“Maria Maddalena”, la donna folgorata da una passione per l’Assoluto
2018/6, p. 29
Si è discusso molto a riguardo del film “Maria Maddalena”
dopo la sua uscita in sala, tanto da deludere, probabilmente,
quanto chi si aspettava di vedere rappresentata
in scena la figura della donna descritta nei Vangeli,
quanto chi avrebbe voluto quella più rivoluzionaria
e forse peccatrice che la storia ci ha consegnato, non
senza qualche errore. Tuttavia se si volesse trovare una
cifra sintetica con cui rileggere il lungometraggio questa
potrebbe essere quella della fede.
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“Maria Maddalena”, la donna folgorata da una passione per l’Assoluto
Secondo la ricostruzione cinematografica di Garth Davis
Si è discusso molto a riguardo del film “Maria Maddalena” dopo la sua uscita in sala, tanto da deludere, probabilmente, quanto chi si aspettava di vedere rappresentata in scena la figura della donna descritta nei Vangeli, quanto chi avrebbe voluto quella più rivoluzionaria e forse peccatrice che la storia ci ha consegnato, non senza qualche errore. Tuttavia se si volesse trovare una cifra sintetica con cui rileggere il lungometraggio questa potrebbe essere quella della fede. La stessa che ha fatto smuovere il cuore dei dodici, come forse quello della stessa protagonista del racconto. “La vostra fede non può essere tenuta in ostaggio”, dice, infatti, Gesù. Saranno state queste parole del «Maestro» ad aver acceso nel cuore di Maria Maddalena (la dolce Rooney Mara) il desiderio di seguirlo e di unirsi ai discepoli? Probabilmente sì, secondo quest’ultimo film di Garth Davis (di cui ricordiamo il bellissimo “Lion – La strada verso casa”), che ha voluto mettere in scena l’ultima parte della vita di Gesù (interpretato da un serioso e intenso Joaquin Phoenix) dal punto di vista femminile, ripercorrendo la storia della prima testimone del Risorto. Una vicenda sconosciuta con l’intento di riabilitare la figura di Maria Maddalena, proclamata nel 2016 da papa Francesco come “Apostola degli Apostoli”, che nel 591 d.C. (come si legge prima dei titoli di coda) papa Gregorio affermò essere una prostituta, emettendo un giudizio erroneo rimasto praticamente valido fino a oggi. Basato su uno dei testi chiave come l’apocrifo copto “Vangelo di Maria”, pur non prendendo “alcuna posizione teologica o storica” (come da dichiarazioni), il film rischia, senza inabissarsi in pruriginose allusioni (già viste) del rapporto con il Messia (la relazione sentimentale), di divenire una fin troppo libera rievocazione del Vangelo, fatta da una donna folgorata da una “passione per l’Assoluto”. Preso, però, da questo solo punto di vista, “Maria Maddalena”, scritto da Philippa Goslett e Helen Edmundson (due donne!), presenta una storia “in rosa” che cinematograficamente regge. Sia la messa in scena (fantastiche le location italiane scelte, ma non solo) come le prove attoriali (interessante pure la figura di Giuda qui in qualche modo rivalutata) non sono da poco. Una riabilitazione della figura della donna di cui, non solo in America (dopo lo scandalo Weistein), se ne sente più che mai il bisogno. Una storia di sguardi, dunque, che lasciano intendere un’adesione sincera all’uomo di Nazareth che ha mutato per sempre la storia delle donne e degli uomini che hanno accettato (e accettano ancora oggi) l’evento del “Regno”. Quel Regno che qui ricorda Maria Maddalena “nasce nel momento in cui cambiamo noi stessi”. Per questo il film risulta essere un chiaro racconto di vocazione al femminile. Una chiamata, possiamo dire, rivolta a una semplice donna che interpellata dalla voce del Maestro si è sentita libera di scegliere di seguirlo abbandonando anch’ella, da vera discepola, ogni cosa. Come pare dalla sequenza (fortemente evocativa) in cui lei, accarezzata dal vento, lungo le rive del mare si aggrappa alla rete dei pescatori. Se da una parte si capisce che molto sa di “libera interpretazione” e desiderio di riscattare la centralità della figura femminile messa spesso a margine (senza ruoli di protagonismo) nella tradizione della Chiesa, Maria Maddalena che assiste alla resurrezione dell’amico Lazzaro, come lei stessa al centro della parabola del seme, può risultare, probabilmente, un po’ troppo per chi si basa sulla sola tradizione evangelica. Quando, però, la vediamo povera tra i poveri, in Samaria, non possiamo non pensare a lei come figura originale di una Chiesa chiamata fin dalle origini alla carità e alla misericordia. Un “biopic”, dunque, “aprocrifo”, in ogni senso, ma con il pregio di ricordare che esiste un “Gesù” visto con gli occhi di una donna che è essenzialmente “diverso” da come potrebbe vederlo un uomo. Un discorso, anche cinematograficamente, certamente non approfondito a sufficienza in questo “resoconto” che, annunciato come kolossal, ha visto, su più fronti, piombare addosso, su di sé, numerose critiche. Un desiderio mancato che ha lasciato aperte molte questioni. Non sappiamo se qualcuno vorrà ancora prendersi carico l’onere di dare risposte. Resta il fatto che un tentativo c’è stato. Per cui vederlo per parlarne non è un male. Anzi è già qualcosa, anche all’interno delle nostre comunità di consacrati.
Gianluca Bernardini