I vescovi e i populisti
2018/7, p. 1
I vescovi si sono confrontati su due temi maggiori: la nuova
condizione politica e istituzionale nel paese e l’emergere
prepotente della società informazionale, non solo
caratterizzata ma «costituita» dalla comunicazione digitale.
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Testimoni
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Assemblea generale CEI (Roma 21 – 24 maggio)
I VESCOVI
E I POPULISTI
I vescovi si sono confrontati su due temi maggiori: la nuova condizione politica e istituzionale nel paese e l’emergere prepotente della società informazionale, non solo caratterizzata ma «costituita» dalla comunicazione digitale.
L’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (CEI, Roma, 21-24 maggio) si è avviata, come è ormai d’abitudine, con l’incontro con papa Francesco. Tre le emergenze da lui sottolineate: la crisi delle vocazioni (con il suggerimento di mettere a disposizione preti per le aree più disagiate), la gestione dei beni della Chiesa (ad evitare scandali difficilmente superabili) e la riduzione delle diocesi (226), riprendendo una osservazione da lui fatta fin dal 2013.
Rispetto alle assemblee precedenti l’apprezzato dialogo col papa (quasi tre ore) non ha oscurato il tema previsto («Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo»). Ma è stato il mutamento politico-istituzionale trainato dalle elezioni del 4 marzo (cf. Testimoni 4/2018 p. 14 e in questo numero a p. 17) a imporsi all’attenzione, grazie alla relazione del presidente, il card. Gualtiero Bassetti, vescovo di Perugia. Nel suo intervento ha citato, come sempre, i nuovi arrivati, gli emeriti e i vescovi morti nell’anno, ma la parte più corposa è dedicata ai cambiamenti politici e civili in atto nel paese.
Più domande
che risposte
La forma delle domande ha superato di gran lunga quella delle affermazioni, a conferma di uno «spiazzamento» che l’episcopato condivide con gran parte del ceto dirigente di questo paese di fronte al trionfo delle tendenze populiste. Una crisi economica decennale tamponata, ma non risolta, ha avuto «effetti pesanti anche in politica, effetti visibili nella situazione di stallo e di confusione di ruoli che ha segnato l’avvio di questa legislatura». «Ma non credete, cari confratelli, che anche nel contesto attuale ci siano ragioni fondate per dire che la partita non è persa? Non credete che le radici siano buone e il paese più sano di come spesso lo si dipinga?». E allora «perché il dibattito tra noi è così stentato? Di che cosa abbiamo timore?».
Il richiamo alla tradizione del cattolicesimo politico di Luigi Sturzo a cent’anni dall’appello ai Liberi e Forti e a testimonianze straordinarie come quella di Giuseppe Toniolo dovrebbe aiutare le nostre Chiese a capire il perché vecchi partiti si sono sgretolati e nuovi soggetti sono venuti alla scena, mettendo a frutto una tradizione e rinnovando l’azione educativa della Chiesa. «Credo che, con lo spirito critico di sempre, sia giunto il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana per fare un esame di coscienza e, soprattutto, per rinnovare la nostra pedagogia politica e aiutare coloro che sentono che la loro fede, senza l’impegno pubblico, non è piena».
Nei giorni successivi, mentre la crisi in ordine alla formazione del governo arrivava a episodi grotteschi e da «commedia all’italiana», il cardinale è ancora intervenuto a sostegno dell’opera del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Denunciando l’uso irresponsabile ed esecrabile dei social network «persino contro la persona del presidente della Repubblica e la sua misurata e saggia azione di garanzia di tutti i cittadini». «Mai come in questi giorni c’è assoluto bisogno di rispettare la volontà popolare, che si è espressa liberamente il 4 marzo, e tutte le istituzioni civili che rappresentano l’architrave insostituibile della nostra democrazia e della nostra libertà: dalla più elevata, il capo dello stato, alla più rappresentativa, il parlamento» (30 maggio).
Qualche giorno dopo, a governo finalmente formato, ha ancora ricordato «un clima di tensione e attimi di conflittualità che sono emersi dalle viscere profonde del paese» (7 giugno). Fatto il governo vi è urgente necessità di rammendare il paese: «C’è un tessuto umano da ritessere in questi angoli di mondo e in tutta la società civile italiana in nome della pace civile e sociale». Ricordando ancora una volta la collocazione dell’Italia in Europa e il suo compito rispetto al Mediterraneo e al mondo. L’ipotesi di un Incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo aveva già convinto i vescovi.
Senza categorie
interpretative
Nell’insieme emerge un quadro di riferimenti condivisi: storia – presidenza della Repubblica – Europa – Mediterraneo. Ciò che ancora manca è la connessione di questi riferimenti nel contesto della vittoria delle forze populiste. Vi è prudenza rispetto all’operatività del governo, ma anche carenza di categorie interpretative (cf. l’intervento di M. Magatti su Avvenire del 24 maggio e sul Corriere della sera il 26), anche per evitare che all’interno stesso dei vescovi e del mondo cattolico emergano quanto le idee populistiche e la mutazione antropologica in atto negli ultimi decenni manifestino la loro potenza divisiva. Difficile sottovalutare la spinta xenofoba presente nelle comunità cristiane a proposito dei migranti, nonostante il calo verticale degli sbarchi sulle nostre sponde e il consistente flusso di rientro ai paesi di origine per la mancanza di lavoro.
Conclusioni simili si potrebbero trarre a proposito dell’Unione Europea. Nonostante i suoi limiti di funzionalità e le sue grevi servitù rispetto ai laicismi imperanti, l’Unione rappresenta l’unica chance per il futuro nostro e del continente in un mondo il cui centro si è spostato in Asia. Con una difficoltà ulteriore e non meno seria: il distacco fra vertici ecclesiali e comunità. Se si è parlato a suo tempo di «scisma sommerso» a proposito della predicazione sulla morale personale, si presenta oggi un analogo fenomeno rispetto alla predicazione sociale della Chiesa. Niente di esibito e formale, ma l’uso ideologico dello sbandieramento del rosario e della Scrittura da parte dell’on. M. Salvini e la frettolosa quanto ideologica difesa della famiglia «cristiana» del neo-ministro L. Fontana sono segnali rilevanti.
Da strumenti
ad ambiente
Il tema principale dell’assemblea ha riguardato la presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo. Lo sforzo sia della preziosa relazione introduttiva di Pier Cesare Rivoltella, sia del lavoro di preparazione dell’Ufficio comunicazioni, sia degli animatori dei gruppi (giornalisti operanti nei media di riferimento della CEI) era volto a produrre uno scatto fondamentale. Non si tratta più di rafforzare, secondo un’ottica strumentale, i propri media di riferimento e tantomeno di demonizzare l’informazione religiosa prodotta dai media laici, ma di capire l’attuale scena della comunicazione in cui la società dell’informazione diventa società informazionale. Dove il digitale non solo la caratterizza, ma la costituisce. E come questo passaggio suggerisca di usare le nuove tecnologie non per dividere e isolare le persone, ma per fare il contrario, per costruire le comunità, grazie al Vangelo e ai suoi valori. Una pastorale di questo livello conduce a pensare i media non più come strumenti, ma come tessuto connettivo. «I media diventano opportunità di legami, nuovi o da riannodare», la «comunicazione diventa orizzonte, disintermediata», i laici sono chiamati «a un nuovo senso di responsabilità» (Rivoltella).
I lavori di gruppo, come spesso in questi casi, hanno la funzione di creare un linguaggio comune, un’attenzione condivisa, un invito a superare le resistenze psicologiche e della propria tradizione culturale.
La relazione finale di mons. Giovanni D’Ercole ha avuto un tono conciliante e pedagogico, facendo emergere quanto i nuovi tempi richiedano e come la preparazione in merito non possa più essere semplicemente delegata. «Tra le proposte emerse – si dice nel comunicato finale – l’investimento in una formazione progressiva, sostenuta con la realizzazione di contenuti digitali di qualità e materiale didattico. Un’ipotesi percorribile concerne l’opportunità di valorizzare, integrandolo saggiamente, il Direttorio Comunicazione e missione». «In sintesi, dai vescovi è emersa la necessità e la fiducia di saper individuare in questo contesto nuove prospettive per essere comunità cristiana viva e attrattiva».
Cambiamento
veloce
Una prospettiva esigente sia per quanti lavorano nei media di proprietà ecclesiale, sia per il cambiamento di mentalità che tutto ciò richiede. Sul primo aspetto rimando a quanto papa Francesco ha detto ai dipendenti di Avvenire il primo maggio: «Certamente, nella vostra “cassetta degli attrezzi” oggi ci sono strumenti tecnologici che hanno modificato profondamente la professione, e anche il modo stesso di sentire e pensare, di vivere e comunicare, di interpretarsi e relazionarsi. La cultura digitale vi ha chiesto una riorganizzazione del lavoro, insieme con una disponibilità ancora maggiore a collaborare tra voi e ad armonizzarvi con le altre testate che fanno capo alla Conferenza episcopale italiana: l’agenzia Sir, Tv2000 e il circuito radiofonico InBlu. Analogamente a quanto sta avvenendo nel settore comunicazione della Santa Sede. Questa trasformazione richiede percorsi formativi e aggiornamento, nella consapevolezza che l’attaccamento al passato potrebbe rivelarsi una tentazione perniciosa».
Per il cambiamento di mentalità rimando a una nota di don I. Maffeis ai direttori degli uffici diocesani delle comunicazioni sociali quando indica le attenzioni necessarie. «Innanzitutto, sviluppando senso critico, necessario per una ricerca sincera della verità … La verità ha a che fare con la vita intera, è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere, per cui “l’uomo scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in se stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama” (papa Francesco). Di qui la nostra cura per le relazioni. Il contesto di forte socialità della Rete ci trova tutti a condividere in tempo reale le nostre biografie individuali … Infine la disponibilità e fiducia a educare ancora. Rispetto all’orizzontalità a cui la Rete ci consegna, non ci sentiamo detronizzati, né impotenti o rassegnati, ma pronti a riconoscerci partecipi del percorso di crescita delle persone che la vita ha affidato alla nostra responsabilità».
All’assemblea è stato ufficialmente reso noto la nascita del nuovo portale www.ceinews.it (10 maggio) che nasce «soprattutto per rispondere all’esigenza di approfondire la posizione della Chiesa italiana su tematiche legate al dibattito pubblico, quali la vita, la famiglia, il lavoro. L’obiettivo è quello di partire dalla notizia per andare oltre la notizia e offrire percorsi di senso, aggregando contenuti in base a una linea editoriale».
È stata anche resa pubblica la ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille (anno 2018): esigenze di culto e pastorale 335.473 (in migliaia di euro); interventi caritativi 275.000; sostentamento del clero 367.500. Infine, due nomine di rilievo. Mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola, diventa presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, presiederà la Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali.
Lorenzo Prezzi