Possibile ambiguità del carisma
2018/5, p. 10
Riprendiamo dalla rivista Tredimensioni una severa
riflessione sui carismi malati e le loro conseguenze.
L’esigente dinamica della rifondazione.
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Testimoni
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Fondatore e Fondazione
Possibile ambiguità
del carisma
Riprendiamo dalla rivista Tredimensioni una severa riflessione sui carismi malati e le loro conseguenze. L’esigente dinamica della rifondazione.
Seguendo la storia e la vita degli istituti ci è capitato di raccontare di fondatori sotto esame, di famiglie commissariate, di dispute spesso accese e delle molte sofferenze connesse. Ma anche di riprese impreviste e di generosità sorprendenti. Il testo che presentiamo ai lettori e alle lettrici è un editoriale di Tredimensioni, una rivista trimestrale per quanti si occupano di formazione. La tesi della pervasività della malattia di un carisma, in particolare nei suoi anni di avvio, si combina con la richiesta di una dinamica rifondativa capace di riformulare il nucleo positivo che lo Spirito ha affidato al fondatore e al gruppo iniziale. Una tesi che sollecita la discussione e il confronto, con l’esigenza di un rinnovato discernimento ecclesiale (L. Pr.).
Papa Francesco, nel dialogo con i superiori generali (25 novembre 2016) così si esprimeva:
«Ma mi preoccupa anche un’altra cosa: il sorgere di alcuni nuovi Istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non debbano esserci nuovi Istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni casi mi interrogo su che cosa stia accadendo oggi. Alcuni di essi sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinano tanti e poi… falliscono. A volte si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose… Ci sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che dietro queste buone fondazioni ci sono a volte anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne sono altre che nascono non da un carisma dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per le sue doti umane di fascinazione. Alcune sono, potrei dire, «restaurazioniste»: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità. Quando mi dicono che c’è una Congregazione che attira tante vocazioni, lo confesso, io mi preoccupo. Lo Spirito non funziona con la logica del successo umano: ha un altro modo. Ma mi dicono: ci sono tanti giovani decisi a tutto, che pregano tanto, che sono fedelissimi. E io mi dico: “Benissimo: vedremo se è il Signore”. Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e di buoni costumi… e poi scoppia lo scandalo del fondatore o della fondatrice… Noi sappiamo, vero? Lo stile di Gesù è un altro. Lo Spirito Santo ha fatto rumore il giorno della Pentecoste: era all’inizio. Ma di solito non fa tanto rumore, porta la croce. Lo Spirito Santo non è trionfalista. Lo stile di Dio è la croce che si porta avanti fino a che il Signore non dice “basta”. Il trionfalismo non va bene d’accordo con la vita consacrata. Dunque, non mettete la speranza nel fiorire improvviso e massiccio di questi Istituti. Cercate invece l’umile cammino di Gesù, quello della testimonianza evangelica. Benedetto XVI ce lo ha detto molto bene: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione».
L’incubazione di un carisma
Venuti a conoscenza degli scandali perpetuati dai fondatori e della loro doppia vita, per salvare il destino dell’istituto si tenta spesso l’operazione di scindere il carisma dell’Istituto dalla persona del fondatore. Ma questa è un’operazione ardua se non addirittura impossibile. Il carisma nasce proprio perché ha trovato una persona che gli ha fornito il suo humus naturale per nascere. Senza quell’humus non sarebbe nato. Il carisma non è fatto solo di contenuti e proclami nati dalla parte intellettuale del fondatore ma è fatto di prassi, simboli, strutture, indicazioni comportamentali, modalità relazionali… nate nell’intimo del fondatore preso nella sua interezza. Sono cose maturate lentamente e in silenzio dentro all’animo del fondatore e in quel carisma si riversa la totalità di quell’animo. Il luogo d’incubazione del carisma non è solo l’area virtuosa del fondatore ma tutta la sua personalità, e nel caso questa abbia elementi bacati il marcio passa anche al carisma. Pensiamo, ad esempio, ai canti liturgici o alle preghiere scritte dal fondatore: è davvero possibile che non lascino trasparire – anche se in maniera molto sublimata – il mondo irrisolto delle sue pulsioni? È davvero possibile che, nello scrivere il testo, lui stesso fosse completamente dissociato dalla sua parte perversa, semmai attiva il giorno prima o il giorno dopo? E, per il discepolo, continuando a leggere quegli scritti sarà possibile ricostruire in sé quella figura del fondatore che lui aveva idealizzato ma da cui poi è stato ingannato, specialmente se quella autorità è stata il suo riferimento costante?
La possibile corruzione
Non si può neanche scindere in due il carisma, tentando di salvare la parte buona e buttare via quella marcia. Il carisma non è un elenco né la somma di vari elementi, ma una proposta globale di vita che evapora se lo si frantuma conservandone solo alcune parti. Il carisma bacato è fatto di elementi che in sé, singolarmente presi, sono buoni, ma che in relazione fra loro e ad altri altrettanto giusti danno origine ad una rete di significati che è perversa. Prendiamo, ad esempio, tre indicazioni: 1. Direzione spirituale a vita e solo con uno del proprio Istituto; 2. Condivisione comunitaria delle colpe; 3. Obbedienza al superiore. Le tre indicazioni, benché in sé buone, in interazione fra loro possono instaurare un clima di sequestro delle coscienze. Questo effetto non si realizza dopo, in un secondo tempo, semmai a causa delle resistenze di alcuni, ma è già all’inizio della costituzione del carisma stesso perché è la collocazione reciproca delle indicazioni che le rende già all’inizio sbagliate, nel loro stesso porsi. Ciò non dice che volutamente e maliziosamente il fondatore volesse il sequestro delle coscienze; questo non è e non era nella sua mente ma è una intenzionalità intrinseca ai suoi atti. Non è sua intenzione, ma comunque mette in moto un meccanismo che poi si incarica di dare i suoi frutti corrispondenti. Cambiare la rete delle indicazioni significa rivedere drasticamente il senso di quelle indicazioni e spesso, per romperlo, bisogna sostituirle con delle diverse se non addirittura opposte.
L’esercizio del potere
È tipico di un carisma bacato il suo nesso con l’area del potere. Fra i seguaci più stretti ed intimi del fondatore (che di solito ha i suoi «preferiti») scattano dinamiche di controllo e copertura reciproca che, con il tempo, diventano dinamiche di boicottaggio reciproco. L’abuso del fondatore diventa complicità con i collaboratori che, con il tramonto del fondatore, diventa fra loro lotta per il potere. Se interviene un censore esterno, si troverà subito sotto gli attacchi di questo gruppo di potere e da solo gli sarà molto difficile assorbire gli ostruzionismi che si concentrano su di lui e sottrarsi ai tentativi di «sequestro» delle parti in lotta. Si tratta anche qui di uno stile difficilmente raddrizzabile finché quelle persone continuano ad avere posizioni di potere. Anche qui la colpa non è loro; singolarmente prese sono delle brave persone ma vige un clima di aggressività coperta fatto di regole tacite che se venissero esplicitate sarebbero rinnegate da tutti eppure sono da tutti obbedite: un clima che tutti respirano ma che nessuno può apertamente verbalizzare, spesso contrabbandato come gestione carismatica (e quindi evangelica) del potere. Un esempio ovvio è la strumentalizzazione (in chiave di potere ma anche di erotismo) della direzione spirituale: chi si accorge di cosa veramente sta succedendo? Chi può smascherarlo apertamente e con quali conseguenze per se stesso? Chi può sottrarsi senza pericolo? Chi ha gli strumenti per rompere questa catena?
Archiviare e ricomporre
In caso di carisma bacato è difficile dire: togliamo le mele marce e il resto si salverà. O anche dire: aggiorniamo le costituzioni con dei tagli e delle aggiunte. No, perché la contaminazione partita dall’origine si è estesa a tutta la realtà che ne è nata. Occorrerà invece aver il coraggio di porre in atto una vera e propria dinamica di rifondazione, che riesca a cogliere quel germe di motivo ispiratore intatto (presente in ogni carisma che abbia ricevuto un riconoscimento dalla Chiesa, a prescindere da chi lo riceve), e a partire da lì declinare e riempire di contenuti coerenti gli elementi essenziali del carisma: dall’esperienza mistica al cammino ascetico, dalla missione apostolica alla testimonianza dei voti. Non sarà certo un lavoro semplice né breve, e sarà legato, più che all’intuizione straordinaria di qualcuno, al lavoro d’insieme di coloro che non si sono lasciati contaminare dal virus del fondatore. Forse molti dovranno lasciare, e sarà un bene. Mentre pochi, o comunque meno d’un tempo, saranno quelli che entrano, ma anche questo sarà un bene. L’istituzione avrà meno potere, sociale ed ecclesiale, e sarà un bene ancor maggiore. Cambierà soprattutto la logica di fondo: non più un’istituzione umana che cerca a tutti i costi un successo terreno con criteri mondani, ma un piccolo gregge che cammina verso il Regno con i piccoli e i poveri.
Il tema è più complesso di quanto un editoriale possa dire. Ma in questa sede interessava mettere in campo l’idea che di fronte ad istituzioni estremamente ferite il rimedio non sia la ri-composizione e il recupero del carisma iniziale ma la sua archiviazione. Al fondatore va tolto il suo alone di gloria e come fondatore gli va dato il diritto all’oblio, chi ha tenuto il potere deve lasciarlo anche per il futuro e non riprenderlo più, ciascuno deve distanziarsi da un passato che volutamente si vuole non conservare, va impedita la ricerca di nuovi protettori semmai in altre diocesi o nazioni. Del resto, anche alla vittima di abuso si consiglia di rompere con l’abusatore e denunciarlo per dare a se stessa (ma anche all’abusatore) il diritto di ritornare normale.
Chiudere significa rimettere le persone in una posizione di libertà, da ri-giocare in modo diverso (con tutte le sofferenze che ciò comporta). Chiudere significa anche risarcire economicamente le vittime. Chiudere non vuol dire «tutti a casa». Non è questione di restare o andarsene: chi se ne va, va a perpetuare altrove lo stile malato e chi resta si contrappone stando dentro. Chiudere significa inserire una fase in cui ciascuno è chiamato a distanziarsi dal passato. È quel passato con il suo particolare tipo di spiritualità che deve morire. Il futuro, se ci sarà, dovrà essere qualcosa di nuovo e di diverso.
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Tredimensioni 1 – 2018, 4-8