Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2018/12, p. 36
La Repubblica Centrafricana in preda alla violenza Crescono i cattolici nel mondo Myanmar: Cristiani perseguitati

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Testimoni
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Africa
La Repubblica Centrafricana in preda alla violenza
Ancora stragi nella martoriata Repubblica Centrafricana. il 15 novembre scorso, decine di ribelli dell’Upc, di Ali Daras, hanno sferrato un sanguinoso attacco armato sugli sfollati che erano accampati davanti al vescovado della Chiesa cattolica di Alindao, uccidendo almeno 42 persone, tra cui due sacerdoti: p. Blaise Mada, vicario generale della diocesi – “un uomo mite, un uomo di preghiera e un uomo che amava la Chiesa, un uomo buono” e padre Célestin Ngoumbando, della parrocchia di Mingala. Ma le vittime sono molto più numerose. Secondo le due agenzie locali, l’attacco sarebbe stato la risposta dei ribelli, ex Seleka, dell’ Unité pour la paix en Centrafrique (Upc) all’assassinio musulmano ad opera degli anti-balaka.
Le fonti concordano sull’ipotesi che gli autori dell’attacco siano miliziani dell’Upc, capeggiati da Ali Darras. Si tratta di una delle fazioni più pericolose della Seleka, la coalizione a maggioranza musulmana che nel 2013 ha preso il potere con un colpo di stato e i cui miliziani da allora devastano il paese, infierendo soprattutto sui cristiani. Questi per difendersi si sono a loro volta quasi subito organizzati in gruppi armati chiamati anti-Balaka (anti-machete), che però ben presto, oltre a proteggere le comunità cristiane minacciate, hanno iniziato anche una caccia ai musulmani. Gli scontri sono continuati, nonostante il ripristino nel 2014 delle istituzioni democratiche. Seleka e anti-Balaka si sono frantumati nel frattempo in decine di gruppi armati. Le violenze seguono la tragica scia dei raid delle scorse settimane nel Nord, nell’area di Batangafo, non lontano dalla frontiera con il Ciad, che avevano provocato morti e circa 10mila sfollati. Su questo focolaio bellico, con raid presso almeno tre campi per sfollati interni che ospitavano migliaia di persone, ha appena testimoniato anche l’Ong umanitaria “Medici senza frontiere” (Msf), che ha visto affluire i feriti verso l’ospedale dove opera, proprio a Batangafo.
Oltre alla strage, ci sono stati i saccheggi e i roghi di abitazioni, confermati anche da padre Mathieu Bondobo, vicario generale per l’arcidiocesi di Bangui. Il vescovo di Alindao, monsignor Cyr-Nestor Yapaupa, aveva denunciato ai caschi blu della cosiddetta “Minusca”, schierati nel Paese, le minacce e il clima d’assedio attorno alla diocesi, ma la Curia non era difesa al momento dell’attacco, come padre Bondobo ha raccontato anche in collegamento telefonico con Tv2000: «I ribelli hanno avuto campo libero, possiamo dire, per fare tutto quello che volevano fare e hanno fatto”.
Ma la Chiesa continua, nonostante tutto, la sua opera di assistenza alla popolazione e di pace. «Umanamente siamo tristi, ha affermato un sacerdote, ma spiritualmente siamo forti. Perché questo attacco non può far tacere la Chiesa. No, mai. La Chiesa non potrà mai tacere. La Chiesa ha questa forza di andare avanti. Nella persecuzione. È questa la storia della Chiesa. Quindi noi che siamo vivi, continuiamo questa missione per parlare della pace, condannare le violenze e chiedere a tutti di convertirsi».
Nel Paese, su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti, gli sfollati interni sono circa 690mila, e 570mila sarebbero quelli rifugiati nei paesi vicini. Papa Francesco aprendo tre anni fa il Giubileo della Misericordia il 29 novembre 2015, nella cattedrale di Bangui, aveva detto: «Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa terra. Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace». E aveva implorato: “Deponete le armi, armatevi di giustizia”. Ma la pace non è venuta.
Dall’inizio di quest’anno, altri tre preti erano stati uccisi nel Paese.
Vaticano
Crescono i cattolici nel mondo
In occasione della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso, l’agenzia Fides ha pubblicato i dati di riferimento della Chiesa cattolica nel mondo, da cui risulta un aumento sul piano mondiale.
Il loro numero, nel 2016, è infatti cresciuto di circa 14 milioni, salendo complessivamente a 1 miliardo e 299 milioni. Ma, nonostante questo aumento, la percentuale, tenendo conto della crescita della popolazione mondiale, in percentuale assoluta è diminuita. Mentre l’Africa, l’America, l’Asia e l’Oceania hanno registrato una crescita, il numero dei cattolici è invece diminuito in Europa di circa 240.000. La maggior crescita, sempre secondo i dati dell’agenzia Fides, che riferisce le statistiche del Vaticano del giugno scorso, si è avuta nel continente americano (Nord centro e sud America). Tra l’Alasca e la Terra del fuoco – ossia dall’estremo nord all’estremo sud – vivevano nel 2016 circa 630 milioni di cattolici, ossia 6 milioni più dell’anno precedente.
L’America, tuttavia, registra una mancanza di sacerdoti rispetto al numero pro-capite dei cattolici. Nel nord, centro e sud del continente il rapporto è di 1 sacerdote per 5.100 fedeli. In Europa il rapporto è di 1 per 1.600, in Asia e Oceania di 1 per 2.200 e in Africa di 1 per 5.000.
Sul piano mondiale c’erano, sempre nel 2016, 5,300 vescovi, la maggior parte di essi in America (2.000) e Europa (1.700). Un quadro analogo è quello del numero assoluto dei sacerdoti. In America sono 122.447 e in Europa 176.557, dove il loro numero, pur essendo ancora il più alto, diminuisce rispetto agli altri continenti. Infatti, mentre il numero dei sacerdoti è in diminuzione in America (- 589) e in Europa ( - 2.583) è invece cresciuto in Africa (+ 589) e in Asia (+ 1.304).
Myanmar
Cristiani perseguitati
Nello Stato Shan, nel nord est del Myanmar, ai confini con la Cina, a partire dalla fine dello scorso mese di settembre è in atto un’ondata di espulsioni di sacerdoti, suore e laici cattolici e di pastori protestanti, accompagnata dalla chiusura di numerose chiese e di distruzioni di altre, ad opera del UWSA (United Wa State Army), un esercito etnico, di ispirazione comunista.
La prima ondata, come riferisce John Zaw, da Mandalay, in un servizio del 27 settembre per l’agenzia asiatica cattolica Ucanews, è consistita nell’espulsione di un sacerdote salesiano, cinque suore della Società missionaria San Paolo e di sei insegnanti laici. I salesiani e le suore si occupano qui dell’educazione e di servizi sanitari.
L’espulsione fa parte di una campagna dell’ UWSA che ha distrutto chiese cosiddette non autorizzate, arrestato i pastori e chiuso delle scuole nella regione Wa nello Stato Shan, a partire dal 13 settembre scorso. Sono stati arrestati anche numerosi pastori e insegnanti delle chiese battiste e tutte le loro scuole sono chiuse.
I capi dell’ UWSA hanno dato istruzioni alle loro truppe e agli amministratori di indagare sulle attività dei missionari della regione Wa. Hanno inoltre deciso che tutte le chiese costruite dopo il 1992 devono essere ritenute costruzioni illegali e devono perciò essere distrutte. Inoltre hanno vietato la costruzione di nuove chiese e ordinato che il clero che opera nella regione deve essere locale e non straniero. La regione Wa è abitata da gruppi etnici comprendenti i Wa, Cachin Ta’ang, Lisu, Kokang e Shan che praticano il cristianesimo, buddismo, l’animismo, il culto degli spiriti e l’islam. I cristiani costituiscono circa il 30% su una popolazione di 450mila Wa.
La seconda ondata ha avuto luogo lo scorso mese di ottobre e ha colpito con l’espulsione un gruppo di preti e laici cattolici. Si è trattato di due salesiani, tre suore della Società missionaria san Paolo e tre insegnanti laici a cui è stato ordinato di lasciare la zona delle colline Wa, lungo i confini con la Cina. Padre Raymond Than, uno dei preti espulsi ha dichiarato il 15 ottobre dalla città Lashio che gli ufficiali dell’esercito, tre giorni prima avevano emanato il decreto di espulsione al clero giunto nella regioni dopo il 1992. Ai cristiani del luogo inoltre è stato proibito di celebrare il culto anche nelle loro case. Il clero e i laici, ha dichiarato p. Than, si occupano dell’educazione e dei servizi sanitari per la gente del luogo e non hanno compiuto nulla di male. “Noi non siamo persone che creano problemi”, ha sottolineato. Ma alcuni ufficiali e i loro alleati cinesi ritengono che tra certi gruppi cristiani ci siano dei membri allineati con organizzazioni di intelligence americane.
Ufficiali Wa hanno affermato che non c’è alcuna prospettiva che i cristiani espulsi possano ritornare e continuare la loro missione.
Nel mese di novembre, la terza ondata: è stato espulso dallo Stato di Shan un terzo gruppo di cristiani. Si è trattato di un sacerdote della diocesi di Kengtung e di tre suore delle Missionarie della carità. Gli ufficiali locali, il 2 novembre, hanno sigillato la chiesa cattolica di San Paolo. Le suore gestivano fin dal 2006 un collegio frequentato da circa 100 alunni delle comunità etniche Lahu e Wa, nella parrocchia di Mong Pawk. Anche per questi espulsi non c’è alcuna prospettiva di poter tornare e continuare la loro attività.
La Lahu Baptist Convention ha affermato che nel distretto di Mong Pawk sono state distrutte tre chiese, e sigillata una scuola biblica, mentre 41 studenti sono stati costretti ad aggregarsi all’esercito Wa.
Padre Than, dopo aver contattato i sacerdoti espulsi, ha dichiarato all’agenzia Ucanews: “Non sappiamo esattamente la ragione che c’è dietro a queste azioni”.
a cura di Antonio Dall’Osto