In ascolto dei giovani. E adesso?
2018/6, p. 9
L’ultima assemblea USG, una straordinaria occasione per
riflettere sul rapporto reciprocamente “generativo” tra
giovani e vita consacrata. Le relazioni dei due segretari
speciali del sinodo e una serie di testimonianze, anche
strettamente personali, di giovani religiosi e non.
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90° Assemblea semestrale Superiori maggiori
IN ASCOLTO DEI GIOVANI
E ADESSO?
L’ultima assemblea USG, una straordinaria occasione per riflettere sul rapporto reciprocamente “generativo” tra giovani e vita consacrata. Le relazioni dei due segretari speciali del sinodo e una serie di testimonianze, anche strettamente personali, di giovani religiosi e non.
A distanza di un anno dalla precedente assemblea, i superiori generali (un centinaio) si sono ritrovati ad Ariccia, dal 23 al 25 maggio, per confrontarsi sulle tematiche di fondo del sinodo dei giovani. Diego Mesa, docente alla Cattolica di Milano, ha aperto la lunga serie di interventi interrogandosi, da sociologo, sul mondo dei giovani nella realtà interculturale di oggi. Anche solo alcuni dati statistici (Onu) fanno pensare: nel 2015 i giovani tra i 15 e i 24 anni, erano 1.194.500, pari al 16% della popolazione mondiale, stimata in 7.383.000 abitanti. Sei giovani su dieci si trovano in Asia, il continente più popoloso, e quasi due su dieci in Africa, il continente più giovane. Poco meno di un giovane su dieci si trova in America Latina. I giovani dell’America del Nord, Europa e Oceania insieme sono poco più di un decimo del totale. Anche se vivono in migliori condizioni oggettive di vita, i giovani nativi dei paesi occidentali «tendono ad essere più pessimisti in merito al futuro e ad assumere atteggiamenti più pragmatici e realistici». Volendo aiutare i giovani a dare un senso pieno alla propria esistenza, si dovrebbero incontrare «là dove vivono realmente, lasciando da parte le nostre precomprensioni e le nostre ricette pronte, condividendo con loro una parte del viaggio, cercando insieme il senso del loro percorso».
La VC e il sicomoro
di Zaccheo
Proprio partendo da questa prospettiva si è voluto porre il salesiano irlandese Eunan McDonnell, rivolgendosi in particolare ai consacrati, nel suo intervento su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Ha preso alla lettera quanto, sia a lui che a tutti gli altri relatori, era stato esplicitamente chiesto dalla presidenza USG. Dal momento che i superiori «amano essere sfidati, siate pur franchi, aiutandoci, con la vostra esperienza, a percepire in che modo i giovani sfidano noi religiosi ad essere segni e strumenti che li aiutino a scoprire la loro vocazione nella chiesa, in qualunque direzione questo possa portarli, e in verità aiutando la chiesa e noi stessi a riscoprire le nostre vocazioni». McDonnell ha proposto l’incontro con Zaccheo (Lc 19, 1-10) come quadro di riferimento per le sue riflessioni. Come Gesù che vede Zaccheo e cambia il programma della sua giornata, così anche i religiosi impegnati nella pastorale giovanile, quante volte non esitano a mettere da parte i loro programmi per poter rispondere in maniera convinta alle necessità dei giovani.
Oggi, si è chiesto il relatore, è Dio che chiama meno persone o forse non è più frequente il fatto di non sentire la sua chiamata? Viviamo in un mondo secolarizzato e secolarizzante, da cui non è immune neanche la vita religiosa. Quante volte oggi le esperienze formative di tanti giovani sul piano religioso non sono solo inconsistenti, ma addirittura inesistenti. I consacrati per primi dovrebbero allora interrogare se stessi se anche nella formazione di un giovane religioso una pseudo spiritualità non abbia, spesso, preso il posto della spiritualità evangelica vera e propria.
Tra gli adolescenti statunitensi, ad esempio, le vere e proprie religioni dominanti sono quelle del sentirsi bene, essere felici, sicuri, in pace. Non è forse il frutto, questo, del fatto di aver offerto ai giovani una “teologia a buon mercato?” Il fatto che Zaccheo cercasse di vedere Gesù, non potrebbe anche significare che i giovani oggi chiedano ai religiosi/e di essere veramente uomini e donne di preghiera? Se è vero che Dio oggi, nella vita di tanti giovani, si sta eclissando, non potrebbe essere la conseguenza anche di una sempre più debole testimonianza dei religiosi? Zaccheo per vedere Gesù sale su un sicomoro. Ma la vita religiosa oggi è realmente un “sicomoro per i giovani”? Fino a che punto i religiosi sanno creare un senso di comunità dove i giovani possano condividere la loro fede? Gesù chiama Zaccheo per nome. Questo ci dice che ogni invito vocazionale è una chiamata personale. Ma si è veramente convinti che l’accompagnamento spirituale personale del giovane è l’elemento fondamentale in tutta la pastorale vocazionale e giovanile? Non basta aiutare i giovani a individuare le ispirazioni di Dio; bisogna anche saper leggere i segni dei tempi in cui si muove lo Spirito oggi. Il declino della vita religiosa non potrebbe diventare una provvidenziale chiamata al “risveglio” di cui parla con insistenza papa Francesco? È un dato di fatto che tanti movimenti giovanili laicali, con la loro critica profetica, mettono in seria discussione anche la vita consacrata. L’incontro di Gesù con Zaccheo, gli ha cambiato la vita. Ha imparato a vivere senza tanti beni e ad aiutare gli altri. Perché non vedere in questa pagina evangelica un chiaro segnale di reale rinnovamento per la vita consacrata di oggi?
I giovani nella “cultura
dello scarto”
Incontrare i giovani là dove vivono e senza precomprensioni è sicuramente una delle prospettive centrali del prossimo sinodo episcopale. Ne hanno parlato, con insistenza, anche i due segretari speciali del sinodo, il gesuita p. Giacomo Costa e il salesiano don Rossano Sala. Nominati direttamente dal papa, sono i due più stretti collaboratori del segretario generale (card. Lorenzo Baldisseri) e del relatore al sinodo (card. Sérgio Rocha). Erano sicuramente tra le persone più autorevoli a parlare del sinodo. Hanno aiutato l’assemblea a riflettere sul lungo percorso già fatto e sulle tappe più immediate cogliendone gli aspetti anche più direttamente connessi alla vita consacrata. Sono stati illustrati i contenuti salienti dell’Instrumentum laboris di imminente pubblicazione. In particolare don Sala ne ha brevemente commentato il paragrafo 103 dedicato proprio alla vita consacrata. Anche la testimonianza profetica dei consacrati, vi si legge, «ha bisogno di essere riscoperta e meglio presentata ai giovani nel suo incanto originario, come antidoto alla “paralisi della normalità” e come apertura alla grazia che scompiglia il mondo e le sue logiche». In un tempo dominato da logiche consumistiche e mercificanti, è fondamentale «risvegliare il fascino della radicalità evangelica nelle giovani generazioni, così da poter riscoprire la profezia della castità, povertà e obbedienza come anticipazione del Regno e realizzazione piena della propria vita». È una questione di giorni, dopo di che l’Instrumentum laboris potrà essere tra le mani di tutti come testo fondamentale per cogliere e seguire in profondità l’evolversi dei lavori sinodali. Ambedue i segretari speciali hanno ribadito a chiare lettere che la tipologia dei giovani al centro del sinodo non dovrebbe essere solo i “nostri” giovani, ma anche e soprattutto quelli che, per tante ragioni, sono “lontani” dalla fede e dalla realtà ecclesiale. Essere giovani oggi nella “cultura dello scarto, di fronte alle sfide antropologiche e culturali” del nostro tempo, è una prospettiva di vita quanto mai aperta e sulla quale si dovranno confrontare tutti i partecipanti al sinodo.
Le testimonianze
dalle periferie
Una parte considerevole dei lavori dell’assemblea è stata quella delle numerose testimonianze ed esperienze ascoltate in aula. Ha introdotto questo capitolo un’ampia riflessione di Frére Timotée della comunità di Taizé. Dopo una breve sintesi dell’esperienza di Taizé con i giovani, ha parlato anzitutto del come sono arrivati ad accogliere i giovani e del che cosa si cerca di fare accogliendoli in comunità. Il relatore, pensando ai giovani, ha sviluppato tre verbi particolarmente cari a papa Francesco: accogliere, testimoniare, lasciare liberi. Proprio quest’ultimo atteggiamento è oggi forse la più grande sfida quando ci si confronta con i giovani. È infatti essenziale che i giovani “si sentano liberi, che non siano monopolizzati in alcun modo, né pastoralmente, né emotivamente”, lasciando loro uno “spazio libero per avanzare verso Dio”. La voce dei giovani che provengono dalle periferie è particolarmente sensibile al tema della propria libertà, soprattutto quando è seriamente minacciata.
Particolarmente sofferta, in tal senso, è stata la testimonianza sulla Siria di oggi, fatta dal fratello marista Georges Sabe. Parlare dei giovani oggi in Siria significa parlare di «tutto un paese, tutto un futuro, tutta una realtà, tutta una speranza». Fin dagli inizi del conflitto in corso non poche famiglie hanno preso la via dell’esilio. I primi ad andarsene sono stati i giovani. Di fronte a tante famiglie “divise, destrutturate, anziani abbandonati dai figli”, non è difficile parlare di una vera e propria catastrofe umana e demografica. Anche solo pensando all’avvento e alla pressione dello stato islamico, le urgenze fondamentali oggi sono quelle di poter «ristabilire relazioni millenarie, difendere la vita in comune, rifiutare lo scontro delle culture, superare i pregiudizi, imparare a perdonare e a riconciliarsi, evitando che si vada radicando nella memoria comune cristiana del Medio Oriente una rappresentazione negativa dell’islam».
Alquanto diverse, ma pur sempre stimolanti, le testimonianze di due giovani brasiliani: fra Diego Atalino de Melo e Mariana Rogoski. Fra Diego, un minore francescano, ha parlato del suo straordinario e coinvolgente lavoro con la gioventù della provincia francescana dell’Immacolata Concezione in Brasile nel corso di questi ultimi cinque anni. Mariana, trentenne, con alle spalle una vita di complessi problemi personali e familiari, li ha potuti definitivamente superare inserendosi attivamente, dal 2015, in tante iniziative promosse sempre dai francescani. Grazie all’incontro con i figli di san Francesco, la sua vita è radicalmente cambiata, fino quasi a identificarsi, secondo un’espressione di Giovanni Paolo II, in quella “santa in jeans”, pienamente disponibile a vivere e a diffondere la gioia del vangelo tra i giovani.
Essere cristiani
nell’Est europeo
Sicuramente molto più problematico è stato il cammino dei giovani nei periodi ante e post comunismo in Croazia. Ne ha parlato il gesuita Stanko Perica. Accennando in particolare al tema delle vocazioni, ha fatto notare come i numeri dell’Europa centro-orientale siano notevolmente più alti rispetto a quelli dell’Europa occidentale. A suo dire, non si tratta di un problema puramente demografico, quanto piuttosto di quell’elemento mistico, come lo ha letteralmente chiamato, sopravvissuto più a lungo nelle chiese più tradizionali. Soprattutto nei paesi ex comunisti c’è oggi un urgente bisogno di testimoniare la gioia di essere cristiani. Non ci si dovrebbe mai stancare di ascoltare i giovani e di offrire loro nuove prospettive. A suo dire, i religiosi avrebbero le “condizioni ottimali” per fare questo, a condizione, tutt’altro che scontata, di sentirsi più intensamente uniti fra loro. È un fatto che i giovani oggi apprendono più facilmente dall’esperienza che non dai concetti astratti. Se è vero che si può vedere e giudicare soprattutto agendo, allora questo dovrebbe essere un punto di non ritorno del lavoro dei religiosi con i giovani.
Rifacendosi all’invito di papa Francesco ad “uscire” incontro a un futuro, anche se sconosciuto, il colombiano Victor Manuel Henao López, carmelitano scalzo, si è soffermato sulla figura della Chiesa come madre e dei giovani come figli. Più concretamente ancora ha configurato la relazione tra la madre e i figli in tre momenti concreti: quello dell’impulso giovanile, quello della sapienza-pazienza, quello dell’amore-fede. Ha concluso la sua testimonianza parlando della sfida tra la chiesa e la vita consacrata da una parte e i giovani di oggi dall’altra. «La Chiesa è buona per definizione, ha detto, ed è estremamente giovane e santa». Se a volte il rapporto si deteriora «non è né per colpa sua né per colpa di Dio, ma per colpa nostra e allora è necessario una forte dose di fede e di amore per continuare il cammino».
Giovani
e social media
Non si può parlare e interagire con i giovani oggi ignorando il mondo digitale. Ne ha parlato, con piena cognizione di causa, Aikee Esmeli, un fratello delle scuole cristiane delle Filippine. I giovani hanno fatto della tecnologia e dei nuovi mezzi di comunicazione sociale una parte indispensabile della loro vita. Trasparenza, autenticità, coerenza, sincerità, per le giovani generazioni di oggi, passano attraverso il digitale. I diversi social media e le reti online possono essere delle vie privilegiate non solo per dialogare con i giovani, ma anche, indirettamente, per promuovere vocazioni religiose. E allora ecco alcune domande alle quali non ci si dovrebbe sottrarre: come favorire, in quanto Chiesa e in quanto consacrati, la ricerca di profonde e significative relazioni data la rilevanza di questi nuovi contatti sociali? Come dialogare con la gioventù nel promuovere un uso positivo ed efficace dei social media? Come possono la Chiesa e le stesse comunità religiose mantenere un approccio pastorale positivo piuttosto che di condanna nei confronti di questi nuovi strumenti di comunicazione sociale? Come arrivare fattivamente ai giovani che, di fatto, “hanno bisogno” di questi nuovi modi d’incontro e di confronto?
«Da giovane religioso, anch’io credo che le nostre comunità religiose abbiano bisogno di cambiamenti strutturali». I giovani da sempre sono stati «voce di speranza e della coscienza contro strutture apparentemente logore create dalle generazioni che li hanno preceduti». Senza discriminazioni di sorta, andrebbe data voce alle loro osservazioni e ai loro suggerimenti di innovazione per “continuare a crescere” sia nella società che nella Chiesa. «Il giovane, ha concluso fratel Esmeli, ci prende per mano e ci conduce in luoghi sconosciuti, ma come loro guida, possiamo provare che è possibile portare Cristo ovunque e in qualsiasi momento. Lá dove ci invitano i giovani, ci invita anche Cristo. Quando i giovani ci invitano ad essere degni di fede, sinceri e vivificanti, anche Cristo ci invita a fare altrettanto nei loro confronti».
In attesa
dell’Instrumentum laboris
Il portoghese Luís Gens ha in qualche modo sentito questa chiamata ancora “da piccolo” soprattutto in famiglia e in parrocchia. Dopo la cresima entra nel gruppo missionario “Giovani senza frontiere” legato ai “Missionari dello Spirito Santo”. Qui incontra quella che più tardi diventerà sua moglie (Raquel) che, pur provenendo da una famiglia religiosamente meno motivata, condividerà pienamente l’impegno missionario del marito. Luís, lavorando come infermiere in un ospedale psichiatrico gestito dall’Ordine San Giovanni di Dio, trova in questi religiosi un sicuro punto di riferimento. «Gestire la vita di coppia e la vita missionaria, ha detto, è una sfida». Pur nell’incertezza del futuro, sia lui che la moglie, «sanno di avere accanto a sé, in ogni momento, Dio». Proprio frequentando dei religiosi hanno imparato che «Dio si può amare in tanti modi e in luoghi diversi, mettendosi in un atteggiamento di servizio incondizionato all’altro, non tralasciando nulla di quanto può utilmente far emergere la dignità di ogni persona umana».
Le ultime due testimonianze ascoltate in aula sono state quelle di due giovani direttamente coinvolti nella vita di due ordini religiosi: l’italiano Damiano Castagna, attualmente postulante tra i frati minori conventuali, e il filippino Benz Rodil, coordinatore a livello internazionale dei gruppi giovanili domenicani. Anche in questi casi, pur nella diversità dei luoghi di provenienza e delle vicende personali, si è rivelata fondamentale l’intercettazione, nel loro percorso di vita, di qualche persona consacrata che ha dato una svolta radicale alla loro esistenza.
Al termine di un’assemblea come questa verrebbe da chiedersi: “e adesso”? Adesso attendiamo l’Instrumentum laboris, hanno ribadito i due segretari speciali del sinodo. Confrontiamoci e assimiliamone i contenuti. È la premessa indispensabile per predisporsi a seguire e a vivere con frutto i lavori del prossimo “sinodo dei giovani”.
Angelo Arrighini