Crea Giuseppe
Spinte psico-educative
2018/5, p. 25
Progettare un profilo continuativo di formazione permanente vuol dire avere a cuore la prospettiva vocazionale dell’intera esistenza, nonché la chiamata ad essere costruttori di comunità con gli altri. Proposte e percorsi alla luce del sussidio “Lievito di fraternità”.

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Per una formazione permanente più qualificata
SPINTE
PSICO-EDUCATIVE
Progettare un profilo continuativo di formazione permanente vuol dire avere a cuore la prospettiva vocazionale dell’intera esistenza, nonché la chiamata ad essere costruttori di comunità con gli altri. Proposte e percorsi alla luce del sussidio “Lievito di fraternità”.
Troppo spesso nella formazione permanente ci si focalizza su contenuti intellettuali o su iniziative spirituali che, benché utili e arricchenti, non sempre sono collegati con la vita reale delle persone. A volte si tratta di esperienze che si risolvono in tempi di speciale convivenza, momenti certamente forti e significativi per la crescita umana e spirituale della persona, ma poco si sa di quanto realmente incidano nei vissuti dei consacrati e delle consacrate che li frequentano.
Il magistero della Chiesa continua a sottolineare l’urgenza di aprirsi invece ad una formazione permanente che sia una sorta di anello di congiunzione tra la vita reale e l’evangelizzazione, come testimonia il recente documento della CEI “Lievito di fraternità”. Probabilmente per realizzare questo occorre uscire dalla logica di percorsi che rispondono soprattutto all’esigenza di aggiornamento e qualificazione del momento, ed aprirsi a nuove spinte innovative che prendano spunto dai processi di crescita della persona, chiamata a realizzare nella propria esistenza una storia vocazionale fatta di entusiasmi ma anche di fragilità da integrare e gestire.
Con il loro documento i vescovi ricordano che la formazione continua deve rinnovare il modo di vivere la missione pastorale, che si traduce in una autentica vita comunitaria, in una carità pastorale aperta alle novità dello Spirito, in una vita interiore ardente di comunione col Cristo. Per questo c’è bisogno di una impostazione che metta al centro le motivazioni di fede che illuminano di verità il cammino quotidiano, per aprirsi ad una autenticità vocazionale che guarda alle sfide attuali del mondo non come delle pericolose minacce da cui difendersi ma come delle opportunità per far fermentare l’autenticità del Vangelo attraverso concrete scelte di vita.
Anche nella vita consacrata la formazione permanente «rimanda a un mistero di vocazione che trascende l’uomo e che nessuno, quindi, può mai dare come pienamente conseguito: la vita intera non basterà a farci davvero capire quello che siamo e a consentirci di raggiungere l’integrale intellegibilità del nostro dono».
Ecco perché dinanzi a tale sollecitazione servono spazi di monitoraggio e di rielaborazione nelle comunità religiose, nelle fraternità presbiterali, nei diversi campi di azione pastorale, che aiutino i consacrati e le consacrate a rispondere con coraggio alla missione dei tempi attuali. Serve un modo nuovo di affrontare i problemi concreti dell’evangelizzazione e della missione, un metodo educativo attento al desiderio di speranza che emerge dalle tante situazioni di crisi che il mondo attuale vive.
Tentazionedi una formazione riparativa
Lo scollamento che a volte si avverte tra le tante iniziative di formazione permanente e la vita quotidiana, dove ognuno ritorna ad affrontare le condizioni di agio e di disagio della missione, può essere particolarmente disfunzionale quando si perdono di vista gli orizzonti di senso evangelico che fondano l’ideale carismatico del proprio istituto. In tali condizioni i percorsi formativi rischiano di limitarsi a “riparare” ciò che non va o a ravvivare ciò che sembra essersi spento, piuttosto che rilanciare ciò che dà senso alle scelte quotidiane della propria esistenza.
“Vengono con la voglia di staccare dalle tante tensioni in cui sono immersi, ma poi tornano alle cose di ogni giorno con gli stessi problemi di prima”. Così si confidava un provinciale a proposito delle iniziative che la sua congregazione aveva messo in campo per i confratelli più giovani.
Tale metodo incentrato su attività formative specifiche, come l’anno sabbatico, gli esercizi spirituali, un corso di aggiornamento…, ha il vantaggio di fornire strumenti intellettuali, spirituali, psicologici molto utili e importanti, ma non aiuta le persone a collegare tutto ciò con l’esperienza reale della loro consacrazione. Quindi se da una parte assolve al bisogno di staccarsi dalla routine quotidiana per riflettere su aspetti importanti della propria vita, dall’altra può alimentare una sottile tentazione: quella di pensare che partecipando a questi corsi… si possa essere quasi magicamente più qualificati nella propria crescita umano-spirituale e nella propria missione pastorale. Alla prova dei fatti, però, quando le persone tornano alle cose di ogni giorno, spesso si ritrovano con le stesse difficoltà di prima e continuano a chiedersi “come si fa” a vivere uno stile di vita che sia coerente con la propria vocazione.
Eppure sappiamo bene che la costruzione dell’identità umano-spirituale di ogni individuo è un percorso di continuo apprendimento orientato verso mete superiori. Per cui anche nella vita consacrata il bisogno di sapere “come si fa” (a uscire dall’attivismo stressante, a liberarsi dai conflitti comunitari, a gestire i casi patologici, ad affrontare le crisi affettive…) deve essere continuamente armonizzato con la consapevolezza di “come si è”, nella propria identità di consacrati, come persone chiamate a dare risposte di senso alle sfide della missione, nella comunità religiosa come nell’attività pastorale.
Pertanto è proprio dalle situazioni di ogni giorno che i religiosi e le religiose vivono, dalle fatiche quotidiane che spesso si notano poco o tendono a restare nascoste, che si possono scorgere quei frammenti di nuovi significati che possono fermentare di autenticità evangelica la vita di ogni giorno. Guardare alla formazione permanente da questa prospettiva pratica vuol dire aprirsi ad una nuova mentalità educativa e dinamica in cui le motivazioni fondanti la scelta vocazionale, come anche le difficoltà che possono emergere dalle tante situazioni di vita, non possono essere risolte da interventi sporadici ed occasionali, ma occorrono percorsi formativi che diano continuità alla vigilanza e alla consapevolezza necessari per prendersi cura del proprio modo di vivere la missione pastorale.
Ciò significa che occorre riuscire ad integrare i tanti sussulti di una vita fatta di luci e ombre, con il desiderio di una maturazione umana e spirituale che ogni individuo si porta dentro, e che potrebbe diventare vero “lievito di fraternità” per sé e per gli altri, lungo il cammino della propria esistenza.
Un profilo
continuativo
La prospettiva di una progettualità che orienta permanentemente il proprio percorso di vita verso la comunione col Cristo e con i fratelli, presta attenzione non solo alla consapevolezza della propria storia individuale, ma anche alle condizioni reali che ognuno è chiamato ad affrontare, per armonizzare il proprio modo di essere (nel carattere, nella cultura,…) e di relazionarsi (con la gente, in comunità,…), con le spinte motivazionali della propria chiamata.
Ciò è possibile se si progetta un percorso continuativo di formazione permanente che sia personalizzato e “contestualizzato”. A questo si richiamano i vescovi quando parlano di un profilo di risposta vocazionale centrato sulla costruzione della comunità e su uno stile pastorale che rispecchi nelle proprie azioni la tenerezza di Dio. Si tratta di un metodo che permette di sintetizzare l’attitudine paterna di chi guida, sostiene e rialza, con l’atteggiamento materno di chi accoglie e si prende cura, soprattutto quando il cammino diventa più difficile.
La consapevolezza di tali dinamiche aiuta a farsi carico dei talenti ricevuti e delle incongruenze troppo spesso dimenticate. Ma aiuta anche ad integrare il proprio modo di essere e di fare, in una progettualità che diventa uno stile di vita vissuto secondo i parametri del Vangelo.
Progettare un profilo continuativo di formazione permanente vuol dire avere a cuore la prospettiva vocazionale dell’intera esistenza, nonché la chiamata ad essere costruttori di comunità con gli altri, perché solo insieme ci si può riconoscere esperti di comunione e di fraternità. Per realizzare ciò occorre tenere presente alcuni capisaldi, come indicato dal sussidio “Lievito di fraternità”.
In primo luogo, occorre che tale progettualità si prenda cura della «giovinezza dello spirito che permane nel tempo» e che è presenza viva dell’amore di Dio, quella forza vivificante che aiuta ognuno a ricominciare ogni giorno ad essere testimoni di verità. La stabilità progressiva di tale processo necessita una continua vigilanza sul dono ricevuto, per dare direzione a ciò che si vive e per essere orientati verso nuovi orizzonti di senso attraverso le scelte che si fanno quotidianamente.
In secondo luogo, una formazione permanente progettuale deve essere fermento di vita nuova nelle relazioni comunitarie. Come dice il documento dei vescovi, “adesione a Cristo e fraternità sono entrambe essenziali nella Chiesa”. Il consacrato e la consacrata realizzano la loro missione promuovendo tale comunione, nei diversi campi del loro lavoro pastorale come nell’impegno di una fraternità dove la spiritualità di comunione emerge come realtà tangibile nei diversi vissuti relazionali delle comunità religiose.
La prospettiva di una tale progettualità si riflette nelle tante opportunità di fraternità in cui i religiosi e le religiose possono esercitare quella carità che «fa sentire compresi, custoditi e accompagnati», poiché questo è il servizio che essi sono chiamati a realizzare nella loro vita per essere “strumenti della tenerezza di Dio”, sulle orme dell’amore che Cristo ha per il suo gregge.
Infine, c’è anche una componente creativa che continuamente ravviva un autentico progetto continuativo di formazione permanente. Infatti la formazione permanente intesa come itinerario di vita non è solo un programma statico e ripetitivo di attività e iniziative che, benché piacevoli e innovative, restano pur sempre episodiche ed occasionali. Ma è invece un lavoro propositivo e dinamico, che usufruisce delle nuove risorse e delle nuove opportunità che emergono man mano che le persone entrano a contatto con i segni dei tempi e con le sfide che sgorgano dalla missione evangelizzatrice a cui sono chiamate. Con tale prospettiva di rinnovamento continuo la creatività aiuta a modellare le proprie risorse, orientando permanentemente la propria chiamata verso nuovi traguardi che alimentano il senso vocazionale dell’intera esistenza.
La consapevolezza di questa rinnovata vitalità infonde fiducia anche quando ci sono delle difficoltà da affrontare. Non solo, ma è una visione che sollecita il singolo a prendere decisioni, sulla base di una conoscenza più realista dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
Solo così sarà possibile calare la formazione permanente nei vissuti di luce e di ombre che l’individuo vive, dove la gioia della fede che educa il cuore e la fatica della testimonianza che a volte caratterizza il quotidiano, si incontrano e si integrano nella sequela di Cristo, vissuta e realizzata lungo il cammino di un’esistenza intesa come continua risposta al dono di amore ricevuto.
Giuseppe Crea, mccj
psicologo, psicoterapeuta