Cozza Rino
Come recuperare freschezza evangelica
2018/3, p. 26
Alla vita religiosa servono delle opzioni che per essere evangeliche devono essere anche umanamente significanti, perché oggi non si può parlare di salvezza in termini cristiani senza avere davanti agli occhi la salvezza non solo dell’anima ma di tutto l’uomo.

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Scelte che aprono la porta al futuro
COME ReCUPERARE
FRESCHEZZA EVANGELICA
Alla vita religiosa servono delle opzioni che per essere evangeliche devono essere anche umanamente significanti, perché oggi non si può parlare di salvezza in termini cristiani senza avere davanti agli occhi la salvezza non solo dell’anima ma di tutto l’uomo.
Il punto da cui partire sta nel riconoscere che siamo entrati, irreversibilmente, in un tempo in cui varie immagini tradizionali della vita consacrata non tengono più. Uno dei motivi addotti da J.M.Tillard è intravisto nel fatto che si sta passando «da un cristianesimo rococò e barocco a un cristianesimo più vicino alla purezza delle volte romaniche».
Da qui il bisogno nella vita religiosa di persone capaci di interpretare la nuova stagione sociale ed ecclesiale, non fermandosi soltanto alle prassi e alle conoscenze che finora l’hanno orientata; persone capaci di far transitare a mondi possibili, liberando i valori intrinseci da quelli strumentali, uscendo dalle strettoie di sistemi di vita che non hanno la mutevolezza della vita, perché difesi da un minuzioso, vincolante apparato disciplinare e organizzativo, non corrispondente allo sviluppo della rivelazione.
Occorre ridonarle quella bellezza umana e divina, che crea gioia nel vivere e nel donarsi.
Chi sono i religiosi e le religiose? Ai fini di ricuperare la loro freschezza evangelica si dovrebbe poter rispondere: sono coloro che sono stati vocati a proclamare la gioia del credere; coloro che nati dalla sete della vera vita si impegnano, come Gesù, in progetti che nascono attorno a sogni di liberazione: affrancare le persone, oltre che dal male, anche dai timori generati da tabù cultuali, sacrali, tradizioni indiscutibili, accumulo di leggi e riti, per parlarci narrando storie di salvezza, riconducendo la spiritualità, ad un centro chiaro, lineare e ricco di movimento che è la carità, liberata da tutta una precettistica complicata, privilegiando l'essere autentico che rifugge dal formalismo.
Sono infine coloro che hanno deciso di vivere espressivamente nell’oggi l’originale esperienza fraterna delle prime comunità, con quell’impegno ma anche con quella leggerezza originaria intravista nei gesti e parole del Maestro.
Quando un progetto
è evangelico?
Finalmente sta crescendo – anche per l’esemplarità di papa Francesco – un cristianesimo in grado di liberare nuove energie capaci di annunciare Dio in modo nuovo, e farlo apparire nella sua bellezza accogliente e ospitale di quell’umano a misura di quello di Cristo: è infatti attraverso questo che ci è dato di scoprire il volto divino di figlio di Dio. Da qui la missione della vita consacrata oggi: esprimere un modello di umanità riuscita, con ruolo simbolico, critico, trasformatore dentro la società, facendo in tal modo intravedere l’Uomo-Dio (Gesù), non chiuso in pratiche di culto ma tra la gente, in grado di appagare l’aspirazione alla luce, all’amore, alla bellezza: «santità significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna, guardando il Figlio».
Allora, alla vita religiosa servono delle opzioni che per essere evangeliche devono essere anche umanamente significanti, perché oggi non si può parlare di salvezza in termini cristiani senza avere davanti agli occhi la salvezza non solo dell’anima ma di tutto l’uomo. Il desiderio di Dio non può consistere nella negazione di ciò che è uscito dalle sue mani, cioè l’uomo, quanto piuttosto nella sua riuscita. In ciò sta la gloria di Dio.
Salvezza dovrà essere il vivere colto nella gioia che traspare dal volto di quelle persone in cui «il divino e l’umano si abbracciano con ammirevole naturalezza». In questo consisterà, per il consacrato, essere buona notizia tra la gente, piuttosto che nell’essere visto come personaggio del tempio, della legge, del diritto, delle istituzioni. A partire dall’ammettere che siamo tutti indigenti di una qualità e di senso dell’umano, una vita religiosa che prescindesse da ciò non sarebbe fedele al mistero evangelico, che è quello della salvezza dell’uomo.
I religiosi e le religiose – disse una giovane in un’assemblea – sono capaci di riscaldare i cuori: il proprio e quello degli altri, facendo vedere quanto le ragioni del cuore siano le condizioni perché l’umano incontri il divino?
Quali scelte aprono la porta al futuro auspicato? La risposta viene dalla Congregazione vaticana della vita consacrata (Civcsva): «siamo invitati a impegnarci a destrutturare modelli senza vita per narrare l’umano sognato da Cristo mai assolutamente rivelato nei linguaggi e nei modi».
Cosa rinfranca
il sogno di seguire Cristo?
A rinfrancare questo sogno innanzitutto sono i tratti di bella e buona notizia. Ma affinché il Vangelo venga così percepito è fondamentale che sia visto come un sì a tutto ciò che di dignitoso, buono, vero, bello e nobile c’è nella persona, per cui il bene per essere veramente tale ha bisogno di manifestarsi come «bellezza».
Mai come in questo nostro tempo sono nate molte e ampie forme di appartenenza al Vangelo, ricche di dinamismo spirituale, apertura ecumenica, slancio missionario, inserimento nel quotidiano. Tutte queste nuove forme hanno portato alla luce alcuni princìpi oggi irrinunciabili all’essere Chiesa quali il non prediligere sistemi organizzativi complessi, caratterizzati da spinte spersonalizzanti che creano dipendenza. Sono configurazioni che per dare un volto nuovo e originale alla santità investono su ciò che è al cuore del Nuovo Testamento, l’«annuncio» (kerigma) per il quale la bellezza del vivere non è data dalla religiosità ma dall’essere estensione nel tempo dei gesti di Gesù affinché ognuno sia per gli altri una opportunità di incontro con Dio. Per poter fare tutto ciò le nuove forme discepolari hanno abbandonato ciò che era ideale del mondo antico: l’ordine statico e leggi immutabili.
Le differenze tra profili antichi e nuovi, non sono a livello teologico ma piuttosto sono date da esperienze concrete di vita «bella» secondo il Vangelo per l’oggi delle persone.
Queste nuovi profili sono una grande opportunità, data a tutti, con cui confrontarsi, a partire dal constatare – scrive il noto teologo M.Kehl – che l’«esperienza comunitaria di fede viene sempre più ricercata in “punti di cristallizzazione” segnati da relazioni interpersonali e processi di riconoscimento affettivamente forti». Non attraggono più quei modelli di pensiero che faticano a muoversi in armonia con le aspirazioni profonde delle persone; proposte di vita tenute in piedi da documenti, dichiarazioni, teorie, tendenzialmente omologanti di cui si è soltanto ricettori, silenziosi esecutori.
Ritornare a essere
cristiani tra i cristiani
La Costituzione pastorale sulla Chiesa, Gaudium et Spes invita ad essere «testimoni della nascita di un nuovo umanesimo in cui l’uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i fratelli e verso la storia». In altri termini è qui detto che la Chiesa è un «corpo comunicativo», essendo stata fondata per la «comunione». Da qui il dire di Y.Congar, che la consacrazione non consiste soltanto nell’essere se stessi ma nel realizzare la verità della propria relazione con gli altri. Giovanni Paolo II lo affermava in riferimento alla vita religiosa: «questa non è stata vista come una condizione a parte, propria di una categoria di cristiani, ma come punto di riferimento per tutti i battezzati….»; per cui «Il religioso è esemplare non perché il suo stato di vita sia più ammirevole di qualunque altro stato di vita cristiana, ma perché nella sua esistenza può emergere più chiaramente e in modo più diretto quello che è il senso di ogni vita cristiana». Dunque non si può separare troppo la vita religiosa dalla vocazione di tutti, essendo quest’ultima comprimaria nell’attuare l’universale «chiamata alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» invocata dal Concilio (LG 40).
È vero che di fatto esistono delle differenze, ma cristianamente non possiamo stabilire la superiorità di una forma sull’altra: l’elemento specifico che distingue una data forma – scrive J.Garrido – non è detto che fondi la sua identità più profonda. In ogni caso la differenza non consisterà nella diversità di forma, ma nella densità di vita evangelica espressa, e nell’ampiezza di significazione secondo criteri di leggibilità di un dato momento culturale.
Tutto questo porta a far intravvedere all’orizzonte il profilarsi di un nuovo, positivo equilibrio tra le vocazioni nella Chiesa, all’interno della quale i consacrati non avranno tanto la funzione di dire che Cristo guarisce ma di far vedere persone che sono la testimonianza viva della guarigione.
Nel Vangelo ci sono parole o avvenimenti attraverso cui fondare la vita religiosa come diversa?
Recentemente un religioso mi interpellò così: «Un tempo si diceva che il detto di Gesù: “chiunque avrà lasciato case o fratelli o sorelle, o padre, madre avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29), indicava chiaramente la forma di vita come espressa dalla vita religiosa … ma è proprio vero?».
Nel sopraccennato detto di Gesù riportato da Matteo c’è la descrizione del tipico contesto ufficiale dei legami familiari di quel periodo storico che era impensabile poter superare: padri, madri, sorelle, fratelli, e vi è nel contempo indicata una nuova prospettiva, un sogno, che discepoli e discepole sono invitati a realizzare. Il sogno consiste nell’aderire alla persona di Cristo al di sopra di ogni altro vincolo familiare e sociale, intravvedendo in Lui un nuovo centro per le loro vite, più solido di tutte le sicurezze precedenti. Allora seguire Cristo è un’alternativa per ripensare le relazioni; non è necessariamente inventare un’organizzazione, ma superare quei legami fissi, programmati, gerarchici che vincolano e non permettono di camminare (cfr Mc 10, 28-31).
Forse dovremmo leggere il testo evangelico di Matteo anche come invito a scavalcare l’immagine fissa di comunità o di vita insieme, divenuta lungo i secoli un paradigma intoccabile, in qualche caso immagine gerarchica, patriarcale o matriarcale di una società, mentre Gesù allarga questi confini codificati e ne propone altri. Questo significa che la comunità non è un progetto organizzativo, per portare avanti qualcosa, ma è da intendersi come legame affettivo, vero, con Cristo e i fratelli, come possibilità di vita. È avvenuto successivamente nel corso della storia, che quanto era nato come intuizione di vita: disponibilità, itineranza, distaccamento da cose e persone, è stato dogmatizzato in formule.
Dunque nell’insieme del messaggio evangelico esiste certamente una convergenza di elementi che confluiscono assieme e delineano una certa maniera energica di “seguire Cristo”, ma altra cosa è dire che sia possibile, attraverso una lettura abbastanza letterale e non sufficientemente critica della Scrittura, trovare quella parola, avvenimento o l’analogo di una istituzione risalente a Gesù, su cui fondare la vita religiosa. Non c’è un Vangelo per i religiosi diverso da quello per i laici.
Per quanto detto, lo specifico e le conseguenti funzioni della vita religiosa non possono che essere individuate in riferimento alla vita cristiana, con lo specifico all’interno di questa, di essere un segno visibile e una sollecitazione rivolta a tutti a vivere secondo il Vangelo.
Rino Cozza csj