Ferrari Gabriele
Animazione pastorale missionaria
2018/12, p. 30
Come animare missionariamente la Chiesa locale? La riflessione propone delle linee pastorali che vanno oltre una semplice diocesi, perché ogni Chiesa locale è chiamata a percorrere un cammino di missione.

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Testimoni
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Proposte per una comunità cristiana “in uscita”
ANIMAZIONE PASTORALE
MISSIONARIA
Come animare missionariamente la Chiesa locale? La riflessione propone delle linee pastorali che vanno oltre una semplice diocesi, perché ogni Chiesa locale è chiamata a percorrere un cammino di missione.
Chiesa di Como, diventa ciò che sei”! Apro questa breve esposizione parafrasando il titolo dell’ultimo Discorso alla città del vescovo Oscar (“Como, città amata, diventa ciò che sei” 30 agosto 2018). Egli utilizza un’espressione che non è proprio di … un padre della Chiesa, ma di Friedrich Wilhelm Nietzsche, il quale l’ha ripresa da Pindaro, poeta greco del VI-V secolo a.C., per un messaggio però sempre opportuno e attuale: il compito di ogni individuo è puntare a una personalità che componga la tensione fra quello che uno è per natura e quello che la storia, la cultura, lo conduce a diventare (La Gaia scienza, 335).
Anche la Chiesa di Como è chiamata a percorrere un cammino di maturazione verso la sua pienezza, un cammino della cui urgenza siamo oggi più coscienti sia per la situazione che stiamo vivendo che per l’appello che papa Francesco non si stanca di rivolgere alle Chiese locali: “Tutti siamo chiamati a [una] nuova uscita missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e aver il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20). Una comunità cristiana che non sia “in uscita” corre il rischio non solo di non essere la Chiesa che Gesù ha voluto e che il Concilio ci ha consegnato, ma anche il rischio di ammalarsi (EG 49; Discorso per la veglia di Pentecoste 18 maggio 2013) e di non rispondere alla sua missione.
Importanza
e necessità
La Chiesa di Como non parte dal nulla: ha già iniziato il cammino della missione, tracciato dal vescovo Diego con la triade: Parola, Eucaristia, Missione. Il vescovo Oscar lo ha ripreso invitando le comunità e i fedeli a diventare sempre più consapevoli e grati per la missione avuta e a vivere il mandato di testimoniare ovunque, dalla propria famiglia fino a ogni ambiente di vita, la bontà misericordiosa di Dio rivelataci da Gesù, come autentici testimoni e fedeli annunciatori della misericordia (cf. la preghiera iniziale degli Orientamenti pastorali per la chiesa che è in Como, 2017).
Per questo sentiamo il bisogno di essere nuovamente evangelizzati o, più prosaicamente, di avere un programma di animazione missionaria rivolta alla Chiesa di Como che faccia diventare le comunità più coscienti della loro responsabilità missionaria. Nulla di veramente nuovo, ma il compito di trarre le conclusioni da quello che noi siamo già per il fatto di “essere cristiani”.
Cercare le cause della progressiva involuzione che nel tempo ha portato la nostra, come del resto le altre Chiese di antica data, a chiudersi su se stessa, lasciando andare in eclissi l’ordine di Gesù di andare nel mondo intero, non è l’obiettivo di quest’esposizione. Grazie a Dio il Concilio Vaticano II ha fatto riemergere il vero volto della chiesa, comunione e missione, riflesso storico della comunione trinitaria e delle missioni del Verbo e dello Spirito Santo (cf. AG 2). Per chi volesse conoscere le cause di quest’involuzione, segnalo il libro di don Saverio Xeres, chiaro, documentato e leggibile, dal titolo Al Chiaro di Luna (edizioni Ancora Milano 2008).
Come
animare
Senza negare il bene che troviamo nelle nostre comunità diocesane, sentiamo tutti che la nostra Chiesa ha bisogno di essere animata, svegliata e rimotivata perché assuma oggi la “dolce e confortante gioia di evangelizzare” (EG 10, che cita EN 80) e diventi una “chiesa in uscita” (EG 20), non introversa, ripiegata su di sé, preoccupata solo di sé e dei suoi problemi interni, ma coinvolta nella missione evangelizzatrice, cosciente di essere già stata inviata nel mondo (Mc 16,15ss) e sempre accogliente.
Questo impegno rinnoverà la vivacità delle nostre comunità tenendole aperte e ospitali nei confronti non solo dei fedeli praticanti, aperte invece alla ricerca di quelle persone ben disposte ma che non vengono più in chiesa, o di quelle che non fanno più parte della comunità o che non ne sono mai state membra della chiesa perché non battezzate o appartenenti ad altre religioni, rimanendo aperte verso il mondo di oggi che vive etsi Deus non daretur
L’animazione missionaria deve raggiungere anche coloro che, come si dice, praticano normalmente la vita della chiesa, ma forse troppo spesso si accontentano di “consumare servizi e comunione” senza sentire che la parola: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”(ibid.) li riguarda personalmente e non solo in modo occasionale.
L’assunzione della propria responsabilità missionaria non è motivata da un comando, fosse pure di Gesù, ma da un bisogno del cuore che risponde all’ “amore del Cristo che ci possiede” (2Cor 5,14), ci avvolge, coinvolge e travolge (così traduce il verbo synechei Franco Manzi in Lettere di Paolo, ed. Cittadella, Assisi 2005, p. 517), di un cuore riscaldato dall’incontro con Gesù, dalla sua parola e dalla frazione del pane (Lc 24,32). Solo una comunità eucaristicamente fervente sentirà l’urgenza della missione.
Con quali strumenti possiamo renderla più missionaria? Come possiamo risvegliare la passione missionaria che deve caratterizzare ogni chiesa? Ecco il tema di questo Consiglio pastorale. I suggerimenti che vi posso dare, li conoscete già, anche se è utile riprenderli e verificarli, e se a parlarvene è stato chiamato un missionario di professione, è perché il magistero della chiesa universale (EG 15) e di quella italiana (Comunicare il Vangelo in un tempo che cambia, CEI 2002, nn. 32.46) continuano a ripetere che la missione ad gentes è l’orizzonte e il paradigma di ogni missione. Questo non vuol dire che si debbano riprodurre qui a Como metodi e stili della missione in Africa, Asia o America Latina, ma ciò che può rianimare le nostre comunità è l’ispirazione e, meglio, la passione che porta certi cristiani a partire per le terre dove c’è bisogno del primo annuncio, a spendersi, in certi casi, fino alla morte, per evangelizzare i non cristiani.
Un’ultima annotazione: sarebbe un errore, indice di superficialità pastorale e forse anche una mistificazione affermare che “tutto è missionario” per concludere poi nella pratica che “non esiste più uno specifico missionario”. Non è questo l’insegnamento della chiesa. La missione ad gentes, pur aggiornata nelle sue motivazioni, offre l’ispirazione e l’orizzonte della missione evangelizzatrice anche qui a casa nostra applicando il quarto principio di Evangelii gaudium: “Il tutto è superiore alla parte” (EG 234). Questo – spiega il Papa – vuol dire che“bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso non è opportuno perdere di vista ciò che è locale che ci fa camminare con i piedi per terra” (ibid.). Le due cose unite ci impediscono di vivere un universalismo astratto o di naufragare nei problemi locali: “Pensa in termini universali e poi agisci in termini locali”, dice un’espressione anglosassone (Think globally, act locally).
Le risorse
dell’animazione
a) Una prima risorsa è dentro il ministero pastorale ordinario e consiste nel far emergere e sottolineare la dimensione missionaria della chiesa e della salvezza cristiana, cercando l’essenziale e lasciando cadere ciò che è incrostazione del passato che non dice più nulla alle nuove generazioni. Far emergere la natura della “chiesa in uscita” nelle celebrazioni liturgiche, nella predicazione domenicale, nella catechesi, nella teologia e nel servizio ai poveri, questo a partire da una buona conoscenza della chiesa (ecclesiologia conciliare!) dei problemi della missione della chiesa, della realtà locale e dall’ascolto delle esperienze missionarie di altri luoghi (dare spazio al “racconto” missionario di chi ha fatto esperienza di missione).
Così è necessario animare missionariamente le famiglie, l’oratorio, le associazioni in cui si vive la propria appartenenza alla chiesa, aprirne gli orizzonti per guardare più in là del confine della parrocchia o della diocesi, per entrare nelle “periferie esistenziali” (EG 20.30.46 ecc.), e raggiungere quelli che rimangono fuori della pastorale ordinaria.
Queste sono le risorse ordinarie da utilizzare per risvegliare la sensibilità ecclesiale e missionaria dei fedeli e renderli coscienti della loro missione, corresponsabili in una chiesa che deve essere sinodale e non fatta di deleghe, ma popolo messianico e corpo di Cristo.
Tra le associazioni, non vanno dimenticati i comitati Caritas che ormai sono diffusi in tutte le comunità cristiane, e così gli organismi di partecipazione come il consiglio pastorale parrocchiale, vicariale o diocesano. Questi organismi sono ormai istituiti quasi ovunque, ma corrono il rischio di limitarsi alla gestione dell’ordinario senza alzare lo sguardo all’orizzonte ampio del mondo e dimenticando la parola di Francesco: “È necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria” (EG 15).
b) Questo impegno di animazione missionaria del popolo di Dio, una vera “conversione pastorale e missionaria” (EG 25) che il Papa chiede e che è urgente per la nostra chiesa, resterà lettera morta se non sarà accompagnato da una contestuale (se non è possibile previa) animazione del clero, dei catechisti, degli operatori della carità proprio sui temi della missione ecclesiale nel mondo di oggi e sulla necessaria apertura al mondo attorno alla comunità.
c) Molto utile in quest’opera di animazione missionaria della diocesi è avere una missione diocesana in quelle che una volta si chiamavano le “terre di missione”. La nostra diocesi, come è noto, ha due campi di lavoro missionario, uno in Perù e un altro in Africa, finora in Nord Camerun e prossimamente, dopo il forzato ritiro dalla prima, in Mozambico. Questa scelta non è solo un aiuto contingente alle giovani chiese, ma una grazia per la chiesa di Como. Il vescovo Oscar rientrato dal Perù, ha affermato che “in Perù c’è tanto da imparare” (Il Settimanale, n.34, p. 3). L’avere queste “sponde” missionarie fa bene alla chiesa di Como, le dà consapevolezza dell’universalità che si trova già nella natura della chiesa; le permette di vivere consapevolmente e concretamente il dinamismo della “comunione tra le chiese” e la sua missionarietà, di respirare aria nuova, di confrontare metodi e approcci pastorali diversi e di vivere quella collegialità che deve passare dalla persona del vescovo alle comunità cristiane della diocesi.
Impegni ad gentes di questo tipo fanno bene, in particolare, ai preti e ai laici fidei donum che vi partecipano e, di riflesso, contribuiscono alla crescita della missionarietà nella chiesa di Como. Già di per sé, ma più ancora al momento del rientro dei missionari, producono all’interno delle comunità cristiane una specie di riflesso condizionato di tipo missionario, soprattutto quando i fidei donum alla fine del loro periodo di missione rientrano definitivamente dal ministero ad gentes nella chiesa d’origine: essi non potranno che mantenere viva la spinta e l’urgenza missionaria nelle comunità della nostra chiesa locale.
Certamente queste scelte hanno il loro prezzo in termini di personale. Infatti ci vogliono persone giovani, spiritualmente vive e intellettualmente sveglie e proprio negli anni migliori della vita (tra i 30 e i 50 anni). Ma chi conosce queste realtà, sa che ne vale la pena.
Per questo è stato bello, oltre che opportuno e significativo, l’appello che il vescovo Oscar ha rivolto ai preti della Diocesi in occasione della recente assemblea del clero a Morbegno: “Vorrei che i preti (e anche i laici) si mettessero in un sano discernimento personale: che cosa vi impedisce di dare la vostra disponibilità per un’esperienza ad gentes?”. Quanti risponderanno?
d) E, ultimo ma solo nella lista (last but not least), c’è una risorsa “tradizionale” ma ancora viva di animazione missionaria, che va rinnovata e potenziata: il gruppo missionario sia parrocchiale, vicariale e diocesano, come anche le associazioni e le commissioni a carattere missionario. Questi gruppi non sono sempre del tutto “a norma”, nel senso che non hanno ancora una struttura e un chiaro collegamento diocesano; spesso sono espressione spontanea di una parrocchia legata a qualche missionario, o a qualche progetto particolare nato in parrocchia, o a qualche iniziativa occasionale. Tutto questo è prezioso, da conservare ma da potenziare e qualificare attraverso un progetto diocesano di animazione della pastorale missionaria, una struttura diocesana alla quale appoggiare i gruppi e dare loro stabilità.
Questo sembra necessario, primo, perché è giusto che l’animazione missionaria della pastorale si svolga in comunione con il centro della chiesa locale; e secondo, per legare le varie espressioni missionarie tra di loro e farle crescere in modo sinergetico dentro la chiesa particolare.
Penso sia importante dire che il progetto diocesano di animazione missionaria non intende normalizzare né imbrigliare le attività missionarie locali, desidera solo creare comunione, sintonia e stabilità. Salvando le caratteristiche originarie dei diversi gruppi locali, è bene che essi si uniscano per essere – ai vari livelli della chiesa particolare – il motore comune, anche se localmente caratterizzato, che promuove e tiene in moto il dinamismo della missionarietà sotto la guida della commissione missionaria diocesana. Da questa verranno degli stimoli soprattutto in vista della formazione, della collaborazione e del coordinamento delle varie forze missionarie che operano nelle parrocchie e nelle zone della diocesi.
I gruppi missionari che già esistono vanno potenziati e quelli che stanno riducendosi dovrebbero essere ringiovaniti, collegandoli eventualmente alla pastorale giovanile e vocazionale senza spegnerne le caratteristiche, ma proponendo e sostenendo iniziative che coinvolgano la gioventù e tutti coloro che vogliono collaborare.
Un’altra risorsa importante e significativa, che sembra piuttosto sottovalutata, è la presenza e la testimonianza di missionari della parrocchia o di altri missionari che si trovano in diocesi. La loro testimonianza è sempre uno stimolo a guardare al di là del proprio campo d’azione e sorgente di nuove idee e nuovi progetti che coinvolgono le persone.
Infine una particolare attenzione da parte della chiesa locale, attraverso la Commissione diocesana, deve essere data alle vocazioni missionarie, la cui promozione oggi è lasciata all’intraprendenza degli istituti missionari, mentre dovrebbe essere interesse della chiesa locale, perché le vocazioni missionarie sono il segno e il frutto più sicuro della sua maturazione missionaria.
Gabriele Ferrari s.x.