Boni Elena
Laurea ad honorem al card. Ravasi presso l’Università di Bologna
2018/7, p. 11
Il 16 giugno l’Università di Bologna ha conferito al card. Gianfranco Ravasi la laurea honoris causa in Filologia, letteratura e tradizione classica. È un evento che rappresenta uno degli avvenimenti più solenni nella vita di un’Università.

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Laurea ad honorem al card. Ravasi presso l’Università di Bologna
Il 16 giugno l’Università di Bologna ha conferito al card. Gianfranco Ravasi la laurea honoris causa in Filologia, letteratura e tradizione classica. È un evento che rappresenta uno degli avvenimenti più solenni nella vita di un’Università.
Antichità e modernità
Il rettore dell’Alma Mater Francesco Ubertini ha introdotto la cerimonia sottolineando la funzione vitale che lo studio e la scienza hanno nei nostri tempi. Del card. Ravasi ha lodato la grande statura quale uomo di fede e di cultura, che si è espressa soprattutto nelle funzioni di prefetto della Biblioteca ambrosiana e di presidente del Pontificio consiglio della cultura. Nella «incredibile esperienza» di Ravasi si concentrano «secoli e secoli di cultura, di parole, di arte», che tuttavia non perdono la loro attualità, come dimostrano due esempi cari all’ingegnere civile Ubertini. Il primo è la recentissima partecipazione della Santa Sede alla Biennale di architettura di Venezia, con un padiglione spettacolare, formato da dieci cappelle progettate da altrettanti architetti. Il secondo è l’utilizzo accorto e costante dei social media per comunicare con un vasto pubblico, attività che si affianca alla copiosa produzione pubblicistica; il card. Ravasi porta così piccoli frammenti di cultura «nobile» dentro le dimensioni ristrette dei social.
Scienza e fede
Il conferimento del titolo a Ravasi, che già vanta numerose lauree honoris causa, è stato proposto dal prof. Ivano Dionigi, filologo e latinista, già rettore dell’Università di Bologna e dal 2012 presidente della Pontificia accademia latinitatis voluta da Benedetto XVI. Dionigi ha introdotto le motivazioni della proposta con la domanda che già fu di Tertulliano e san Girolamo: che cosa c’entrano Atene con Gerusalemme, i classici con la Bibbia, un cardinale con l’Università statale che è, per sua natura, laica? Con i suoi studi e le sue oltre mille pubblicazioni, Ravasi ha avuto il merito di ricordare all’Occidente che la sua cultura ha due matrici classiche intersecate e, per molti versi, inscindibili: quella greco-romana e quella giudaico-cristiana. Egli ha dimostrato a parole e con i fatti un principio noto a ogni studioso serio: la laicità non è antitetica alla fede, bensì è presupposto necessario di ogni ricerca culturale e scientifica.
Teologia e classicità
Il prof. Francesco Citti, direttore del Dipartimento di filologia classica e italianistica, ha illustrato le motivazioni con cui il Consiglio ha approvato la laurea. Mons. Ravasi, esperto di molteplici discipline nonché eclettico divulgatore, è un «campo magnetico di forze intellettuali». Oltre alle numerose ricerche sul rapporto fra continuità e discontinuità, fra teologia e classicità, Citti ha ricordato l’esperienza del Cortile dei Gentili, spazio di dialogo fra credenti e non credenti voluto da Ravasi, che proprio a Bologna fece un’importante tappa dedicata al tema del tempo nel 2014. Tale esperienza realizza una Pentecoste laica, in cui miracolosamente si comprendono tra loro uomini che parlano ciascuno la propria lingua.
Parola e parole
Dopo la solenne proclamazione, il neo-laureato ha tenuto la sua lezione dottorale, incentrata sul tema della Parola, del Verbo quale manifestazione privilegiata del divino. Fin dalla Genesi l’azione creatrice di Dio si svolge attraverso la parola; e il decalogo, che tanto ha influenzato la cultura occidentale anche laica, è manifestazione diretta della parola di Dio. Nella Bibbia la parola si estende fino a descrivere l’infinito, senza tuttavia dimenticare l’universo finito, sensibile attraverso cui si esprime l’uomo: ne sono un esempio le parabole di Gesù, che esprimono realtà ultraterrene con esempi molto terreni. D’altro lato, la parola può comprimersi fino al punto zero, annullarsi per esprimere l’ineffabile: nei testi sacri ebraici il tetragramma yhwh non viene pronunciato, e Dio stesso, quando vuole manifestarsi al profeta Elia, lo fa attraverso una «voce di silenzio sottile».
La lezione di filologia si chiude con un elogio del libro: la parola è oralità, musicalità, fonema, ma è anche grafia, scrittura. Fin dall’antichità il libro, la parola scritta sono considerati medicina dell’anima; non a caso le dittature hanno sempre bruciato libri (oggi diremmo: oscurato siti internet). Molti autori, da Leopardi a Eco, hanno analizzato il rapporto tra scrittore, libro e lettore: quest’ultimo è necessario quanto l’autore, perché il libro vive solo se viene letto e interpretato da qualcuno. La citazione conclusiva, dall’«Elogio del libro» di Romano Guardini (1951), con il cappellano militare che strappa e distribuisce le pagine del Nuovo Testamento ai suoi soldati ormai spacciati, ha riportato l’attenzione sul valore sacramentale della Parola e sulla sua capacità di creare comunione fra gli uomini.
Elena Boni