervento di Conte. Si capisce che l’argomento non invita a vaste dissertazioni, ma il non parlarne alimenta incertezze e sospetti.
Prima nota…
Allo stesso modo, la mancata indicazione delle coperture finanziarie per i provvedimenti economicamente più impegnativi, inclusa la revisione della legge Fornero, lascia in bocca l’amaro di una sciatteria che stona a confronto con i propositi di innovazione e di diversità con i… pasticci del passato.
Quella che precede è soltanto una prima nota sul governo Conte. In genere, quando un governo nasce, si usa fare un pronostico sulla sua durata, specie in Italia dove i “governi di legislatura” sono in nettissima minoranza.
In corso d’opera…
Ma ogni governo, nel momento in cui nasce, ha da misurarsi con le proprie ambizioni. Quello testé varato dichiara, per bocca dei suoi promotori, di avere una speranza di vita di cinque anni. È doveroso augurarglieli ma è giusto dubitarne. E il dubbio non è stato fugato dalla presentazione parlamentare di cui s’è dato conto, nella quale sembra aver prevalso l’esigenza di manifestare una… fedeltà contrattuale rispetto allo slancio creativo di un’impresa impegnativa e ardimentosa.
Il Presidente del Consiglio, sia pure con espressioni un po’ contorte, ha auspicato, alla fine del suo intervento, che il “contratto” possa ottenere nuove adesioni in corso d’opera. Ma in corso d’opera può anche avvenire che, nel contatto con la realtà effettiva dei problemi e con le relative responsabilità di conduzione, si possano rivedere clausole astratte o impraticabili. Un governo politico potrebbe solo giovarsi di un di più di politica.
Domenico Rosati