Ferrari Gabriele
Misericordia chiave di lettura
2018/2, p. 11
La Chiesa non può esimersi dall’affrontare il problema della povertà e dell’ingiustizia nel mondo. È un dovere, anche se esso provoca incomprensioni e contestazioni da parte dei cristiani conservatori. La proposta di papa Francesco: Il primato della misericordia invece di quello della legge.

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Riforma della Chiesa e rinnovamento della missione
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La Chiesa non può esimersi dall’affrontare il problema della povertà e dell’ingiustizia nel mondo. È un dovere, anche se esso provoca incomprensioni e contestazioni da parte dei cristiani conservatori. La proposta di papa Francesco: Il primato della misericordia invece di quello della legge.
Tra le molte, moltissime, voci di approvazione che accompagnano il magistero di Francesco e la sua pastorale, ci sono – stonate – le voci di chi lamenta che questo Papa parla troppo dei poveri e poco dei cristiani, parla di misericordia e non abbastanza di leggi da osservare; che offre troppa misericordia a chi trasgredisce le leggi della Chiesa; mette in sordina i principi del Vangelo e gli insegnamenti della Chiesa ecc., questo soprattutto in riferimento a quei cristiani che si trovano in situazioni irregolari per il matrimonio. Così Amoris Laetitia è diventata per certi ecclesiastici e certi ambienti laici oggetto di controversia teologica.
Bisogna capire queste persone che si sentono destabilizzate dalla parola del Papa e dalle sue scelte pastorali, disturbate dall’invito a uscire dalla nicchia che si sono fatta nella vita della Chiesa. Esse trovano la sicurezza nella legge e non riescono a discernere e interpretare il senso e le richieste del contesto culturale attuale.
Il Papa invece è convinto che il Vangelo è anzitutto la lieta notizia della misericordia e che questa non è solo una virtù – pur necessaria – della vita cristiana, ma un principio (arché e criterio ermeneutico) della vita cristiana e della missione della chiesa, della sua maniera di essere nel mondo.
Va da sé che il Vangelo della misericordia deve essere inculturato nel contesto storico del nostro tempo, non del secolo scorso e men che meno dell’Ottocento. Il quale contesto, radicalmente cambiato rispetto al passato, è segnato oggi da fenomeni inediti rispetto alla recente storia della Chiesa e del mondo. Già il Concilio aveva riconosciuto che ci sono delle sfide nuove, chiamate da Giovanni XXIII “segni dei tempi”, che richiedono un nuovo approccio concettuale e una nuova prassi pastorale. Di qui il bisogno di un profondo cambiamento pastorale che il Papa chiede alla Chiesa e di quella riforma che i cardinali gli hanno chiesto in conclave.
Francesco vuole riprendere in mano il Vangelo della misericordia e usare proprio la misericordia come la chiave di lettura e di risposta alle sfide del mondo: il primato della misericordia invece di quello della legge, la preferenza (senza alcune esclusione!) data ai poveri e ai lontani rispetto ai cristiani praticanti. Intendiamoci bene: il Papa non dimentica né la legge né i principi della nostra fede. Solo interpreta l’una e gli altri con il criterio evangelico della misericordia. Questo è quello che certi critici non riescono a capire e ad accettare, perché sono legati ad abitudini e tradizioni del passato cui non vogliono rinunciare. Ma di fatto Francesco “costringe la Chiesa, nella sua azione pastorale, ad assumere una prospettiva ampia, che la porti a guardare sempre più fuori di se stessa, verso il mondo e i poveri, per mantenere viva la sua identità profonda, segno dell’amore di Dio per gli uomini”, ha scritto Mons. Nunzio Galantino in un articolo recente (Il Sole 24 Ore del 30 dicembre 2017).
La povertà e i poveri sono un “segno dei tempi”
Tra i “segni dei tempi” che caratterizzano la nostra epoca e la vita della Chiesa non possiamo non annoverare il fenomeno complesso e molteplice della povertà e dei poveri. Esso non è entrato nella lista dei segni dei tempi presentata dalla Gaudium et spes, ma è stato portato drammaticamente alla coscienza del mondo dopo il Concilio. La teologia della liberazione ha cercato – invano – di farlo emergere alla coscienza della Chiesa universale, ma la paura del marxismo ha portato la Santa Sede a mettere da parte quest’istanza e ad ostacolarne la teologia. Una volta caduta l’ideologia marxista, sostituita dal “pensiero unico” del neo-capitalismo liberale, la realtà dei poveri è emersa prepotente e ineludibile con il fenomeno della globalizzazione selvaggia.
Oggi la maggioranza dell’umanità è di fatto esclusa dal benessere riservato a pochi, mentre la globalizzazione produce delocalizzazione e disoccupazione, esclusione e sofferenza, povertà e miseria per una gran parte dell’umanità. Papa Francesco, che proviene da una chiesa dell’America Latina, fortemente coinvolta nel dramma della povertà, è particolarmente sensibile a questo fenomeno e alle sue conseguenze sui poveri. Annunciando il Vangelo della misericordia di Dio, egli vuole aiutarci a leggere più a fondo e con maggior verità il mondo attuale; non nega gli aspetti positivi della globalizzazione, ma non può nascondersene quelli negativi e affronta questi ultimi con il rimedio della misericordia.
Egli è convinto che questa sia e sarà la medicina che può sanare questi mali. Con il suo magistero Francesco ha portato una nuova sensibilità teologica, morale e pastorale, e chiede alla Chiesa e alla società umana di ripensare il problema dei poveri e della povertà, anche perché questo si sta aggravando ogni giorno di più (come afferma Evangelii gaudium nn. 52-60).
Il Papa, oltre alla sensibilità e l’aiuto ai poveri, si attende da tutta la Chiesa, soprattutto dai pastori e dai teologi, un ripensamento teologico (e non solo sociale) della situazione attuale con un impegno pari a quello con cui la Chiesa ha affrontato in questi anni recenti la modernità e la secolarizzazione postmoderna. Questo fa certamente parte di quella “conversione pastorale e missionaria che non può lasciare le cose come stanno” (EG 25) di cui il Papa parla e di quella riforma che egli propone alla Chiesa (Misericordiae vultus 4 e 20).
L’attuale emergenza socioculturale, caratterizzata dal diffondersi dell’egemonia sociale del capitalismo finanziario, ha delle connotazioni che non è esagerato chiamare teologiche, perché è diventata una nuova idolatria, che ha la stessa forza di diffusione della religione nel tempo della cristianità. Il potere economico ha di fatto sottomesso e intende condizionare tutto e tutti (economia, mezzi della comunicazione sociale, politica, vita familiare, morale) marginalizzando e scartando tutto ciò che non è funzionale al suo diffondersi. Per questo è un’emergenza che attende l’impegno della Chiesa.
Contestualmente all’egemonia economico-finanziaria è cresciuta una cultura dell’indifferenza verso i poveri e le povertà prodotte dalle crescenti disuguaglianze, dall’esclusione dal mondo del lavoro di molte persone, dai conflitti e dalle guerre (la “globalizzazione della indifferenza” (EG 54 e il Messaggio del Papa per la giornata della pace 2016). Una particolare e pesante conseguenza della globalizzazione dell’esclusione sono le migrazioni che il mondo dell’opulenza vorrebbe “rimuovere” dichiarandole un normale fenomeno sociale transitorio e destinato a esaurirsi con il passare del tempo e dal quale difendersi come meglio si può: ecco un’altra forma della globalizzazione dell’indifferenza (EG 54).
Questo insieme di fenomeni, la crescente povertà, l’idolatria del denaro e l’indifferenza hanno però anche un retroterra antropologico e sociale che non si può né si deve dimenticare: l’individualismo e l’egoismo della persona per la quale l’unico obiettivo da cercare è il proprio interesse e il profitto personale, insieme con la competizione tra gli umani provocata dalla scarsità dei beni della terra e la lotta per la sopravvivenza che finisce per oscurare il bene comune e/o far ignorare il “volto” altrui. Siamo ormai all’homo homini lupus. È questa distorta concezione antropologica che determina purtroppo la cultura e la politica del momento oltre che l’organizzazione dell’economia di oggi.
Per questo il Papa chiede alla Chiesa che la misericordia porti a una revisione delle attività e delle strutture ecclesiali, nell’ottica della missione e della carità. Infatti la Chiesa non è quella che Gesù vorrebbe se non s’immergesse nelle pieghe della storia, se non condividesse con i poveri e non operasse in vista del bene comune.
Un impegno di tutti alla luce del Vangelo della misericordia
I poveri, i profughi, i rifugiati e i migranti forzati, sono per il Papa un “segno dei tempi”, una sfida rivolta all’evangelizzazione che la Chiesa deve riconoscere e affrontare. Essa chiede alla Chiesa di prenderne atto e di affrontarla con lo stesso impegno con cui il magistero pontificio ed episcopale e la pastorale quotidiana di questi ultimi tempi, hanno combattuto per i cosiddetti “valori non negoziabili”, per la difesa della libertà religiosa, per la salvaguardia dell’ortodossia della fede e per la vita. Cose certamente importanti, ma che non debbono far dimenticare il fenomeno dei rifugiati che, secondo molti osservatori, non è che la punta di un iceberg ancora quasi da scoprire.
Quello che sorprende certi e li scandalizza è lo spostamento degli obiettivi pastorali della Chiesa operato da Francesco: dal primato della sfida della ragione illuministica moderna e postmoderna al primato della sfida della povertà e della disumanità che stanno dilagando sotto gli occhi indifferenti del mondo. Ma non si stanno dimenticando i valori della fede e della tradizione cristiana, perché è un dovere della fede discernere e denunciare gli aspetti dell’«anti-regno» per impegnarsi contestualmente a promuovere la venuta del regno di Dio e a ripensare e trasformare l’assetto strutturale dell’attuale economia globalizzata per offrire un’autentica “salvezza” all’umanità.
Il Papa è convinto che il Vangelo è in grado di offrire una salvezza «integrale» all’uomo d’oggi, di fargli raggiungere la vera felicità cui Dio ci ha destinati tutti (cf. EG 182). Negli anni del dopo Concilio si è fortemente dibattuto sul come far entrare la promozione umana nella missione della Chiesa (“elemento costitutivo o integrante della missione della Chiesa”). Dopo che Paolo VI in Evangelii nuntiandi ha teorizzato la combinazione del binomio “evangelizzazione e promozione umana” sulla scorta del comandamento della carità, il problema si è momentaneamente sopito ma non per questo è stato risolto, come possiamo vedere dalle affermazioni di Evangelii gaudium.
Oggi Francesco richiamandosi a Paolo VI (Evangelii nuntiandi 29) ripete che non si deve contrapporre l’evangelizzazione e la promozione umana che anzi dobbiamo promuovere la loro “intima connessione” (EG 178). Ma egli va oltre. Francesco invita i cristiani a guardare alla città degli uomini con sguardo contemplativo e mistico (EG 71-72) e scorgere nei poveri e nelle persone che lottano per la solidarietà, la fraternità e la dignità dei fratelli e delle sorelle la presenza del regno di Dio e di Dio stesso. Questa presenza non va “fabbricata, ma scoperta, svelata” (EG 71), perché Dio precede l’arrivo e l’opera dei cristiani che portano il Vangelo, perché egli da sempre è all’opera nel cuore dell’uomo per costruire giorno dopo giorno il suo regno. A noi tocca solo di scoprire “laete et reverenter” (AG 11, con gioia e con senso di adorazione!) questa presenza attiva dello Spirito di Dio, assecondarla e farla giungere alla sua pienezza.
La novità: sconcerto di alcuni e provocazione per i fedeli
È vero che questo è un discorso nuovo per la teologia occidentale tradizionale, ma ora che i teologi si trovano davanti queste realtà intrecciate strettamente con il contesto della missione della Chiesa, non possono più ignorarle, le devono/dobbiamo anzi illuminare con la luce del vangelo della misericordia, della teologia e affrontarle nell’attività pastorale. Il Papa Francesco, sulla scorta di papa Benedetto, ricorda che la promozione dei poveri, l’opzione per i poveri non è una categoria etica o sociologica, ma una categoria teologica (EG 198),perché i poveri sono “la carne sofferente di Cristo” (EG 24). Essi ci interpellano in modo incondizionato con la stessa “maestà” del Signore: questo è il senso profondo del testo di Mt 25,35ss come afferma un filosofo ebreo, Emmanuel Lévinas. I poveri crocifissi di oggi sono il servo di Dio sofferente oggi (cf. Jon Sobrino). Essi con la loro presenza sono una forza salvifica (EG 198), sono i maestri che ci evangelizzano.
A loro volta i cristiani sono invitati a seguire questa stessa strada della povertà sull’esempio di Gesù, il Verbo di Dio che è venuto a rivelarci il volto e il cuore del Padre; ad ascoltare la voce dei poveri impegnandosi per la loro liberazione e promozione (EG 187), come strumenti al servizio di Dio per l’estensione del regno di Dio. Dio non farà dei miracoli per salvare i poveri. Egli attende che noi, cristiani, ci impegniamo e siamo strumenti della sua provvidenza e della sua azione nel mondo. In primis la sua Chiesa. Si serve di noi “per giungere sempre più vicino al suo popolo amato” (EG 268) e vuole che siamo i suoi strumenti “per ascoltare il povero” (EG 187).
Tutto questo richiede una profonda conversione (un cambiamento, quasi una rivoluzione…) al popolo di Dio alla luce della misericordia del Padre che Gesù ci ha rivelato. Questo è l’atteggiamento fondamentale che Dio si aspetta da noi (Lc 6,36). Giustamente quindi il Papa batte e ribatte questo tasto della misericordia e della attenzione ai poveri, ai migranti, a coloro che sono messi al margine della società. E se insiste, è perché vede quanta resistenza c’è nella Chiesa, abituata a una pastorale spiritualistica e disincarnata che non si sporca volentieri le mani nella realtà del mondo. Proprio per questa latitanza dai problemi del mondo attuale, la Chiesa si è autoesclusa dall’attenzione di molti e diventa giorno dopo giorno sempre più insignificante, nel senso etimologico di questo aggettivo: essa non ha più cioè rilevanza e di fatto molti, soprattutto i giovani, la abbandonano.
Il Papa sogna, desidera una “Chiesa povera per i poveri” (EG 198), una Chiesa che sia, come ha detto a Firenze alla Chiesa italiana, magari anche “accidentata, ferita e sporca” (EG 49) per essersi occupata dei poveri, per essere stata solidale con essi. Il Papa certamente non vuole una Chiesa barocca, ricca di riti e di cerimonie ma staccata dalla vita.
Tutto questo giustifica il fatto che papa Francesco abbia posto la misericordia come principio o criterio della pastorale della Chiesa e della riorganizzazione della società umana.
p. Gabriele Ferrari